In arabo zohr significa “mezzogiorno”, il momento della giornata in cui il Sole è allo zenit. Non è forse un caso che questo sia il nome dato al più grande giacimento di gas naturale dell’Egitto e del Mediterraneo: a oggi Zohr sembra infatti segnare per il paese il culmine della sua lunga storia energetica; una storia che, a partire dagli anni Cinquanta, continua a vedere protagonista anche Eni.
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Zohr e la mappa energetica del Mediterraneo
Prospettive per un futuro assetto energetico dell'Europa.
Eni ed Egitto: una storia di oltre sessant’anni
L’Egitto è il paese da cui, nel 1954, prende avvio l’avventura estera dell’Eni. È da qui che la formula Mattei invita i paesi in via di decolonizzazione a diventare protagonisti attivi nel processo di sfruttamento delle proprie risorse e interlocutori della nuova scena internazionale. L’Egitto del presidente Nasser rappresenta la prima tappa di un processo rivoluzionario che trasformerà il mondo del petrolio. E qui, alla prima grande scoperta di petrolio nel 1961 (Belaym) nel 1967 si affiancherà anche la prima scoperta di gas (Abu Madi) nell’offshore del Mediterraneo, cui ne seguiranno altre nel corso degli anni fino ad arrivare a Zohr e non solo.

La formula e la strategia del fondatore di Eni.
Un successo inaspettato
È il giacimento di gas più grande mai rinvenuto in Egitto e nel Mediterraneo, con un’area di 100 km2 che si estende a circa 1450 m di profondità, di fronte a Port Said.
La scoperta si è rivelata sorprendente tanto più se si considerano le criticità di partenza: da un lato il clima di instabilità politica dell’Egitto, fra i tumulti della primavera araba, dall’altro la fase di crisi dell’industria petrolifera che, in seguito a esplorazioni poco proficue, cominciava a richiedere nuovi modelli esplorativi.
Da allora, il volume delle riserve egiziane è aumentato di circa un terzo, portando il paese al soddisfacimento dei suoi bisogni energetici.
Oggi Eni ha definito piani di sviluppo incentrati sulla riduzione delle emissioni, l’energia rinnovabile e la mobilità sostenibile. In particolare, a Port Said è stata di recente inaugurata la prima stazione di servizio egiziana, con una postazione alimentata da pannelli solari per la ricarica dei veicoli elettrici; un progetto che nei prossimi cinque anni sarà replicato con la realizzazione di altre 50 stazioni distribuite in tutto il paese.
Zohr raccontato da Lapo Pistelli
L’impatto della scoperta di Zohr si estende, naturalmente, ben al di là dei confini egiziani. Le implicazioni sulla mappa energetica del Vicino Oriente sono inevitabili e l’Europa è parte di questo scenario mediterraneo in continua evoluzione.
Si tratta di un complesso quadro geopolitico di cui spesso si trascurano dettagli decisivi, ma su cui una realtà come Eni si affaccia innegabilmente come osservatorio privilegiato. Lapo Pistelli, direttore Relazioni Internazionali di Eni, si è prestato a condividere una profonda e articolata lettura della questione Zohr rispondendo ad alcune domande in proposito.
D: Quella di Zohr è stata un’operazione rischiosa sotto più aspetti ma alla fine si è rivelata una scommessa vinta. Oggi si parla di un giacimento da 850 miliardi di m3 di gas in posto che, se per l’Italia possono equivalere a 12 anni di consumo, per l’Egitto significherebbero decenni di autonomia energetica.
Nel delicato processo di risanamento che il paese sta affrontando, qual è l’impatto di Zohr e in che misura questa condizione di indipendenza energetica potrà incidere sul suo sviluppo?
R: Per Eni, l’Egitto è il punto di partenza della propria avventura nel mondo, il primo paese in cui Mattei è sbarcato nel 1954. Abbiamo una partnership che dura da oltre 60 anni e che, nel corso del tempo, ha permesso alla nostra società e al paese di conoscersi molto bene. Coerenti con la nostra mission, quando entriamo nei paesi lo facciamo per rimanere su una base di condivisione, fiducia, sviluppo del paese e delle sue risorse umane.
Zohr è una storia esemplare da molti punti di vista.
La scoperta si colloca in un frangente molto particolare. Fino a pochi anni fa, nel Levante, l’Egitto era l’unico paese con produzioni importanti di idrocarburi. Qui la prima esplorazione risale addirittura al 1861, quando l’Italia si stava ancora unificando. Il Paese ha goduto così una sua indipendenza energetica ed è stato esportatore. Poi, un doppio processo recente lo ha messo in grave difficoltà: da un lato, l’assenza di nuove scoperte e il difficile clima politico avevano rallentato le campagne esplorative e scoraggiato gli investimenti nel Paese, che stava subendo un processo di depletion dei giacimenti esistenti con una curva produttiva in forte calo; dall’altro, l’Egitto era ed è l’unico Paese dell’area che affronta una dinamica demografica impetuosa. Per intendersi, dal 1981 al 2011, da quando cioè Mubarak prese e lasciò il potere, la popolazione egiziana passò da 42 a 85 milioni di abitanti; oggi supera i 100 milioni e si prevede che nel 2030 questo numero crescerà fino a 125 milioni. È una crescita pazzesca che, come in tutto il Nord-Africa e a differenza dell’Africa sub-sahariana, si accompagna a una forte domanda di energia, sia quella di base sia quella “intensa” necessaria per lo sviluppo economico e industriale.
Con i giacimenti in declino e l’aumento della popolazione, nel marzo 2015 l’Egitto smise di essere autosufficiente e cominciò a importare energia pagando un alto costo. Sei mesi dopo, ad agosto, Eni annunciava la scoperta di Zohr. E qui, c’è “una storia nella storia” che dice tanto di come siamo fatti noi di Eni. L’azienda recupera un blocco rilasciato da due grandi major internazionali che avevano esplorato e perforato per sei anni, senza vedere e trovare nulla. Noi abbiamo due grandi asset, umani e tecnologici: dei bravissimi geologi capaci di pensare “out of the box” e supercalcolatori che ci permettono di simulare e modellizzare con una precisione e rapidità unica al mondo. Vediamo qualcosa di nuovo nella geologia della regione, un’ipotesi rischiosa, proponiamo ad altri di partecipare, poi ci assumiamo la totalità del rischio e facciamo la più grande scoperta del Mediterraneo degli ultimi 20 anni.
Ma non basta. Stabiliamo pure una specie di “record del mondo” di velocità della messa in produzione della scoperta, e questo è il secondo tempo della storia di Zohr. Vedi, Il nostro è un settore economico molto particolare: chi produce la risorsa non determina il prezzo, non sa se un barile sul mercato varrà 20, 50 o 100 dollari; così, un’azienda può solo fare due cose: contenere i propri costi ed essere rapidissima nel “time to market”, evitando che una scoperta resti lì sul fondo del mare, senza valore.
In media, il tempo dell’industria dalla scoperta alla produzione oscilla fra i 7 e gli 8 anni. Eni ha dato il primo gas agli egiziani 27 mesi dopo, nel dicembre 2017, meno della metà del tempo dell’industria. Da allora, uno straordinario ramp up di produzione ci ha portato a quasi 3 bcfd (3 miliardi di piedi cubi al giorno).
Per l’Egitto cambia tutto: smette di importare gas, attrae nuove esplorazioni, comincia a vestire i panni dell’esportatore e capofila della regione.
Eni, per altro, ha continuato a fare altre importanti scoperte, senza la stessa evidenza di Zohr, e questa strategia prosegue perché l’Egitto ha bisogno di scoperte continue per rimanere alla guida della regione.
E qui arriva la geopolitica. L’Egitto ha promosso un’attività di energy diplomacy per trasformare il Levante mediterraneo da provincia gasifera (le scoperte in Israele, le nostre campagne esplorative a Cipro e in Libano) a gas hub: non solo risorse ma infrastrutture, accordi di mercato, intese politiche ed energetiche. Da qui l’EastMed Gas Forum, che presto diventerà una vera e propria organizzazione internazionale, dove però ‒ inutile negarlo ‒ non mancano i problemi: esistono rivalità forti con la Turchia rispetto a Cipro; c’è una disputa aperta tra Israele e Libano. Nonostante ciò, il gas israeliano viaggia oggi verso le facilities egiziane per essere trattato: la molecola perde la sua bandiera e diventa risorsa condivisa.
Ricapitolando, grazie a Zohr, l’Egitto supera di slancio un momento di difficoltà energetica, riattrae investimenti e ridiventa esportatore. Per noi è la conferma di una capacità esplorativa che ci ha portato a vincere per molti anni di fila il premio dei migliori esploratori del mondo con tecnologie e competenze proprie.
D: Torniamo sul ruolo dell’Egitto come promotore di un potenziale gas hub del Mediterraneo orientale.
All’epoca della scoperta di Zohr, il “New York Times” osservava che il giacimento di gas egiziano minacciava di sovvertire la diplomazia energetica del Medio Oriente. Da analista politico, qual è la sua opinione in proposito? In che misura i nuovi accordi economici, ad esempio come dicevamo con Israele, possono influire sullo scenario politico internazionale? E quali potrebbero essere i rischi e le opportunità di questa riconfigurazione degli equilibri?
R: Non vorrei dare una risposta ingenua, perché spesso è più seducente aggiungere diversi strati di lettura conditi da giochi spionistici e complottismi… La dico in modo semplice: l’Egitto ha sempre avuto una grande storia energetica che la scoperta di Zohr le permette di proseguire. Il Paese aveva già un’industria molto matura dal punto di vista delle competenze umane e tecnologiche. In più Zohr ha generato un innesco positivo per gli altri Paesi. Cipro aveva già scoperto il giacimento di Aphrodite nel 2010 (che è ancora non sviluppato) e assegna nuovi blocchi per nuove esplorazioni; Israele cerca di accelerare sul proprio giacimento Leviathan; il Libano chiude un lungo contenzioso politico interno e cerca di recuperare il tempo perduto aprendo il proprio offshore all’esplorazione, così da spendere meno nella importazione di energia. Tutto si è rimesso in moto.
C’è finalmente la possibilità per questa regione di trovare nell’energia un fattore di integrazione.
Purtroppo, il vero tema spinoso è la rivalità forte fra Egitto e Turchia, una questione molto delicata perché la Turchia, altro gigante demografico ed energetico, importa la quasi totalità delle risorse. Sarebbe utile, e dico anche bello, che in futuro questo quadrante del Mediterraneo vedesse l’integrazione tra questi due grandi paesi, attualmente divisi su tutto, dall’energia alla questione politica dell’Islam e della Fratellanza Musulmana. Anche perché questa rivalità riverbera i suoi effetti sulle attività di boicottaggio delle esplorazioni nella Zona Economica Esclusiva di Cipro.
D: Rispetto a questo scenario mutevole e considerate le criticità legate a fornitori di gas storici, come ad esempio la Libia, è possibile ipotizzare che il gas egiziano diventi una fonte di approvvigionamento per l’Europa e il Mediterraneo orientale una rotta alternativa? E se lo fosse, quali sarebbero i risvolti di questo nuovo rapporto di dipendenza?
R: Non si tratterebbe di una rotta alternativa, ma integrativa; su questo bisogna essere molto chiari. L’Europa applica su scala continentale lo stesso tipo di politica che l’Italia applica in piccolo (o viceversa potremmo dire che l’Italia è il laboratorio dell’Europa intera): differenziare le fonti, i fornitori e le rotte, in modo tale che se uno di questi dovesse in qualche modo andare in crisi, il paese e/o il continente non ne soffrirebbero e sarebbero capaci di compensare con altre rotte e altri fornitori.
Attualmente Europa e Italia hanno forniture via tubo provenienti dal Mare del Nord, dalla Russia e dalla rotta sud, rappresentata fino a oggi da Algeria e Libia. C’è poi una quota, che cresce pian piano, di forniture “liquide”, cioè di GNL, circa il 15% del totale.
È dunque nell’interesse italiano ed europeo avere la possibilità di una rotta complementare, integrativa che venga dal Levante.
Eni, valorizzando il proprio lavoro, ha portato all’attenzione delle istituzioni comunitarie che il Mediterraneo non è soltanto migrazioni, ma c’è in gioco molto di più, come ad esempio l’energia come fattore di integrazione tra sponda nord e sponda sud.
Sia chiaro, per concludere non generando scenari improbabili, che allo stato attuale la fornitura russa in Europa via tubo e via GNL pesa moltissimo, quasi il 40% del totale (cioè fra i 150 e 200 miliardi di metri cubi) e che quindi ogni ipotesi di futuro sviluppo del Gas Hub del Levante potrà solo integrare, complementare, non sostituire la fornitura russa.
Per farsi un’idea, il gasdotto TAP-TANAP (che dall’Azerbaijan attraversa la Turchia, l’Albania e poi arriva in Italia) ha un primo tubo da 10 miliardi di m3; nell’ipotesi dell’EastMed pipe si parla di 10 miliardi di m3, Idku e Damietta possono liquefare 18 miliardi di m3, mentre il Nord Stream da solo trasporta 65 + 65 miliardi di metri cubi, quantità non comparabili. Evidentemente, la possibilità di attingere a più fonti permetterebbe agli europei e agli italiani di non dipendere da nessuno in modo esclusivo.
L'autore: Alessandra Pierro
Laureata in filosofia, copyeditor e content curator.
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