I ricercatori di Washington sono riusciti a mettere in sequenza il DNA dell’alga Chrysochromulina tobin. E questo potrebbe rivoluzionare il nostro modo di fare “il pieno” (alle stesse stazioni di servizio di oggi)
La scienza che decodifica il patrimonio genetico di un organismo, ovvero il genoma, fa capire quale rilevanza abbia la tecnologia moderna nel campo della biologia. Le tecniche sono migliorate velocemente, passando da procedimenti straordinari ma ancora complicati, a procedimenti relativamente semplici e veloci. Oggi riusciamo a mettere in sequenza l’intero complesso genetico di un individuo in sole 26 ore. Tuttavia, nonostante i progressi compiuti, ci sono voluti tre anni perché un gruppo di ricercatori dell’università di Washington riuscisse a mettere in sequenza il DNA di un organismo unicellulare molto più semplice.
In un recente articolo pubblicato sulla rivista PLOS Genetics, gli studiosi hanno infatti spiegato come sono riusciti a mettere in sequenza il genoma di una specie di alghe; la ragione per cui vi si sono dedicati con così tanta pazienza sta nell’attraente possibilità di usare il DNA decodificato per una migliore produzione di biocarburanti. “Trascrivere e copiare il codice genetico è stato abbastanza semplice”, spiega il direttore della ricerca Bake Hovde, “è capire cosa fa che ha richiesto moltissimo lavoro”. La specie di alga studiata si chiama Chrysochromulina tobin. Scoprire soprattutto dove termina un genoma e dove ne comincia un altro, nella sequenza estesa che è stata “srotolata”, ha comportato un tempo più lungo di quando lo si fa sugli umani, poiché esiste ben poca ricerca sulla decodificazione dei geni delle alghe in generale.
Ciò significa che non si aveva una lista di punti da cui partire, continua Hovde, come nel caso della maggior parte degli animali. Ma gli anni passati in laboratorio sono stati utili perché i risultati ottenuti potrebbero aiutare coloro che cercano di produrre biocarburanti dalle alghe trasformandole in una reale fonte energetica.
Ci sono due modi in cui la conoscenza del DNA delle alghe può essere utile, aggiunge Hovde. Per prima cosa, la specie decodificata ha prodotto molti acidi grassi, che sono importanti per la produzione di biodiesel, ma il problema è che quest’alga non cresce fittamente. Una crescita maggiore significherebbe una produzione più alta di acidi grassi, il che renderebbe i biocarburanti più efficienti e competitivi a livello economico.
Gli studiosi non sanno con certezza perché queste alghe crescano poco. “Ma un’ipotesi è che esse abbiano una specie di sensibilità per cui quando diventano troppo fitte smettono di crescere”, spiega Hovde. Se fosse questa la spiegazione, allora una modificazione genetica potrebbe farle crescere in maniera più fitta così da aumentare il prodotto. “Se riuscissimo a oscurare questa loro sensibilità, allora avremmo una strategia di attacco.”
Secondo punto: la Chrysochromulina tobin non solo produce più acidi grassi, ma il modo in cui li produce è conveniente per la produzione di biocarburanti. In queste alghe gli acidi grassi sono concentrati in due aree, mentre in altre specie gli acidi sono diffusi in tutta la cellula. Se si isolano i geni che controllano la distribuzione degli acidi grassi e si applicano ad altre specie di alghe che crescono più fitte, “questo potrebbe facilitare il risultato.”
Naturalmente i biocarburanti hanno ancora una lunga strada da percorrere prima di diventare competitivi nel prezzo così da essere una fonte di energia rinnovabile accessibile, ma è un’impresa che vale la pena di affrontare anche perché ogni singolo lavoro di ricerca ci avvicina all’obiettivo, prosegue Hovde. “Il punto a favore dei biocarburanti è che non c’è bisogno di ripensare le infrastrutture”. Auto, stazioni di servizio e motori sono disegnati per ricevere benzina e diesel, ed è molto più semplice trovare un carburante rinnovabile che funzioni in questo contesto che non rivoluzionare il modo in cui auto, strade e pompe di benzina sono state concepite, concludono i sostenitori delle alghe.
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