• STORIE

Il sogno green del Kenya

Ricco di risorse, con ampio accesso all’elettricità e una forte spinta verso le rinnovabili, il Kenya è tra i Paesi dell’Africa Orientale più dinamici e innovativi dal punto di vista energetico. La pandemia da coronavirus ha segnato una pesante battuta d’arresto per l’economia keniana nel 2020: il Fondo Monetario Internazionale ha stimato per il 2020 una contrazione del PIL dello 0,1%, che interrompe un decennio di crescita molto sostenuta (5,8% in media nel periodo 2010-2019). Già nel 2021, però, il PIL dovrebbe tornare a correre a tassi superiori a quelli pre-crisi. L’economia è, infatti, dinamica, aperta agli investimenti privati; dall’energia all’agricoltura, è ben diversificata. Un aspetto che la rende resiliente nel fronteggiare la sfida sanitaria. Sul fronte energetico, il Kenya punta a rafforzare l’impegno alla transizione con una iniziativa di lungo respiro, attraverso la promozione di nuovi modelli di investimento con il supporto dei paesi OCSE. Nella valutazione del suo contesto energetico ed economico, non è possibile prescindere dalle questioni relative alla componente etnica e alle sfide politiche. Questo Paese è un peso massimo dell’Africa sub-sahariana, con uno spiccatissimo ruolo regionale.  

Il sogno green del Kenya

Una storia che inizia dai grandi laghi

Il Kenya è la sua geografia. A Sud, ventuno chilometri separano i suoi confini dal Kilimangiaro (Tanzania); a Est, l’Oceano Indiano. A Nord confina con Etiopia, Somalia e Sud Sudan. Poi a Ovest, lontano dalle spiagge di corallo, si sale verso le montagne della Rift Valley. Spingendosi più in là si scende al Lago Vittoria che unisce il Kenya all’Uganda e alla Tanzania. La storia del Kenya inizia proprio nella regione dei laghi, abitata fin dal paleolitico. La civiltà Bantu, la più importante dell’Africa subequatoriale, intorno all’XI secolo fiorisce e si espande fino al territorio occupato oggi dal Kenya, che rappresenta il punto d’incontro dei maggiori gruppi etnici presenti nel continente africano. La presenza di più etnie è una risorsa ma anche una questione politica, soprattutto nelle aree urbane e industrializzate.

Il sogno green del Kenya

Il futuro dell'energia e il potere delle rinnovabili

Il Kenya riapre all’esplorazione e allo sviluppo del petrolio una decina di anni fa. Il Paese importa tutto il suo fabbisogno di prodotti petroliferi, in particolare dagli Emirati Arabi Uniti e da altri paesi del Medio Oriente. L’unica raffineria di Mombasa è stata chiusa nel 2013. Il Kenya distribuisce internamente i prodotti che importa attraverso l’oleodotto che collega Mombasa all’entroterra. Il porto di Mombasa è un strategico hub regionale di importazione per tutti i Paesi dell’entroterra, in primis Uganda, Ruanda e Sud Sudan, ma anche la parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. L’obiettivo è rafforzare le infrastrutture petrolifere. 

La domanda di prodotti petroliferi in Kenya è la più alta dell’Africa Orientale (110 kbld), e per il 70% è assorbita dal settore dei trasporti. I combustibili fossili soddisfano il 19% dei consumi, mentre il gas naturale non entra a far parte del mix energetico attuale per mancanza di infrastrutture. Anche qui, le misure restrittive per il contenimento del contagio da Covid-19 hanno causato una contrazione della domanda.  

In Kenya le scoperte di petrolio ad opera della britannica Tullow sono state significative (600 milioni di barili di risorse in posto), ma l’elevata densità e la localizzazione a 1000 km dalla costa presentano criticità tecniche ed economiche per lo sviluppo e la messa in produzione. Nell’ambito del progetto della Tullow sono previste, nel lungo termine, nuove raffinerie, sulla costa di Lamu o nella regione di Turkana.  

Lo sviluppo del settore elettrico in Kenya è considerato una storia di successo. Le riforme avviate negli anni Novanta sotto l’egida della Banca Mondiale hanno generato un flusso di investimenti privati nella generazione elettrica ma, ad oggi restano insufficienti quelli nella rete elettrica che necessita di essere ampliata e ammodernata. Nel 2010 l’utilizzo dell’elettricità riguardava solo il 19% dei keniani. L’85% della popolazione ha accesso all’energia elettrica (2019) e il governo punta allo sviluppo infrastrutturale per estenderlo, entro il 2022, agli 8 milioni di keniani che ne sono ancora sprovvisti. Le maggiori sfide del settore riguardano il consumo pro-capite ancora basso – 178 kWh per abitante nel 2017 rispetto a una media globale di 3.138 kWh – e la parziale liberalizzazione del mercato: la distribuzione è monopolizzata dal colosso Kenya Power and Lighting Company (KPLC).

Riciclo del vetro, un successo e un futuro promettente

Louisa Gathecha, co-fondatrice e Business Development Lead di Bottle Logistics, punta a far diventare la sua società di riciclaggio del vetro la più grande del Kenya entro i prossimi due anni.

Il sogno green del Kenya

Come sottolinea l’Irena World Energy Transition Outlook, le energie rinnovabili hanno un ruolo fondamentale nel processo di decarbonizzazione. Sostenere il boom dell’elettrificazione africana tramite le energie pulite è un tema di rilevanza globale. Le rinnovabili contribuiscono per l’85% alla generazione di energia elettrica in Kenya (2019) con un contributo significativo del geotermico (44%) e dell’idroelettrico (26%). Inoltre, in Kenya è operativo dal 2019, l’impianto eolico più grande del continente, il Lake Turkana Wind Project (310 MW). Lo sviluppo del solare ha invece finora riguardato prevalentemente il settore off-grid.

Il sogno green del Kenya

Mentre le rinnovabili sono una fonte energetica già ampiamente sviluppata nel settore elettrico, il 15% dell’elettricità è prodotta da olio combustibile; eppure la società pubblica di generazione elettrica KenGen ha indetto una gara d’appalto per condurre una serie di operazioni, tra cui uno studio di fattibilità per l’importazione, lo stoccaggio e la rigassificazione dell’LNG e lo sviluppo di un impianto elettrico a gas.

Il sogno green del Kenya

L'economia resiliente che tornerà a crescere

Con una popolazione di 49 milioni di persone, l’economia del Kenya è una delle più dinamiche dell’Africa sub-sahariana. Dopo una crescita del 5,4% nel 2019, il PIL del 2020 è diminuito dello 0,1%: è la stima più recente del Fondo Monetario Internazionale, che prevede però il ritorno a tassi di crescita superiori a quelli pre-Covid nel 2021 (+7,6%) e nel quinquennio successivo (+6% in media annua). Nonostante le ripercussioni della recessione globale, specie nei settori del turismo (che contribuisce al 20% del PIL), dei servizi e dell’orticultura (un settore chiave per l’economia e l’export), il Paese ha retto all’impatto della crisi legata all’emergenza sanitaria grazie alla diversificazione della sua economia e alla limitata dipendenza dalle materie prime. 

AgriTech tra terra sana e dati spaziali

Moses Kimani ha fondato in Kenya un’impresa agricola intelligente che grazie al programma E4Impact Accelerator, ha sviluppato il concetto di agricoltura climaticamente sostenibile.

Il Kenya è l’hub economico e finanziario dell’Africa Orientale. La capitale Nairobi è crocevia di commerci. Non mancano, però, le contraddizioni. Secondo la definizione della Banca Mondiale, il Kenya è considerato un paese a reddito medio basso, con un reddito medio pro-capite di circa 5mila dollari a parità di potere d’acquisto nel 2019. Il 36% della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà. Eppure, sebbene il tasso di povertà sia tra i più bassi dell’Africa Orientale e dell’Africa sub-sahariana, esso è da considerarsi alto rispetto ad altri Paesi a reddito medio basso. 

Tre i principali fattori che contribuiscono all’espansione sostenuta dell’economia, stando alla Banca Mondiale: un contesto macroeconomico stabile; la fiducia degli investitori; la resilienza del settore dei servizi. Tra i comparti tradizionalmente più forti, l’agricoltura, pesantemente colpita dalla crisi, che rappresenta oltre un terzo del PIL e assorbe il 54% dell’occupazione. Significativo il flusso di investimenti diretti esteri, il cui stock ammontava a 15,7 miliardi di dollari nel 2019. La Cina è il maggior creditore del Kenya dopo la Banca Mondiale: nel 2018 i prestiti cinesi al Paese ammontavano a 9 miliardi di dollari. Nel Doing Business Report del 2019, la Banca Mondiale posiziona il Kenya al 56° posto tra 190 Paesi in termini di contesto favorevole al business.

Il sogno green del Kenya

La "Big Four" della politica

L’amministrazione Kenyatta porta avanti il programma Vision 2030, lanciato nel 2008 con l’obiettivo di accelerare la trasformazione del Paese in una nazione industrializzata a reddito medio entro il 2030. Kenyatta ha individuato le Big Four, cioè le quattro aree prioritarie che dovranno raggiungere uno sviluppo significativo entro il termine del suo mandato: industria manifatturiera; sanità e previdenza; servizi abitativi; sicurezza alimentare. 

Passi in avanti ci sono stati, spiega la Banca Mondiale. Le riforme, specie negli ultimi dieci anni, hanno trainato una crescita economica sostenuta e un certo grado di sviluppo sociale. Restano da affrontare sfide non da poco: povertà; disuguaglianze; cambiamento climatico; un livello inadeguato di investimenti nel settore privato; la vulnerabilità dell’economia agli shock esterni; la corruzione nel settore pubblico (che costa al governo ben 5 miliardi di dollari l’anno).

La gestione del Covid, lo sviluppo delle infrastrutture e il debito sono gli altri temi in cima all’agenda politica. Per sostenere la spesa sanitaria, il governo di Nairobi ha potuto contare sul sostegno della Banca Mondiale e del FMI, da cui ha ricevuto prima un prestito emergenziale di 739 milioni di dollari e poi, a inizio 2021, un prestito di 2,4 miliardi di dollari tramite un’Extended Credit Facility della durata di tre anni, oltre all’accesso a 285 milioni di dollari di Special Drawing Rights (SDRs). Le istituzioni finanziarie continuano a investire su infrastrutture ed energia ma pesa la preoccupazione per la stabilizzazione del debito. 

Fino alle prossime elezioni presidenziali, è verosimile che il potere resti nelle mani del Jubilee Party of Kenya (JPK), guidato dal presidente Kenyatta. All’interno del JPK, tuttavia, convivono diverse fazioni: quella di Kenyatta (etnia Kikuyu) e quella che fa riferimento al numero due, il vice presidente William Ruto (etnia Kalenjin). La divergenza tra le due ha inizio quando Kenyatta, nel 2018, si allea con il leader dell’opposizione, Raila Odinga (etnia Luo), per porre fine ad un periodo di impasse politica e violenza seguito alle elezioni del 2017 (annullate dalla Corte Suprema in una storica sentenza e ripetute a distanza di pochi mesi con il boicottaggio dell’opposizione). L’alleanza tra i due rivali storici, Kenyatta e Odinga, e la loro promessa di impegnarsi a mitigare le disuguaglianze etniche e politiche nel paese attraverso una revisione costituzionale, hanno incontrato l’ostilità di Ruto, preoccupato che un’eventuale ristrutturazione dell’esecutivo potesse limitare i futuri poteri della Presidenza, a cui Ruto stesso ambisce. 

Un complicato ruolo internazionale

Lo sviluppo del Kenya si inserisce in un contesto geopolitico complesso. Il Corno d’Africa è percorso da vicissitudini interne che storicamente uniscono tutti i paesi che ne fanno parte (Corno ‘ristretto’: Somalia, Etiopia, Djibouti, Eritrea; Corno ‘allargato’ include Kenya, Uganda, Sud Sudan e Sudan). A partire dallo scoppio, a novembre 2020, della guerra tra il governo federale etiope e la regione settentrionale del Tigray, le alleanze nella regione hanno iniziato a mutare. Nairobi si trova sempre più contrapposta alla triplice alleanza formata da Etiopia, Eritrea e Somalia, che puntano a contenere l’influenza economica e politica del Kenya. La diversità tra questi Paesi si misura in termini di disuguaglianza dei rispettivi sistemi statali, che nascono da percorsi storici difformi. In particolare, le annose dispute marittime con la Somalia sono in attesa dell’esito della vertenza presso la Corte Internazionale di Giustizia. 

L’aerea è inoltre al centro della competizione globale tra grandi potenze, Usa, Cina, Europa, e le potenze del Golfo. Il Paese ha un innegabile ruolo nell’ integrazione regionale. L’approccio bilaterale del Kenya ai negoziati commerciali con paesi terzi (quali Usa e Regno Unito) è percepito dai vicini come contrario allo spirito dell’integrazione regionale – che prevede negoziazioni congiunte verso attori terzi per i membri di Comunità Economiche Regionali come la Comunità dell’Africa Orientale. Inoltre, l’assegnazione al Kenya di un seggio presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – sostenuta dall’alleanza transatlantica - rischia di creare nuove divisioni con i paesi limitrofi.  

Diversificazione è la parola chiave anche nelle relazioni esterne. Il Kenya punta infatti a ridimensionare la propria dipendenza dagli aiuti internazionali, con un atteggiamento sempre più aperto ai commerci e agli investimenti privati. Nel farlo, sta anche modificando le alleanze, con una postura meno disinvolta nei confronti della Cina, che resta tuttavia un partner strategico, e una maggiore apertura verso gli Stati Uniti e l’Europa. 

Le mille sfaccettature del Kenya: la photogallery

I reportage di Louis Nderi fanno emergere i mondi di cui è composto il Paese. Iniziative e progetti sono influenzati da tradizione e modernità, mentre l’arte attinge dal contesto culturale stimolante.

Nderi è un fotografo nato in Kenya e cresciuto nell’Africa meridionale. Il fulcro della sua attività è la ritrattistica ambientale con l’intenzione di esporre e discutere l’evoluzione della natura e della cultura in tutte le sue forme. I suoi progetti si focalizzano sulle persone scelte in base alla loro vocazione o tra le comunità. Nei suoi reportage spicca la relazione quasi intima che si crea tra il soggetto e il fotografo.



Back to top
Back to top