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Donne e scienza, il binomio vincente per l’innovazione

Le riflessioni sul tema della gender equality sono sempre un bilancio sulla strada fatta e su quella che resta da percorrere per raggiungere pienamente alcune tappe cruciali per lo sviluppo globale.
Si tratta di un obiettivo che nel mondo del lavoro sta attirando particolare attenzione ed è orientato  sempre di più a valorizzare la presenza femminile nei processi aziendali interni, con percorsi di crescita professionale e manageriale, ma anche nei contesti in cui opera indirettamente, attraverso progetti mirati al loro empowerment.   

Garantire a donne e ragazze pari opportunità e uguali diritti di accesso alle risorse è quindi non solo una questione di giustizia sociale ma un traguardo imprescindibile per lo stesso sviluppo economico globale, in linea con l’Obiettivo 5 dell’Agenda 2030.
I dati generali, tuttavia, indicano che c’è ancora della strada da percorrere. Lo dimostra una recente stima del World Economic Forum, secondo cui ci vorranno circa 145,5 anni per raggiungere l’uguaglianza di genere in termini di Political Empowerment e 267,6 anni per una congrua partecipazione in termini di opportunità economiche. Le cose sembrano andare meglio nel campo dell’accesso all’istruzione, dove il divario di genere è stato quasi completamente colmato: più del 50% di laureati e che hanno il diploma di Master sono donne. Ma questo ancora non basta: resta da percorrere l’ultimo miglio, che è quello decisivo.

Oltre gli stereotipi di genere: il futuro è STEM

Oggi, nella maggioranza dei paesi, cresce il numero di donne iscritte ai percorsi di studio universitari. Se in ambiti come Scienze umane e sociali, Arte e Informazione si riscontra una significativa rappresentazione della componente femminile, nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering & Mathematics) permane un significativo divario di genere. Si tratta di un fenomeno che non va ignorato e, sulla base di queste analisi, l’ONU ha istituito l’11 febbraio la “Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza”.
Stando all’ultimo Rapporto UNESCO, le donne laureate in Informatica rappresentano solo il 40% e quelle in Ingegneria il 28%. A conferma di questi dati, i risultati dell’ultima indagine OCSE PISA (che indaga in oltre 60 Paesi il livello degli apprendimenti degli studenti quindicenni) evidenziano che, in oltre metà dei Paesi coinvolti, meno del 2% delle ragazze prevede di lavorare nel campo dell’ingegneria o dell’informatica; in Italia, in particolare, solo una ragazza su otto desidera intraprendere una carriera in ambito scientifico nonostante consegua risultati eccellenti nello studio di queste discipline.

Si tratta di una tendenza che non deriva esclusivamente da preferenze individuali ma, come diversi studi hanno messo in luce, è spesso riconducibile a uno stereotipo di genere fortemente radicato: quello della presunta incapacità delle donne in ambito logico-matematico. Questo pregiudizio produce un impatto significativo in termini di divario educativo oltre che, naturalmente, sulla stessa autostima delle ragazze.
Nell’ottica di un empowerment femminile è necessario quindi da un lato estirpare la radice culturale di questo gender bias, e dall’altro, intervenire sul gap educativo che ne deriva, prevenendo le possibili successive implicazioni nella dimensione lavorativa e professionale.
La Quarta rivoluzione industriale sta trasformando radicalmente il mercato del lavoro, che richiede ormai sempre più competenze trasversali e analitiche e, in questo scenario, si assiste a una crescente offerta di opportunità legate all’innovazione scientifica e tecnologica. 

Lo scarso accesso delle donne nel campo STEM, tuttavia, rischia di esacerbare la disparità di genere in termini economici e sociali.
Per cogliere le opportunità della rivoluzione in corso è quindi fondamentale stimolare le generazioni future, e in particolare le ragazze, a esplorare le numerose possibilità offerte da questo nuovo orizzonte e garantire loro gli strumenti necessari per scegliere con consapevolezza. È proprio in questa ottica che Eni ha dato avvio a progetti educativi e di orientamento alle discipline STEM, come InspirinGirls, CO.ME “COde&fraME” e Think About Tomorrow, con l’obiettivo di accompagnare le più giovani alla scoperta delle nuove professionalità in ambito scientifico e tecnologico e incoraggiarle a raccogliere le sfide del futuro. Si tratta di un impegno che va ben al di là degli obiettivi di crescita aziendale, ma che vuole contribuire in favore dello sviluppo sociale del Paese. In questa prospettiva, tutte le attività sono pensate in stretta connessione con la scuola e grazie a questo connubio, valorizzare il capitale umano femminile diventa un traguardo sempre più vicino.

L’insostenibile leggerezza della chimica: l’incontro con Amelia Lentini

Nelle esperienze maturate da Eni a supporto degli studi STEM, il Role Modeling sulle carriere femminili si è rivelato uno strumento potente per stimolare le ragazze a superare condizionamenti e stereotipi e realizzare il proprio potenziale. La Role Model è un esempio positivo di donna che ha perseguito le sue aspirazioni con determinazione nonostante gli ostacoli e che vive con entusiasmo e curiosità le sue sfide professionali, come ad esempio Amelia Lentini, ingegnera chimica, arrivata in Eni nel 1987. Da allora, la passione per il suo lavoro e la sua convinzione sull’inconfutabile valore aggiunto che le donne rappresentano nel campo scientifico fanno di lei una pioniera e una voce da ascoltare.

Molte ragazze credono di non essere portate per le materie scientifiche e, stando ai dati, ancora oggi sembra che non riescano ad avere un pieno accesso alle STEM. Qual è il ruolo della scuola rispetto a questo stereotipo di genere?

A La scuola ha il compito di formare, informare e soprattutto di incoraggiare, o meglio ha il dovere di farlo. La scuola è il luogo dove si impara a sognare e dove si capisce che i sogni si possono realizzare con le proprie forze. Questo significa anche abbattere lo stereotipo secondo cui le materie scientifiche non sarebbero per le ragazze. Si tratta di una grande bugia, che fra l’altro ha un grave impatto sulla partecipazione delle donne a carriere professionali più qualificanti e a volte le penalizza lasciandole indietro nella capacità di produrre reddito.

Perché non si parla mai abbastanza del contributo femminile al progresso scientifico?

Perché le donne sono state sempre un passo indietro, hanno sempre lavorato tra le mura domestiche o comunque sono rimaste nell’ombra, e nell’ombra non si è visibili. Sono state completamente escluse dal modo in cui si racconta la storia dell’umanità. E questo è vero non solo se pensiamo ai grandi scienziati, ai grandi esploratori, ma anche semplicemente se guardiamo i nomi delle strade delle nostre città, intitolate quasi tutte a uomini. Con questa mancata presenza femminile sembra si voglia ignorare il contributo delle donne, a cui si ricorre solo quando c’è bisogno di cura e assistenza…

Da alcuni studi è emerso che le ragazze sono più propense a scegliere le discipline scientifiche se sono a contatto con modelli femminili attivi in quell’ambito. Cosa ne pensa?

A I modelli sono fondamentali per il processo di identificazione. I modelli dominanti del passato hanno dato vita a convenzioni sociali che nel tempo si sono trasformate in regole non scritte. Ma le regole si possono cambiare, a maggior ragione quelle non scritte. Basti pensare che in Italia, a inizio Novecento, il fatto che una donna si potesse iscrivere alla facoltà di Ingegneria era non solo inusuale, ma impensabile, eppure la prima ingegnera d’Italia, Emma Strada, risale proprio a quell’epoca. Oggi è ancora necessario contribuire alla diffusione di modelli diversi di donne che siano di ispirazione alle nuove generazioni per sostenerle nel loro percorso di autorealizzazione.

Cosa l’appassiona del suo lavoro? E in che misura è possibile un coinvolgimento emotivo nell’attività scientifica?

A Tanti anni fa, ho fatto una scelta che non era reputata convenzionale. Questo mi ha dato la possibilità di dare il mio contributo al servizio dell’energia, questa grande forza invisibile che fa girare il mondo. L’energia buona è come il buon cibo, ci permette di crescere e ci allunga la vita.

Incontrare e apprezzare la scienza comporta sacrificio e dedizione, ma è un percorso che ripaga, direi che a un certo punto diventa quasi un piacere personale, perché appropriarsi della scienza significa non solo possedere gli strumenti, per capire come funziona il mondo, ma soprattutto per cambiarlo. Ed è una scoperta incredibile. La scienza ci regala emozioni solo quando la conosciamo a fondo: è allora che diventa generosa, ci fa crescere e cresce dentro di noi.

Che ruolo hanno nella scienza la creatività e l’intuito?

Un ruolo centrale, direi. Pensiamo a un giacimento: è nascosto sotto terra, non si vede e non si tocca, possiamo solo immaginarlo con misure indirette e per farlo dobbiamo ricorrere a dei modelli matematici. I modelli di simulazione sono stati un cambio di passo storico nello sviluppo dei giacimenti e quando sono arrivata in Eni, ho iniziato a lavorare con i modelli di simulazione statici e dinamici, e con le simulazioni matematiche della fluidodinamica dei pozzi. Cosa c’è di più creativo di un modello di simulazione?

Il mio lavoro mi permette di immaginare e costruire il futuro in modo creativo. Evidentemente se vogliamo lavorare sull’innovazione senza commettere errori, la creatività deve essere sorretta dal rigore scientifico. Gli strumenti matematici servono quindi a costruire un modello che predica e che permetta di creare valore nel migliore rapporto costo-beneficio. La risposta di un computer però può cambiare molto ad esempio a seconda delle equazioni scelte. E qui subentra l’intuito. Grazie all’intuito possiamo fare davvero un balzo in avanti, andare più veloci e più lontano e produrre innovazione molto velocemente. Del resto tutte le scoperte sono frutto di un’intuizione. L’intuito è un volano per l'innovazione e le donne in particolare sono molto intuitive.

Evelyn Fox Keller, fisica e filosofa della scienza, sostiene l’approccio di genere nell’attività scientifica. Qual è in questo senso il valore aggiunto offerto dalla prospettiva femminile?

A Le donne hanno una capacità insita di guardare al futuro e al contempo di preservare il passato e questo, secondo me, è un approccio che può fare la differenza. Non si può guardare al traguardo solo in termini di successo: deve essere un successo che porta beneficio alla comunità. Quando le donne vanno verso una direzione, tendono a guardare il percorso e questo serve a evitare di mettere il piede in fallo. Se si tiene in conto il passato c’è una consapevolezza diversa del percorso, e nella scienza, come nella vita, un percorso non vale l’altro. 

L'autrice: Alessandra Pierro

Laureata in filosofia, lavora come freelance editoriale in qualità di copyeditor, content curator.



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