• STORIE

Le piante che difendono l’ambiente

Metalli pesanti, composti organici e clorurati. Sono solo alcune delle sostanze che possono restare nel terreno come residui di attività industriali del passato, responsabili dell’inquinamento ambientale o nocive per piante, animali e, potenzialmente, per l’uomo. Bonificare un sito con i metodi tradizionali non sempre è la soluzione più sostenibile sia dal punto di vista ambientale sia in termini di emissioni di CO2. Una delle possibili alternative è ricorrere e metodologie di trattamento cosiddette “in situ”, a basso impatto ambientale e in grado di ridurre gli inquinanti presenti nel suolo, riportandoli entro i limiti previsti dalla normativa ambientale e quindi a livelli non più pericolosi per la salute dell’uomo.

Il fitorimedio

Tra queste tecnologie di bonifica “in situ”, Eni Rewind sta applicando in campo il fitorimedio (dall'inglese phytoremediation) per la naturale capacità delle piante di estrarre dal suolo alcuni metalli pesanti ed eliminare i composti organici, senza necessità di movimentare il terreno. Questo processo naturale migliora le caratteristiche chimico-fisiche del suolo fino a ottenere una vera e propria riqualificazione ambientale.

I meccanismi principali sono due: nel primo, chiamato fitoestrazione, le piante estraggono dal terreno i metalli pesanti e li accumulano nelle radici e nelle foglie. Nel secondo, detto fitorizodegradazione, sfruttano la sinergia tra i vegetali e i microrganismi cosiddetti rizosferici presenti intorno e all'interno delle loro radici, per biodegradare i contaminanti organici, trasformandoli in altre molecole più semplici e meno tossiche che vengono metabolizzate (quindi eliminate) dalle piante stesse. Quando la loro azione è sostenuta da particolari batteri promotori della crescita (Plant Growth Promoting Rhyzobacteria) si parla di fitorimedio assistito (enhanced phytoremediation).

Grazie ai test di laboratorio e alle prove in serra svolte dai biologi e microbiologi dell'unità di Tecnologie Ambientali del Centro Ricerche Eni di San Donato e dai colleghi del CNR di Pisa, abbiamo individuato le condizioni ottimali per applicare il fitorimedio assistito in aree che sono state contaminate da metalli pesanti e idrocarburi.

Solo le piante più adatte

Abbiamo caratterizzato le specie vegetali più adeguate per le differenti tipologie di contaminanti e definito le associazioni microrganismi/piante con la resa più alta. Dimostrata l'efficacia della tecnologia in determinate condizioni di contaminazione, il passo successivo è definire protocolli di intervento in campo, condivisi con gli Enti pubblici preposti alla tutela dell'ambiente e della salute.

La fitoestrazione rappresenta una valida alternativa ai trattamenti tradizionali grazie alla grande biodiversità del regno vegetale e alle numerose specie in grado di svilupparsi e di accumulare metalli pesanti anche su terreni contaminati.
Ecco le principali su cui stiamo lavorando.

Tutte le specie selezionate si sono già dimostrate in grado di estrarre ed accumulare nelle radici e nelle foglie quantità significative di diversi metalli, con efficienze variabili dal 35% al 40% per ogni ciclo vitale.

È possibile ipotizzare che in campo, dopo 3-5 successivi cicli stagionali, potremo eliminare completamente la frazione biodisponibile dei metalli pericolosi.

Un aiuto dai microrganismi

Un ruolo fondamentale è svolto dai microrganismi rizosferici. Il processo di estrazione è stato amplificato grazie a ceppi batterici metallo-tolleranti, cioè in grado di sopravvivere alla presenza di particolari metalli. Dove trovarli? Proprio in alcuni degli stessi terreni contaminati, in cui si erano adattati a vivere!

Una volta rilevati li abbiamo caratterizzati, coltivati in laboratorio e, infine, inoculati nel terreno.

Perché il loro ruolo è così importante? Aggiunti al terreno unitamente alle diverse piante, questi microrganismi hanno permesso di migliorare significativamente le prestazioni dei vegetali, sia come crescita, che come efficienza di fitoestrazione. Questa è aumentata del 40-50%, permettendo di estrarre fino al 60% dei metalli inquinanti biodisponibili in una sola stagione e quindi di raggiungere in tempi molto più rapidi gli obiettivi stabiliti per la bonifica. Ma c’è di più: gli stessi microorganismi "benefici" sono anche potenzialmente idrocarburo-ossidanti, permettono cioè la biodegradazione degli inquinanti organici.

Il risultato è un recupero ambientale efficiente, sostenibile e a costi ridotti rispetto alle convenzionali tecniche chimico-fisiche. 



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