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Il valore della cultura in Congo

I progetti Eni per consolidare un legame nato molto tempo fa con un Paese colmo di storia e ricchezze.

di Davide Perillo
14 aprile 2021
9 min di lettura
di Davide Perillo
14 aprile 2021
9 min di lettura

La statua è lì da quindici anni, imponente: sei metri abbondanti di marmo bianco, a presidiare il giardinetto e l’ingresso del mausoleo. Ha i piedi nudi, un lungo bastone nella destra e un turbante a incorniciare il volto, che non assomiglia tantissimo agli altri ritratti conosciuti, ma rende l’idea del personaggio. Ovvero, Pietro Savorgnan di Brazzà (1852-1905), l’esploratore italo-francese che nel 1880 strinse un patto di amicizia con re Makoko, sovrano dei Téké, aprendo la strada all’arrivo dei francesi sulla riva destra del Congo.

È passato più di un secolo, il mondo è cambiato, il colonialismo finito da tempo. Il fiume separa due Paesi con nomi che si accavallano e spesso creano confusione in chi non ha presente la mappa. Di qua il Congo ex francese, di là la Repubblica democratica del Congo, un tempo terra occupata dai belgi. Brazzà è lì, celebrato da un Paese che gli ha intitolato persino la capitale, Brazzaville, appunto, e che ha voluto per lui la statua e il mausoleo celebrativo, affacciati sulla riva del fiume dal 2006. E ora gli dedica anche un nuovo palazzo, costruito accanto al Memoriale e inaugurato lo scorso 24 febbraio.

I nuovi progetti di Eni in Congo

Due piani, in muratura bianca. In basso, la biblioteca, i PC, la sala della mostra permanente, con oggetti della tradizione dei Téké e degli altri popoli di questa zona e una sala conferenze da 565 posti. Al piano di sopra, aule per bambini, cineteca e altre postazioni di computer. "Un luogo così, in città, non esisteva, ed è importante perché può fare da base a una realtà culturale molto vivace", spiega Mirko Araldi, Direttore generale di Eni Congo.

È una tappa importante di un legame che dura da tempo: Eni è presente nel Paese dal 1968. Ma se l’azienda italiana ha investito nel progetto, dando un contributo decisivo per regalare questo luogo alla città, è anche per un altro motivo: Brazzà, appunto. Personaggio particolare, decisamente anomalo nel modo di rapportarsi alle popolazioni locali. "Non usava la forza, ma il dialogo e la conoscenza reciproca: se parla con la gente di qui, lo conoscono tutti. E per noi è significativo richiamarci a questi valori, anche oggi".

Il Memoriale di Brazzà è uno dei tre progetti previsti da un accordo firmato con il governo congolese. Gli altri sono a Makoua, nell’entroterra, e a Pointe-Noire, in riva all’oceano. "Un pacchetto di investimenti da 15 milioni di dollari, a supporto della cultura e del Paese", spiega Araldi, in Congo da un anno e mezzo e direttore dal gennaio 2021: "È un’operazione no profit: non abbiamo vantaggi economici e non recupereremo i costi". In cambio, però, c’è la spinta data allo sviluppo di un Paese che per il Cane a sei zampe è un partner storico, e che negli ultimi anni ha fatto passi notevoli. "Io avevo già lavorato qui tra il 2008 e il 2011, subito dopo l’assunzione", racconta Araldi: "Tornando, ho avuto modo di apprezzare il cambiamento: tante cose sono simili, ma c’è molto più ordine, pulizia, organizzazione. Si nota anche per strada. La centrale elettrica che abbiamo costruito fornisce ora energia alle case, agli uffici e non si sente più il forte rumore dei tanti gruppi elettrogeni". Le sue strade sono quelle di Pointe-Noire, base degli uffici di Eni.

La crisi del Covid ha pesato anche qui, il 2020 è stato un anno complicato. "Ma è una città dove si vive bene, in sicurezza. Nel tempo libero si può andare al mare, la natura è bellissima. Tuttavia, si avvertiva la mancanza di un posto dove organizzare degli incontri, una mostra, attività culturali". Adesso c’è. È il Musée du Cercle Africain, ristrutturato e restituito alla popolazione a fine 2018.


Un gruppo di studenti in visita al Musée du Cercle Africain, a Pointe Noire

Il centro della cultura

"Era un circolo molto attivo negli anni Sessanta, un luogo di ritrovo importante per la comunità locale", spiega Araldi: "Poi ha conosciuto un periodo di declino". E la città, la seconda più importante del Congo, con i suoi 715mila abitanti, anche qui ha sofferto a lungo della mancanza di un luogo di incontro, dove si potessero organizzare eventi culturali. "Alcuni eventi erano organizzati nelle hall degli alberghi, ma non è la stessa cosa. Per la gente, e per il valore del posto". A cominciare dalla posizione, importante: "È sul Rond-point Lumumba, la rotonda dalla quale si dipartono sette grandi strade e che di fatto segna una specie di trait d’union fra due anime della città. C’è voluto un anno e mezzo di lavoro per arrivare a uno standard da museo europeo

Un centro organizzato su più attività: "Una mostra permanente con oggetti d’arte della cultura congolese: statue, maschere e via dicendo", racconta Araldi. In gran parte provengono dalla donazione di una collezione personale fatta alla città. Poi una sala con fotografie sulla storia del Paese e della ferrovia Congo-Ocean, momento fondamentale per lo sviluppo della zona. E in un’altra sala, la galleria vera e propria, "in cui si programmano mostre con artisti selezionati, assieme al Comune e al Ministero della Cultura, gli altri membri della Fondazione che gestisce il circolo". In più, il portico e lo spazio all’aperto, con un centinaio di posti a sedere. "Ci ha permesso di organizzare concerti, quando ancora si poteva, prima del Covid. E serate jazz, incontri con artisti locali, proiezioni di film e attività per i bambini".

I bambini, appunto. Sono tra i destinatari più preziosi, per un’iniziativa come questa. Entrano gratis (gli adulti pagano un prezzo simbolico), accedono alla galleria, partecipano a laboratori. "Soprattutto, vivono uno spazio comune pulito, ordinato, colorato. Possono godere di una qualità del tempo diversa dal solito. E dedicarsi a qualcosa di bello, di costruttivo. È un messaggio forte. Per molti di loro, vuol dire seminare la possibilità di una vita diversa, dando una possibilità in più di sviluppare il loro talento".

La città sulla linea dell’Equatore

È la stessa idea del progetto di Makoua, cittadina che sta mille chilometri a nordovest, nella regione di Cuvette. È decisamente più piccola, meno di diecimila abitanti, ma ha una caratteristica importante: l’Equatore passa proprio di là. Anzi, esattamente sulla palazzina bianca datata 1905 che un tempo era la sede del governatore locale, e adesso, dopo anni di abbandono e la ristrutturazione pilotata da Eni, è diventata un Centro culturale multimediale.

"Accanto all’edificio principale ne abbiamo creati altri", racconta Araldi: "È stata aperta una biblioteca con due sale di lettura, un’aula con pc e connessione al Web, una ludoteca per i più piccoli e un locale conferenze da 200 posti". Per una cittadina di piccole dimensioni e abbastanza isolata, è un regalo enorme: "Vuol dire permettere a bambini e ragazzi di studiare, fare ricerche, collegarsi al mondo. Può essere davvero una possibilità decisiva". Ma significa anche offrire agli adulti un luogo di ritrovo disponibile a tanti usi: "Il censimento delle persone fragili, destinatarie di aiuti per l’urgenza Covid si è svolto lì", spiega Araldi.

Se si aggiunge che, assieme alla ristrutturazione, i lavori hanno permesso pure di scavare tre pozzi d’acqua per la popolazione (due in città, uno appena fuori), l’impatto di un progetto del genere sulla vita delle persone si capisce ancora meglio. Araldi continua: "Inaugurare una biblioteca, o una sala computer dove verranno dei ragazzi a studiare per costruire il loro futuro, dà una soddisfazione immensa".

Valori condivisi

Ma quanto è importate entrare in sintonia con la cultura di un Paese, la sua mentalità, le tradizioni? "È fondamentale. Anzi, è una condizione necessaria per lavorare bene. Firmi i contratti, fai gli accordi e segui tutte le regole, ma poi c’è qualcosa che va oltre. Diventa una questione di rapporti, di legami. Di soluzioni sostenibili da cercare insieme. È indispensabile riuscire a comprendere l’altro valorizzando gli aspetti di comune interesse. È il cuore del modello dual flag di Eni".

Anche per questo la cerimonia davanti alla statua di Brazzà è stata significativa. Hanno partecipato il Premier, il ministro dell’Ambiente e quello degli Idrocarburi. C’erano gli ambasciatori e la stampa. "Hanno presenziato anche i rappresentanti dei Téké, che si sono esibiti in una danza propiziatoria, benedicendo il posto ed evidenziando come la figura di Brazzà rappresenti valori condivisi. Per me è stato toccante essere lì. Quella danza di fronte alle autorità ribadiva quanto siano cruciali il dialogo, la non violenza, il rispetto tra i popoli. È l’unica strada per costruire, sempre".


L'inaugurazione del 2° modulo del Memoriale di Savorgnan di Brazzà, a Brazzaville

L'autore: Davide Perillo

Giornalista, attualmente si occupa di sostenibilità, temi sociali e Terzo Settore. Ha diretto per 13 anni la rivista Tracce. Membro della redazione del Meeting di Rimini (evento internazionale per il quale ha curato numerosi incontri), è stato caporedattore a Sette, magazine del Corriere della Sera, e ha seguito l’economia per L’Europeo. È laureato in Filosofia e ha un master in Giornalismo.