Tante innovazioni, completamento dei progetti Pnrr, due mostre in arrivo a Matera. Ne parliamo con Filippo Demma, direttore dei musei lucani e del parco archeologico di Sibari e Crotone, che ospiterà due parchi di energia solare
Disclaimer iniziale: questo pezzo è fortemente a rischio di imprecisione storica da parte di chi scrive perché a volteggiare nell’antichità c’è di bello che puoi immaginare, persino fantasticare, soprattutto se ti imbatti in un museo il cui direttore è capace di far rivivere il passato e far brillare le pietre liberando statuine di terracotta dal sonno millenario sotto teca, vestirle di paillettes a Capodanno o di maschere a Carnevale, in un viaggio digitale tutt’altro che distopico che atterra sulle date del calendario dell’oggi.
È stato anche così che il parco archeologico di Sibari – ora unito a quello di Crotone – si è svegliato dal torpore di un ricordo, solo un ricordo, ha incrementato, e di molto, i numeri, ha messo in campo progetti innovativi e lavoro, è diventato un luogo aperto a tutti dove il passato è contemporaneo ed esprime la consapevolezza di una ricchezza culturale che serve all’oggi.
Il direttore è Filippo Demma, 53 anni, archeologo. Da poco il comune di Cassano, di cui Sibari è frazione, l’ha voluto cittadino onorario e con questa ghirlanda d’alloro si appresta a mettere mano ai musei nazionali e ai parchi archeologici della Basilicata.
Dopo aver “governato” tutti i musei nazionali della Calabria (ma è solo il punto più recente del suo curriculum e della sua storia, che ha molto di lucano), la sua giurisdizione da novembre scorso è passata a quelli della Basilicata (formalmente ha una delega del direttore generale del Collegio romano che è Massimo Osanna, lucano di Venosa), mantenendo contemporaneamente salda la guida del suo gioiellino, Sibari, e di Crotone. Ma la comunicazione, brillante ed efficace, di quest’archeologo napoletano, con avi paterni di Corleto Perticara (di Tempa Demma, oggi Tempa rossa), figlio di uno scienziato del Cnr, fratello di un fisico nucleare, archeologo già bambino, è solo l’aspetto più evidente di un’attività tutta proiettata sulle grandi questioni di oggi, comprese quelle della transizione ecologica, la digitalizzazione, la sostenibilità.
Concediamoci il lusso di partire dall’inizio, perché la storia è divertente. Sono parole sue. “Papà era uno scienziato, all’inizio della carriera lavorava al CNR di Pozzuoli. Avrò avuto cinque o sei anni il giorno in cui mi portò con sé in laboratorio a vedere le diavolerie tecnologiche delle quali parlava così spesso da accendere la fantasia mia e di mio fratello. Quel giorno, alla mensa di Arco Felice, c’era pasta e lenticchie. Me lo ricordo per due motivi: perché da bambino odiavo le lenticchie e perché, in ragione di questo fatto, mio padre mi portò a mangiare una pizza, in centro a Pozzuoli. I tavoli all’aperto stavano su un marciapiede dal quale era possibile affacciarsi sulla cosa più meravigliosa che i miei occhi avessero visto, fino ad allora: uno specchio d’acqua marina dal quale spuntavano colonne, ruderi e delfini di marmo. Papà mi raccontò della grande città di Puteoli, del dio Serapide che venne dall’Egitto e del suo tempio semi-sommerso che era sotto i miei occhi, della terra flegrea che si inabissa, dei giganti, di Ulisse e di Enea. Di questi tipi strani che invece di pensare all’oggi, o al domani - come lui nel suo laboratorio - studiavano il passato e avevano la testa piena di storie e immagini, che sapevano interrogare la terra e gli oggetti e fargli dire da dove venivano, quando erano stati fatti, e da chi.
Poi tornammo in laboratorio e vidi altre meraviglie: un cannone laser, il microscopio elettronico che ingrandiva le cose milioni di volte, un materiale plastico capace di allontanare le fiamme.
La sera a casa mia madre mi chiese: allora, vuoi fare lo scienziato pure tu?
“Si”, risposi. “Voglio fare lo scienziato che trova il Tempio di Serapide sott’acqua e nuota coi delfini di marmo!”.
Una storia che l’avrebbe portato poi in giro tra università, scavi, musei. Molto a Sud. “Qui, in Calabria e Basilicata in prevalenza, ma anche in Puglia e in Molise, e in buona parte in Campania anche se qui la situazione è più complessa, il patrimonio culturale direttamente gestito dallo Stato cioè dal ministero della cultura è costituito in gran parte di parchi e musei archeologici perché è la parte di territorio che ha ospitato le più grandi civiltà della nostra storia. Le mappe geografiche antiche, diciamo le mappe ma è un parolone, avevano il Sud in alto, l’ovest a destra e l’est a sinistra, per dare un’idea dell’importanza di questi territori”. Appunti per novelli meridionalisti.
È storia recente che dagli anni Settanta agli anni Novanta il tentativo di far camminare insieme il sogno industrialista, soprattutto quello della fascia jonica, e quello turistico culturale è stato tortuoso, sinusoidale. Le campagne di scavo finanziate dalla Cassa per il Mezzogiorno si fermarono nel ’75, a Metaponto, a Sibari, e via via a scendere.
“A Sibari il lavoro di edizione e di riedizione delle cose lasciate inedite nei magazzini per decenni è partito adesso. A Metaponto ci sono le equipe della Scuola superiore meridionale insieme a quelle dell’Università della Basilicata, e della Vanvitelli di Napoli, che si trovano di fronte a una gran massa di dati di scavo e materiali ancora inediti mai inventariati e comunicati… Conosciamo ancora poco”. Lo spirito nuovo, che è tendenza ma richiede impegno, è che “i musei non sono più luoghi che ‘conservano le cose’ o non solo questo – dice Demma – il centro è il pubblico, la prospettiva è spostata sulle persone, sulla costruzione di una consapevolezza culturale”.
E in Basilicata? “Intanto sto procedendo alla riunificazione dei musei di Matera (Palazzo Lanfranchi, Ridola, e San Rocco), che erano un istituto autonomo, con la direzione nazionale dei musei di Basilicata”. Quindi tutti i musei di Potenza, Metaponto, Policoro, la Val d’Agri (sono tanti e li elenchiamo a parte ndr) sono ora raggruppati in un unico istituto dotato di autonomia gestionale, finanziaria e scientifica. Una riforma che riguarda tutta l’Italia, operativa da pochi mesi. In Basilicata sono rimasti – autonomi e gestiti da una direzione separata – i musei e parchi archeologici di Venosa e Melfi. La geografia amministrativa ministeriale è complicata ma qui è utile sottolineare che l’autonomia consente una progettazione più attenta ad esigenze differenti, e una valorizzazione del bene culturale decisamente più funzionale e aperta alle spinte della comunità locale. Se Sibari ha potuto accogliere, in omaggio alle antiche libagioni, un’edizione decentrata del Vinitaly dando una vetrina ai produttori e dunque all’economia locale, ora per Matera, città del pane, Filippo Demma già pensa a Ceres.
“Più che una mostra sarà un’azione culturale, gli istituti statali sono solo il terminale delle politiche culturali del territorio, bisogna coordinarsi con le comunità locali. Penso a un intero anno, che attraversi le stagioni, così come il ciclo del grano, dalla semina al raccolto, dando protagonismo ai produttori e alla scena creativa regionale. Ecco, se c’è una cosa su cui lavorare in Basilicata, non tanto a Matera per l’esperienza del 2019, ma nel resto della regione, penso sia proprio questo: armonizzare e coordinare la progettazione culturale con le comunità locali”. Quest’anno saranno anche i 50 anni della morte di Carlo Levi, “È l’altra iniziativa che ho in mente. Non un’esposizione statica, ma un’occasione per indagare con strumenti dinamici e innovativi l’eredità di un percorso storico dagli anni Cinquanta alla fine del Novecento. Ci sto lavorando, senza trascurare Potenza, la Val d’Agri e il resto della regione”.
Qui e negli altri musei, intanto, ci sono da portare a termine i progetti di sostenibilità del Pnrr.
“Sì, due misure del Pnrr, accessibilità ed efficientamento energetico. Le procedure erano state avviate, ci stiamo allineando alle tempistiche del piano europeo. In Basilicata, peccato, non ho trovato progetti di autonomia energetica come quello che ho potuto avviare a Sibari”. Dove sono stati progettati e appena consegnati i lavori di due parchi di produzione di energia solare per abbattere il notevole costo energetico, visto che il parco archeologico si trova ormai sotto il livello del mare, e per mantenerlo asciutto sono in funzione dieci wellpoint h24, delle piovre idrovore che comportano mezzo milione di euro di consumi di elettricità all’anno. “Con i pannelli solari alimenteremo le pompe a costo zero e potremo vendere il surplus mettendolo a disposizione di contratti di comunità”. Un parco nel parco “che avrà anche una funzione didattica, con l’installazione di screen wall per spiegare come si produce l’energia alternativa. Il tutto in un contesto ambientale molto curato”.
Per tornare alla Basilicata, era quasi un destino che Demma arrivasse qui. “Già, la storia dei trisavoli di Corleto Perticara e di quel palazzo nobiliare di famiglia poi passato di mano. Ci sono stato per la prima volta a quarant’anni, mio padre era restio a portarmici, ho passato lì il week end del mio compleanno, ci arrivai con la moto, guadando anche un ruscello”. Avventuroso, l’archeologo.