Il processo e la tecnologia con cui produciamo biocarburanti avanzati partendo dagli scarti alimentari e dalla frazione organica dei rifiuti domestici.
Il sistema Waste to Fuel produce biocarburanti utilizzando la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU), il cosiddetto “umido” costituito dagli scarti di cucina. È il primo esempio al mondo di questo genere ed è stato progettato, sviluppato e coperto da brevetti nel Centro Ricerche per le Energie Rinnovabili e l'Ambiente di Novara. Un impianto pilota è stato realizzato alla fine del 2018 nella bioraffineria di Gela ed affidato a Eni Rewind: può trattare circa 700 kg di FORSU al giorno. Dal processo Waste to Fuel si ricava dal 3% al 16% di bio-olio (in funzione della composizione della carica in ingresso). Questo può essere utilizzato direttamente come combustibilea basso contenuto di zolfo per il trasporto marittimo o raffinato per ottenere biocarburanti ad alte prestazioni. Dal processo, inoltre, si ricava gas (principalmente biometano e CO2) e fino al 95% di acqua che, una volta depurata, è riutilizzabile per l’irrigazione o all’interno dei cicli produttivi. Oltre ai rifiuti, Waste to Fuel può trattare fanghi di depurazione, potature, scarti dell’industria agroalimentare e della grande distribuzione.
Ogni anno in Italia vengono raccolte circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti. Di queste, 14 milioni di tonnellate sono correttamente differenziate e, all’interno di queste, circa 7 milioni di tonnellate sono di FORSU. Promuovendo una maggiore e più corretta differenziazione degli scarti di cucina si potrebbero raggiungere i 10 milioni di tonnellate di FORSU raccolta. Questo, attualmente, viene utilizzato soprattutto per produrre compost per l’agricoltura e, in misura minore, biogas. Un settore sempre più indispensabile, ma che rappresenta anche un costo crescente per la collettività. Abbinando una buona raccolta differenziata a una diffusione degli impianti Waste to Fuel, su tutto il territorio nazionale, potremmo idealmente ricavare ogni anno circa un miliardo di litri di bio-olio, equivalente a circa 6 milioni di barili di greggio all’anno. Sarebbe come scoprire un piccolo giacimento senza, però, dover perforare pozzi e senza, soprattutto, emettere nuova CO2. Con una sola azione potremmo dare un grande contributo alla sicurezza energetica del Paese e ridurre, al tempo stesso, la quantità di rifiuti e le emissioni di gas serra.
Con Waste to Fuel imitiamo in due o tre ore il processo naturale con cui la Terra ha generato gli idrocarburi da organismi antichissimi impiegando centinaia di milioni di anni. Il cuore della tecnologia è la termoliquefazione, un processo termochimico in soluzione acquosa che trasforma la biomassa di partenza in una sorta di “petrolio biologico” o bio-olio. Qui viene recuperata e concentrata quasi tutta l’energia contenuta nel materiale organico di partenza, mantenendo la preziosa componente di idrogeno e carbonio e separando l’acqua. Ogni passaggio è studiato per ridurre le dispersioni e ottenere un prodotto con un elevato potere calorifico (35 MJ/Kg) e un basso tenore di zolfo. Il primo vantaggio della termoliquefazione rispetto ad altri processi di trattamento dei rifiuti è che non è necessario eliminare l’acqua. In tutti gli altri processi, infatti, l’acqua viene fatta evaporare riscaldando la biomassa con evidenti costi energetici. Qui, invece, l’acqua viene utilizzata nella reazione stessa sfruttandone le proprietà acide ad alta temperatura. Inoltre, si utilizzano temperature più basse: 250-310 °C invece dei 400-500 °C della pirolisi e degli 800-1000 °C della gassificazione. La termoliquefazione ha una resa energetica molto vantaggiosa che raggiunge l'80%, contro un 50-60% per il biogas e un 10-30% per gli inceneritori. Ma il vantaggio decisivo del Waste to Fuel è la possibilità di trasformare in bio-olio un rifiuto che ha un costo di smaltimento, rendendolo in una materia prima utile attraverso i principi dell’economia circolare.
Dopo il primo impianto pilota discontinuo e su piccola scala realizzato nel Centro Ricerche per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente di Novara, il primo impianto pilota Waste to Fuel in continuo è stato realizzato alla bioraffineria di Gela, alimentato ogni giorno dal FORSU raccolto dalla Società per la regolamentazione del servizio per la gestione rifiuti di Ragusa. A marzo 2019 abbiamo sottoscritto con Cassa Depositi e Prestiti un accordo per la promozione congiunta di progetti di decarbonizzazione e per il contrasto al cambiamento climatico. A marzo 2020 è nata CircularIT, la società, partecipata al 49% da Eni Rewind, la società ambientale di Eni e al 51% da CDP Equity, holding del gruppo Cassa Depositi e Prestiti CDP, sarà dedicata allo sviluppo degli impianti Waste to Fuel. Nel corso del Piano Strategico 2020‐2023, Eni Rewind avvierà progetti per la realizzazione di impianti Waste to Fuel su scala industriale, per una capacità complessiva di trattamento prevista pari a 600.000 tonnellate/anno. Inoltre, a marzo 2019, la nostra soecità Eni Rewind ha firmato un accordo con Veritas, municipalizzata di Venezia per la gestione dei servizi ambientali. L’obiettivo è la realizzazione di un impianto industriale Waste to Fuel da realizzare su un’area bonificata da Eni Rewind nel sito petrolchimico di Porto Marghera. Questotrasformerà in bio olio e acqua fino a 150 mila tonnellate all’anno di frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU).
I recuperi energetici di Waste to Fuel sono virtualmente carbon neutral poiché, impiegando il bio-olio ottenuto per alimentare motori termici, si sviluppa la stessa quantità di anidride carbonica presente nella biomassa di partenza, a sua volta captata dall’atmosfera e fissata nella materia organica dalle piante attraverso la fotosintesi. A questo ciclo virtuoso non è quindi necessario aggiungere altro carbonio proveniente da combustibili fossili. In altre parole, invece di liberarsi nell’atmosfera, il carbonio viene immagazzinato nel bio-olio e nel bio-carburante, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Direttiva Europea sulle fonti rinnovabili nei trasporti (RED II). Il residuo solido viene invece reso inerte recuperando l’energia residua all’interno del processo stesso, mentre le acque sono utilizzate per la produzione di biogas e biometano e poi purificate per poter essere riutilizzate in agricoltura. Se applicato in Paesi con un’economia ancora fortemente agricola, inoltre, il sistema potrebbe garantire uno sbocco industriale alle grandi quantità di biomasse di scarto contribuendo al rifornimento di carburanti per il mercato locale.
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