Quando si parla di rinnovabili, il principale ostacolo deriva dalla loro intermittenza e variabilità. Produrre energia dal Sole, dal vento, dalle maree o anche dagli scarti agricoli significa fare i conti con andamenti spesso irregolari e imprevedibili. Altro problema: sicuramente, la forma di energia più utile di cui disponiamo è l’energia elettrica: la possiamo usare per muoverci, illuminare, scaldarci, cucinare e far funzionare tutti i dispositivi che ci circondano. Ma l’elettricità non è facilmente disponibile in natura: dobbiamo produrla partendo da altre forme di energia.
Per giunta, se quando l’abbiamo generata non troviamo modo di usarla immediatamente, la perdiamo per sempre. Visto che non possiamo stare al buio dobbiamo trovare un modo per avere energia proprio quando ci serve. Per questo tutti gli impianti per la produzione di energia rinnovabile oggi esistenti sono collegati a un sistema di accumulo o a una rete elettrica. Quando splende il Sole o soffia il vento, gli impianti isolati raccolgono l’energia che non viene utilizzata proprio in quel momento e la conservano per quando servirà. Gli impianti connessi alla rete elettrica, invece, si limitano a trasmettere l’energia in eccesso alla rete stessa per poi andare a riprenderla da lì quando serve.
Chi gestisce le reti (spesso grandi come Paesi o continenti) fa la stessa cosa. Di solito l’energia elettrica in eccesso viene accumulata come energia idraulica: si usa la corrente che avanza per prendere l’acqua dal mare o da qualche lago a bassa quota e pomparla in un lago ad alta quota. Quando invece c’è bisogno di energia, si riporta giù l’acqua facendola precipitare lungo una condotta forzata fino a una turbina che genera nuova elettricità. Se c’è un picco nella domanda di energia e non c’è modo di trovarla all’interno della rete, allora la si compra dall’estero oppure, alla peggio, si mettono in funzione le centrali termoelettriche.