L'innovazione agricoltura

South Up!

Lanciata da Joule e conclusa nel giugno 2022, la call ha selezionato soluzioni innovative e tecnologiche nel settore agricolo, proposte da startup del Sud Italia insieme ad aziende della Basilicata.

di Davide Perillo
7 min di lettura
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La chiamano irrigazione intelligente. Oppure, se preferite, “un Decision Support System”, un sistema fatto di centralina meteo, sensori per misurare l’umidità del terreno e algoritmi che elaborano dati e previsioni. Il risultato? “Aiuta gli agricoltori a capire quando è il momento migliore per irrigare e permette di risparmiare quasi metà dell’acqua usata per i campi”. Matteo Cunial, il giovane che l’ha inventato assieme a tre soci, racconta che l’idea di Idroplan gli è venuta nell’estate 2015, quando la siccità creò un mucchio di problemi ai campi di mais dell’impresa familiare. Spunti, progetti, abbozzi, “Poi nel 2017 abbiamo vinto la StartCup Lombardia e siamo approdati al Premio Nazionale Innovazione”. Lì è nato il rapporto con PoliHub, l’incubatore del Politecnico di Milano: “Con i suoi mentori, importantissimi nelle prime fasi di una startup, ci ha aiutato a definire una direzione di sviluppo che abbiamo seguito nei mesi successivi e ci ha permesso di compiere i primi passi in modo più consapevole”. Ecco, quei primi passi hanno portato a far fiorire Farm Technologies, un’azienda che oggi impiega otto persone tra Milano e Roma, aiuta “oltre 230 imprese a gestire al meglio l’irrigazione” e collabora con università (Bologna e Roma) ed enti di ricerca come il CREA. Ma lo stesso percorso potrebbero raccontarlo altre realtà giovani, avanguardia di un mondo che resta importante per la nostra economia (l’agricoltura italiana nel 2020 vale 37 miliardi di euro, il 2,2% del PIL), ma ha bisogno come pochi altri di coniugare tradizione e innovazione, ritmi secolari e accelerazioni tecnologiche.

Il futuro del settore agricolo

È per far crescere realtà di questo tipo che è nata South Up!, la Call4Startup per  aspiranti imprese hi-tech del Sud e aziende agricole della Basilicata che ha avuto l’obiettivo di “proporre soluzioni innovative e tecnologiche nel settore agricolo, con particolare attenzione alla sostenibilità sia sociale che ambientale, sfruttando appieno la leva dell’economia circolare”, come recitava il bando. Un progetto ideato da Joule, la scuola d’impresa di Eni, assieme alla Fondazione Politecnico di Milano, allo stesso PoliHub e ad Alsia, l’Agenzia lucana di sviluppo e innovazione in agricoltura. Scopo: aiutare un settore che da queste parti è vitale da sempre, iniettando una concretissima spinta verso l’innovazione. Con tre assegni da 30mila euro l’uno, più un percorso accelerato di sviluppo dell’impresa, per le realtà con le idee più originali. Si è operato in due ambiti precisi, caratterizzati dalla sostenibilità e legati alla terra: l’agritech, ovvero le soluzioni che aumentano l’efficienza dei processi agricoli, e l’agroenergia, che invece studia come ricavare energia da materiali di scarto (e come ridurne il fabbisogno nei campi).

Ciò a cui si è puntato è trovare e far mettere in pratica buone idee sull’irrigazione mirata e la tracciabilità dei prodotti, la riduzione della chimica e la tutela delle biodiversità, lo sviluppo dei biocarburanti e l’Internet dell’agricoltura. Con tutte le possibili intersezioni tra la terra e il digitale. Mondi apparentemente lontani, eppure sempre più intrecciati. Ma si è cercato anche di offrire un ritorno ulteriore in termini di sviluppo e ricchezza a una regione che può contare su molte risorse.

L’amore per la terra

“Abbiamo puntato sull’agritech basandoci su studi di partner, come la stessa Alsia e FEEM. Sulle possibili traiettorie di sviluppo dell’economia locale”, dice Mattia Voltaggio, responsabile Startup Acceleration di Joule, la scuola per l’impresa di Eni. In effetti, basta sfogliare il report Opportunità per la Basilicata, pubblicato dalla compagnia energetica giusto un anno fa, per rendersi conto che resiste una vocazione agricola spiccata in questa regione. La Basilicata è la regione italiana con più aziende agroalimentari in rapporto alla popolazione: oltre 45mila imprese su 560mila abitanti. Un lucano su 12, bambini compresi, ha a che fare in qualche modo con la terra. È la mappa di una realtà fatta perlopiù di microimprese, con tutti i limiti che si porta dietro la frammentazione, ma anche con tutte le potenzialità che spuntano quando il cambio generazionale porta nei campi imprenditori più giovani, con voglia e bisogno di innovazione.

South Up! È servita proprio a fare scouting, a cercarli. L’opportunità è stata aperta a tutto il Meridione. I candidati iscritti hanno goduto di una settimana di formazione ad hoc, per mettere a punto strumenti e metodologie di lavoro. Poi, le realtà selezionate sono state affiancate da un mentore di PoliHub e, a seconda della loro idea, abbinate a un’azienda agricola locale. Inoltre, hanno ricevuto fondi e tre mesi di affiancamento per sviluppare il progetto. Il tutto mettendo insieme attori oltre i confini regionali. Per le valutazioni sono stati coinvolti il Politecnico di Bari, la Federico II di Napoli, l’Università di Messina e l'Università degli studi della Basilicata. È stato dato un unico vincolo: “Le startup potevano arrivare da altre zone del Sud, ma le aziende che lavoreranno con loro dovevano essere lucane”, dice Voltaggio. È stato un modo per superare l’impasse vissuta altre volte, in un territorio dove capita che un’impresa trovi finanziamenti per progetti interessanti ma poi, finita la prima fase, porti tutto a crescere altrove.

L’urgenza dell’innovazione

Non è un caso che al Sud resti solo una piccola fetta di una torta che, di suo, è più grande di quanto ci si aspetterebbe. Perché nell’agricoltura 4.0 l’Italia è messa bene. Secondo uno studio 2017 della School of Management del Politecnico di Milano, ben l’11% delle startup globali del settore agroalimentare è Made in Italy (per intendersi, nel Turismo siamo al 2%, nella finanza sotto l’1). Di queste, però, solo una su dieci è nel Mezzogiorno.

Urge quindi un’accelerazione. Anche per questo il calendario dell’operazione è stato compresso: sei mesi in tutto, dall’apertura del concorso alla messa in strada. “Ma in un’iniziativa così, più stringi i tempi iniziali, più possibilità hai di sperimentare nei campi”. Dice Voltaggio: “E per vedere il pieno sviluppo dei progetti vincitori che avranno a che fare direttamente con le colture, inoltre, bisognerà aspettare il ciclo delle stagionalità”. I tempi della terra insomma, da rispettare e combinare con la velocità offerta e richiesta dall’hi-tech. E chissà che dalla combinazione non emergano altre aziende come la Farm Technologies di Cunial e soci, con il loro Idroplan. O la laziale Reset, che ha appena inventato un sistema di cogenerazione per produrre energia da biomasse legnose e scarti agricoli. O come i tanti altri esempi di un’Italia che nell’agritech ha tanto da dire e da dare.

Visto il successo, a South Up! non escludono di allargare il progetto, “scalando l’iniziativa in modo da generare un maggior impatto e consolidare l’ecosistema”. E magari, chissà, esportandolo in altri territori e in altri settori. Ma si vedrà. In fondo, è un seme: ha bisogno di lavoro. E di caparbietà…

L'autore: Davide Perillo

Giornalista, attualmente si occupa di sostenibilità, temi sociali e Terzo Settore. Ha diretto per 13 anni la rivista Tracce. Membro della redazione del Meeting di Rimini (evento internazionale per il quale ha curato numerosi incontri), è stato caporedattore a Sette, magazine del Corriere della Sera, e ha seguito l’economia per L’Europeo. È laureato in Filosofia e ha un master in Giornalismo.