Questa è la storia dell’esplorazione avvenuta nelle acque profonde dell’Africa Orientale. Siamo nel 2006, il Mozambico offre in gara una serie di blocchi per l’esplorazione delle acque convenzionali profonde e ultraprofonde del bacino di Rovuma, al confine tra la Tanzania e il Mozambico. Eni guarda con interesse a questa iniziativa di frontiera, verso concetti geologici nuovi e territori inesplorati. I dati geofisici messi a disposizione in occasione del primo licensing round sono pochissimi. Su questi viene costruito un modellogeologico e si decide di sottomettere un’offerta per due blocchi. Da qui l’assegnazione della licenza operativa per il Blocco Quattro, che prende poi il nome di Area 4, oggetto di questo racconto.
Le prime indagini sismiche
L’anno successivo è interamente speso a negoziare il contratto. Alla sua firma, prende il via il programma di esplorazione geofisica con l’acquisizione sismica 2D (bidimensionale). L’analisi dei dati porta alla conclusione che il modello geologico iniziale è perseguibile, ma viene identificata un’altra area, dove l’indagine appena condotta evidenzia una prospettività alternativa composta da un "play" misto stratigrafico e strutturale.
Si decide così di proseguire con un’altra acquisizione sismica, questa volta 3D (tridimensionale) di questa nuova area, al fine di migliorarne l’immagine indiretta del sottosuolo. Il blocco ha una superficie enorme: 17.000 chilometri quadrati. Vengono così acquisiti 4.400 chilometri quadri. Emerge un "play" formato da giganteschi sedimenti clastici (sabbie), generati dalla deposizione di sedimenti ricchi di materiale in sospensione e più dense dell’acqua in cui si muovono. In genere questi depositi si trovano nel fondo dei mari oceanici, difficili da rinvenire in affioramenti geologici in superficie anche per addetti ai lavori in giro per il mondo.
Immaginiamo un grande fiume sottomarino che scorre sotto il fondo del mare e che trasporta in sospensione grandi quantità di sedimenti: quando questi flussi rallentano, sui fondali si depongono le torbiditi (sistemi geologici). Questi fenomeni sono innescati da cause naturali: terremoti, piogge di natura eccezionale, frane sottomarine. Ogni sedimento ha dimensioni ragguardevoli: parliamo di decine, a volte centinaia, di chilometri quadrati di estensione. La sismica 3D evidenzia questi sistemi deposizionali con la peculiare caratteristica di anomalie sismiche, che vengono interpretate come possibile evidenza di presenza di idrocarburi, conosciute con l'acronimo DHI (Direct Hydrocarbon Indicators). Il gruppo di geologi coinvolti decide di acquisire altre due sismiche 3D. Tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, si comincia ad avere un’indicazione abbastanza chiara dei prospetti da perforare, talmente grandi da dubitare che l’interpretazione dei dati fosse corretta.
Nel 2010, mentre si sta preparando la campagna di perforazione, dal blocco adiacente all’Area 4 arriva la notizia che è stato perforato un pozzo che ha scoperto una notevole quantità di gas. A ottobre del 2011 inizia la perforazione del nostro primo pozzo esplorativo in Area 4. Solitamente l’ubicazione del pozzo di esplorazione viene decisa sulla base di una serie di considerazioni di natura geologica, ma la geologia non è una scienza esatta; i geologi perforano dove pensano di trovare una mineralizzazione a gas così importante da rendere la scoperta di interesse economico. Ma non è solo questo. I pozzi vengono ubicati laddove si pensa che i sistemi torbiditici abbiano migliori caratteristiche, in termini di qualità delle rocce ma anche in funzione della configurazione dei fondali marini. Situazione che nell'Area 4 in Mozambico è abbastanza complessa: ci sono svariati e profondi canyonsottomarini che tagliano il fondale.
Le condizioni di perforazione a 2000 metri di profondità sono particolari: l’arrivo stagionale di correnti sottomarine potentissime, di cinque o sei nodi, vengono contrastate con difficoltà anche da potenti impianti come SAIPEM 10000, la testa pozzo sottomarina deve essere posizionata in un luogo sicuro, non devono esserci problemi di stabilità. Il primo pozzo viene chiamato MambaSouth1. Viene perforato dalla nave SAIPEM 10000 - nave a posizionamento dinamico - arrivata dall’Australia navigando nell’Oceano Indiano. Il fatto straordinario è comprendere che la scoperta è di un’entità molto più grande di quanto ci si aspettava. Le previsioni erano giuste, ma lo spessore e la qualità di quelle rocce serbatoio erano state sottostimate. Il team si è basato sui modelli migliori in circolazione, i modelli geologici derivati dalle scoperte fatte in Angola: su 100 metri di roccia serbatoio totali, 30-40 sono buoni. Su Mamba l’intero spessore di sabbie è producibile! Un successo strabiliante!
Il giacimento di Mamba si trova a circa 3400 metri di profondità, con uno spessore di oltre 300 metri. L’età geologica viene datata a circa 30 milioni di anni fa. Il giacimento è più grande di tutta la città di Maputo. Sono stati impiegati due mesi per perforare il pozzo, compresa l’acquisizione dati.
A seguito della prima grande scoperta, che ha portato alla luce le dimensioni “out-of-scale” del giacimento, i geologi continuano senza sosta la campagna di perforazione. Hanno già pronti alti quattro-cinque prospetti esplorativi. Ogni pozzo aggiunge volumi importanti: sono tutti al di sopra delle aspettative. In totale si perforano undicipozzi di successo, un risultato eccezionale per la storia di una campagna esplorativa. Nel 2012 scopriamo Coral, giacimento di età Eocenica di ottima qualità, con un enorme potenziale esplorativo. Si estende su una superficie di 300 chilometri quadrati e si trova a circa 4500 metri di profondità. Nel 2013, segue il giacimento di Agulha, che consente di esplorare il potenziale minerario di sequenze geologiche più antiche. Le operazioni esplorative durano 725 giorni. Agli undici pozzi "esplorativi" si aggiungono i pozzi di delineazione e i test di produzione. La campagna di esplorazione si conclude con 15 pozzi e un tasso di successo del 100%. Erano stati scoperti oltre 85 trilioni di piedi cubici di gas naturale (Tcf), equivalenti a 2.400 miliardi di metri cubi: numeri giganteschi!
La curiosità dei geologi Eni si spinge oltre. Perforano, trovano gas, e rimangono affascinati da quel mondo sotterraneo che non hanno visto da nessun’altra parte del mondo. La sismica suggerisce la presenza di fenomeni anomali: sulle superfici di questi corpi affiorano le increspature che il moto ondoso disegna sulla sabbia. Viene così rivisto il modello geologico. I geologi cercano di capire cosa queste forme, queste geometrie, possano rappresentare, e come inserirle nel modello deposizionale. Durante le operazioni di perforazione lo scalpello di perforazione scava nella storia di queste rocce e di questi mari, carpendo indicazioni utili alla comprensione del mistero che avvolge le acque profonde del bacino di Rovuma. Le rocce dov’è intrappolato il gas sono così spesse da far pensare all’esistenza di sistemi fluviali poderosi, capaci di trasportare quantità eccezionali di acqua e di sedimenti. Un esempio in Africa Occidentale è il fiume Congo. In Africa Orientale, invece, oggi i fiumi sono poveri, ma la storia geologica restituisce una verità diversa: anche sulla costa Orientale africana 30-40 milioni di anni fa c’erano sistemi fluviali vigorosi.
Il gruppo di geologi, guidati da Luca Bertelli (alla guida dell’esplorazione dal 2011 al 2022), costruisce un modello destinato a diventare famoso, che spiega il processo di deposizione di queste sabbie: sotto la spinta di forti correnti di fondo, le parti fini vanno a risedimentarsi altrove. E questo è quello che si vede in tutti i sistemi del Rovuma, in Mozambico.
Un successo frutto delle competenze Eni
La scoperta dei giacimenti Mamba, Coral e Agulha, nel bacino di Rovuma al largo del Mozambico, conferma l’efficacia della nostra strategia esplorativa.
In questa storia, il successo è dato dalla combinazione di tre fattori: una buona parte di attitudine al rischio; la costruzione di validi modelli geologici predittivi; la tecnologia, attraverso l'acquisizione della sismica tridimensionale, la sua elaborazione e interpretazione in tempi rapidi. Elementi questi che hanno consentito a Eni di essere pioniera delle attività di esplorazione del bacino di Rovuma. Alla base delle grandi scoperte in esplorazione c’è il coraggio, caratteristica che ha sempre distinto l’azienda, poi vi sono le idee geologiche a guidare: in Mozambico erano giuste, eppure, lontane dall’entità della scoperta. La tecnologia ci ha permesso di arrivare alle scoperte supergiant e di affinare il modello. I dati vanno costantemente aggiornati e rivisti. L’esplorazione di frontiera è fatta così, di intuizione, concetti e tecnologia.
Gran parte delle scoperte nell’Area 4 si estendono anche nell’Area 1, a parte Coral, anche altre, di dimensioni minori. I trattati di unitizzazione – che servono a stimare le percentuali di risorse nei giacimenti a cavallo di due licenze - sono la base su cui viene deciso il modo in cui verranno ripartiti i volumi di gas scoperto, una volta in produzione. Si tratta di processi complessi, in cui ognuno cerca di valorizzare al massimo la sua parte, soprattutto quando il giacimento è di grandi dimensioni. Nel caso di Coral, invece, il giacimento è compreso integralmente in Area 4. È stato così deciso di far partire la produzione con il progetto Coral South, e di farlo con un impianto galleggiante: la soluzione migliore dal punto di vista progettuale, la strada che porta al primo gas offshore dal Mozambico. Coral South è un progetto di portata storica per il settore e colloca saldamente il Paese sulla scena mondiale del GNL: il primo carico è partito dall’impianto Coral Sul FLNG il 13 novembre 2022.
Contenuti estratti da una conversazione con Luca Bertelli (a capo dell’Esplorazione di Eni dal 2011 al 2022) pubblicata nel photobook “L’Energia di Coral”
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