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Basilicata, una foresta incantata. Importante proteggerla

L’ecosistema della biodiversità lucana è ricchissimo. Studi, progetti di ricerca e l’attività della filiera produttiva ci restituiscono un patrimonio tutelato e con ampi margini di crescita. Ma i rischi non mancano

di Lucia Serino
04 giugno 2025
9 min di lettura
di Lucia Serino
04 giugno 2025
9 min di lettura

Assenzio, salvia, sambuco, timo, ginepro, angelica, genziana, ruta, centaurea, lavanda: cosa cercate? Ognuna di queste piantine ha proprietà diverse, digestive, stimolanti, espettoranti, antisettiche, una farmacia della terra. Ma anche bontà da distillare. Il cocktail di biodiversità appenniniche più famoso è antico. Dal laboratorio di Pisticci l’unica notizia che trapela è il nome di alcune erbe officinali, radici e fusti aromatici che oltre all’alcool, l’acqua e allo zucchero compongono il liquore, Amaro lucano, meticolosamente curato dall’azienda agricola di Pasquale Vena, partner capofila del partenariato F.L.E.O - Filiera Lucana Erbe Officinali.

L’Appennino lucano è pieno, poi, di erbe aromatiche che utilizziamo nella nostra cucina, origano, menta, rosmarino, basilico, prezzemolo, aglio, cipolla, rafano, timo, salvia. Una grande biodiversità spontanea, negli anni sempre più catalogata e studiata, anche perché le piante “parlano”, ci raccontano il loro tempo, quello che è stato e quello che sarà, reagiscono alla sofferenza climatica, deperiscono, si adattano, rinascono, ci forniscono sicuramente dati utili per comprendere fenomeni estremi e il loro impatto sulla vulnerabilità dell’ecosistema.

Migliaia di piante lungo l’Appennino

Ma partiamo dalle cose belle. In Basilicata sono state censite 2.636 piante, coltivate e spontanee. L’Alsia è l’ente regionale principale che se ne occupa, ma sono numerose le ricerche nate soprattutto su impulso del Consiglio regionale, spesso con il supporto dell’Università della Basilicata. Uno dei cataloghi più esaustivi è quello messo su da Caterina Potenza e suo marito Osvaldo Tagliavini, rispettivamente responsabile della sezione naturalistica e presidente dell’associazione micologica “Bresadola” di Potenza.

“Erbe e fiori del territorio lucano: un mondo da scoprire” è il titolo del loro lavoro di ricerca, grazie al quale si è riusciti a classificare una specie di foresta incantata dove puoi imbatterti in specie velenose o taumaturgiche, foglie profumate e canneti maleodoranti, spezie rarissime come la “Heptatera angustifolia» e addirittura specie artiche come la “Polygala angelisii” e la “Saxifraga paniculata”. C’è la “vedovella” solitaria, “l’Achillea” (una pianta medicamentosa che sarebbe stata utilizzata dall’eroe greco per lenire le ferite dei soldati), una rara specie di basilico, l’anice nero, il carciofo di Gerusalemme che cresce lungo i corsi d’acqua, e una lunga varietà di origani, bacche profumate e ortiche respingenti, semi per infusi digestivi e antinfiammatori, prelibatezze aromatiche per torte e taralli. Una ricchezza che, secondo la ricerca degli autori, è di 2.636 specie appunto, il 34,5 per cento della flora italiana. E poi ci sono i campi coltivati, sempre di più a lavanda, come il campo di Viggiano (il progetto Agrivanda, realizzato nelle vicinanze del Centro olio di Eni) ma anche campi di tulipani e girasoli, differenziati a seconda delle stagioni, come fanno alla Hope Company a Lagopesole, frazione di Avigliano.

Ma come se la passa questa foresta incantata? Anche qui - ma quale luogo è al riparo? - il cambiamento climatico è la grande variabile che sta trasformando l’habitat naturale. Anche la grande foresta incantata della Basilicata - oltre 350.000 ettari di superficie boschiva - è interessata da diversi fenomeni di deperimento.

Due ricerche sul cambiamento climatico

Uno studio del 2022 dell’Alsia e della Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari e dell’Ambiente dell’Università della Basilicata ci offre uno scenario preoccupante ma al tempo stesso ci fornisce dati utili per mettere a punto meccanismi di adattamento. La ricerca ha interessato il bosco di Gorgoglione, in provincia di Matera, costituito prevalentemente da Quercus cerris L. e Quercus pubescens Willd, in cui sono state osservate condizioni di sofferenza con conseguente riduzione del tasso di crescita delle piante a partire dal 2000. Allo stesso modo, a San Paolo Albanese, piccolissimo comune del Pollino, è stata rilevata una riduzione della vitalità dei querceti (Quercus frainetto), con riduzioni del tasso di crescita di circa il 40% in risposta a condizioni calde e secche. Ulteriori studi sono stati effettuati presso il bosco di Pantano di Policoro, tra gli ultimi boschi planiziali del sud Italia caratterizzato dalla presenza della Quercus robur L. (la più diffusa in Europa), notevolmente minacciata dagli effetti dei cambiamenti climatici e dall’attività antropica.

La ricerca rileva che gli esemplari arborei sono interessati a fenomeni di disseccamento, embolia dei flussi linfatici e fame da carbonio (carbon starvation), dovuta alla riduzione dell’attività fotosintetica che si verifica durante eventi estremi di siccità e ondate di calore. Gli scenari non sono incoraggianti e spingono i ricercatori a ipotizzare anche la completa alterazione del paesaggio forestale con la comparsa di nuove specie arbustive, meglio adattate a climi caldi e secchi.

Sempre l’Università della Basilicata ha condotto un altro progetto di ricerca (ciclo XXXVI del Dottorato in Scienze e Tecnologie Agrarie, Forestali e degli Alimenti,) in collaborazione con la Scuola SAFE dello stesso ateneo, focalizzato sullo studio della vulnerabilità delle foreste e sulla comprensione della loro resistenza, recupero e resilienza in risposta ai cambiamenti climatici, in particolare in risposta all’ondata di calore del 2017. Per usare le parole testuali della ricerca: “I popolamenti analizzati presentano diversi sintomi quali ingiallimenti fogliari, disseccamento apicale, abscissione dei rametti, ovvero sintomi riconducibili ad un complessivo stato di stress fisiologico”.

I metodi utilizzati sono due: la dendrocronologia e il telerilevamento. Con la prima sono stati analizzati gli anelli dei fusti degli alberi, che sono un vero e proprio registro degli eventi climatici avvenuti nel tempo. Gli anelli di crescita più ampi identificano annate favorevoli, mentre gli anelli di crescita più stretti sono tipici di annate sfavorevoli, caratterizzate dunque da disturbi. Con il telerilevamento, invece, è stato possibile analizzate lo stato di salute delle piante applicando degli appositi indici vegetazionali per comprendere l’efficienza dell’attività fotosintetica: valori dell’indice più vicini a zero indicano un cattivo stato di salute, mentre valori vicini a uno indicano un buono stato di salute della vegetazione. Le informazioni acquisite consentono di comprendere non solo la vulnerabilità delle foreste a eventi climatici estremi, ma anche quali specie sono più resistenti o resilienti. In questo modo è possibile esaminare quale potrebbe essere la futura evoluzione del paesaggio forestale e favorire lo sviluppo di strategie di gestione adeguate a fronteggiare gli impatti dei cambiamenti climatici.

Il progetto Meplasus

Il progetto Meplasus (“Medicinal Plants in a Sustainable Supply chain. Experience of land-use practices”), iniziato nel 2021 e terminato nel 2023, finanziato dal Fesr della Regione Basilicata, ha messo insieme gli enti di ricerca lucani (CREA-PB, DiS-UNIBAS e ALSIA) che si occupano di agricoltura e sperimentazione e che svolgono attività di ricerca nel settore delle piante officinali sia nella fase di produzione che della prima trasformazione. Tra aprile e novembre 2023, il CREA ha svolto una serie di incontri territoriali – l’iniziativa si chiama “Filiera in tour” – in azienda, con imprenditrici e imprenditori agricoli che coltivano piante officinali, al fine di realizzare un vero e proprio percorso conoscitivo del comparto lucano attraverso l’ascolto diretto dei protagonisti.

Il percorso laboratoriale ha fatto tappa, in provincia di Potenza, ad Anzi, Balvano, Baragiano, Bella, Ripacandida, Genzano e nel Parco Nazionale del Pollino a Noepoli, mentre in provincia di Matera le tappe sono state Irsina, Tricarico, Grassano, Pisticci e, sempre sul Pollino, San Giorgio Lucano.

Della storica azienda dell’Amaro lucano abbiamo detto all’inizio. È la più nota ma non l’unica in Basilicata. Il partenariato F.L.E.O di cui fa parte, annovera 53 aziende.

Per fare qualche esempio, a Irsina, la Cooperativa Sud officinale coltiva 6 ettari di terreni irrigui nella piana del fiume Bradano, è leader nazionale nella produzione di piante officinali da agricoltura biologica e biodinamica certificata. La Lucana Officinali Soc. Coop., sorta nel 2016, ha circa 70 ettari di superficie, situati prevalentemente nell’area protetta del Parco nazionale del Pollino. L’intera produzione viene poi lavorata dalla società “EVRA Italia srl”, di Lauria, che si occupa anche di piante spontanee. Altra realtà regionale rilevante è l’Associazione Lucana Produttori Piante Officinali e Zafferano (ARLPPOZ) che ha 40 soci.

E tutte queste piante a cosa serviranno? C’è solo l’imbarazzo della scelta: dai prodotti alimentari in generale (miele, caramelle, cioccolate, aromi) ai prodotti da forno (panettoni, dolci, pasta, biscotti, etc. a base di zafferano o altre officinali), ai liquori, alle birre, alle tisane, ai prodotti erboristici e cosmetici, agli integratori alimentari, ai mangimi destinati al settore zootecnico, ai prodotti per l’igiene della casa.

La Basilicata delle piante officinali è servita, clima permettendo.