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Sviluppo lucano, confrontarsi sugli scenari senza pregiudizio

Dalle risorse energetiche agli altri asset produttivi, in attesa del piano strategico regionale

di Lucia Serino
24 marzo 2025
7 min di lettura
di Lucia Serino
24 marzo 2025
7 min di lettura

Cosa è più utile per la Basilicata di oggi? Su cosa conviene puntare per non arrestare lo sviluppo di questo pezzo dell’Italia interiore, come fare, anzi, per indirizzarlo tenendo conto dei nuovi contesti generali, produttivi, degli orientamenti europei, degli equilibri sovranazionali, dei mutati comportamenti dei corpi sociali e dello spopolamento crescente?

È preferibile “catturare” il vento della Murgia materana o serve ridurre l’impatto paesaggistico delle pale alle porte di Potenza, serve ripensare il polo produttivo di Melfi dove il distretto dell’automotive attraversa un momento cruciale ma dove resiste un centro di eccellenza di ricerca e innovazione dove lavorano decine di giovani ingegnerei lucani? Si può potenziare l’industria creativa come si apprestano a fare le rinnovate governance dell’Agenzia per la promozione turistica e della Fondazione Matera Basilicata 2019? E ancora riguardo al nuovo ciclo di programmazione europea 2021/2027: come misurare l’impatto della progettazione sulle dinamiche dello sviluppo (perché questo raccomanda in concreto la Corte dei conti europea), e i cantieri del Pnrr (ci sono meno di due anni per portarli a termine) sapranno ricollocare la regione in una geografia meno isolata? Infine, ma non per ultimo vista la fetta di Pil che rappresentano, le risorse energetiche dell’Oil&gas, a distanza di quasi trent’anni dalla costruzione del Centro Olio a Viggiano - era il 1996 - possono essere considerate ancora e per quanto tempo una importante opportunità per la Basilicata contemporanea che non può sfuggire al processo di transizione energetica?

Gli ultimi anni hanno dimostrato che lo sviluppo è un sistema complesso, in cui l’interazione e la corresponsabilità dei vari attori degli asset produttivi rappresentano una necessità. L’Agenda Basilicata è il cuore del documento strategico della legislatura del nuovo parlamentino lucano (un anno ad aprile) la cui discussione è stata già avviata in consiglio regionale e che dovrebbe concludersi con un documento d’approvazione alla vigilia dell’estate.

C’è un punto fermo, non negoziabile: ambiente e sostenibilità sono il quadro irrinunciabile entro il quale immaginare qualunque tipo di scelta di sviluppo in un contesto locale raramente scevro, negli ultimi anni, da una forte polarizzazione della discussione pubblica. Dopo anni trascorsi tra chi titolava che la Basilicata era il nuovo Texas italiano e chi immaginava che si potesse sterzare verso l’immaginifico mondo dell’audiovisivo nei Sassi, forse c’è una terza via sulla quale ragionare. Più realistica.  La transizione è un obiettivo, irrinunciabile, che però non fa salti. Da questo punto di vista è particolarmente significativa la reazione, da parte del mondo sindacale e industriale insieme, alla questione aperta del progetto di esercizio del pozzo Pergola 1 di Marsico Nuovo. Un progetto tutt’altro che archiviato, nonostante la pronuncia della commissione tecnica del Ministero dell’Ambiente, a seguito della quale Eni ha rinunciato al procedimento di valutazione di impatto ambientale. Sono, del resto, gli stessi sindacati a ricordare la centralità del pozzo nella strategia di permanenza delle attività del Cane a sei zampe in Basilicata: “Il pozzo estrattivo in questione - scrivono in una nota i segretari generali lucani Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil - rappresenta un tassello importante del piano industriale di medio periodo della compagnia, sia per il rilancio delle attività sia per la tenuta dei livelli occupazionali in Basilicata”. I sindacati avevano espresso seria preoccupazione di fronte all’ipotesi di abbandonare l’estrazione in un’area che, affermano, ha un significativo valore minerario.

Dal quartier generale del Distretto meridionale di Eni a Viggiano rassicurano sui tempi per il riavvio e il rilancio del progetto.

Meno che mai oggi servono strumentalizzazioni. Lo dice il presidente degli industriali lucani, Francesco Somma: “Strumentalizzazioni che rischierebbero di alimentare dinamiche dalle pericolose ripercussioni economiche e sociali”.

Perché il grande tema che riguarda la Basilicata continua ad essere questo: la produzione di Oil&gas (ad oggi non è più quella che metteva in crisi le giunte regionali sull’ipotesi di arrivare ad oltre 100 mila barili estratti al giorno in Val d’Agri quando ancora non era stata avviato il centro olio di Total a Tempa rossa) può essere considerata un driver di sviluppo e come si concilia con gli scenari della transizione energetica?

Le parole di Cgil, Cisl e Uil: “Avremo bisogno del fossile per un periodo più lungo di quello che ci separa dalla fine delle attuali concessioni in Basilicata”, affermano. E Somma: “Il settore energetico rappresenta per la nostra regione un asset strategico irrinunciabile. Ci troviamo in una delicata fase di transizione che la Basilicata può e deve affrontare facendo leva sulla straordinaria dotazione di risorse che naturalmente possiede. L’Oil&gas ha rappresentato e continua a rappresentare un pilastro fondamentale su cui consolidare le ottime performance che la nostra regione ha guadagnato in tutti gli ambiti della produzione energetica”.

No a pregiudizi ideologici, invita Somma, sì al confronto. Ed è proprio quello che ha avviato la regione per un piano strategico al 2030. Tenuta demografica, coesione territoriale, valorizzazione del potenziale delle risorse endogene, declinati nei diversi ambiti della società e dell’economia, questi gli obiettivi da perseguire nel decennio. È stato lo stesso presidente della regione, Vito Bardi, a sintetizzarli, nell’avviare la discussione sul piano strategico. “La legislatura 2024-2029 è cominciata con un quadro modificato. La sicurezza energetica e la difesa sono diventate priorità centrali, mentre la transizione verde e la digitalizzazione sono state adattate alle nuove esigenze legate alla crisi”. E sulle fonti alternative: “L’aumento della produzione da fonti di energia alternativa ci ha posto nelle condizioni di assecondare questo sviluppo e di cercare il più possibile di armonizzare l’interesse pubblico e gli interessi privati. Il riferimento è alla normativa approvata per impedire che le aree produttive divenissero grandi parchi fotovoltaici assorbendo tutti i lotti disponibili”.

Infine, il rischio della grande sete, con la crisi idrica che la Basilicata spera di essersi messa alle spalle. “Il caso dell’emergenza idrica ci fa assumere maggiore consapevolezza su un tema spesso affiorato nel dibattito pubblico nazionale, la questione manutentiva, di infrastrutture realizzate negli anni ’60 e ’70. Reti idriche che in Basilicata significano 13 mila km, ripeto 13 mila km di condotte, che spero – per chi lo ignorasse – danno il senso della difficoltà negli interventi”. Un’agenda non molto diversa da quelle delle altre regioni del Mezzogiorno. Con una differenza, sostanziale, che fa della Basilicata ancora una regione che ha un vantaggio competitivo rispetto al resto d’Italia: le sue risorse energetiche.