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«Qui in Eni ho trovato la mia seconda grande famiglia»

Maryna Koliesnikova, 24 anni, operatrice di produzione al Centro Olio di Viggiano, ucraina, il papà in guerra. «Sono in Basilicata da quando avevo 13 anni, l’integrazione a scuola non è stata semplice, al Cova molto più facile».

di Lucia Serino
06 marzo 2023
5 min di lettura
di Lucia Serino
06 marzo 2023
5 min di lettura

Dal cognome - Koliesnikova – appare evidente che nonno o bisnonno non devono essere esattamente della Val d’Agri.  Maryna, 24 anni, occhi celesti e capelli biondissimi, operatrice di produzione al Centro olio di Viggiano, sorride.

«È così, sono arrivata in Basilicata a 13 anni e si incuriosivano tutti, non parlavo italiano, è stata dura, ho dovuto ripetere la seconda media e non ho un ricordo particolarmente felice di quel periodo, l’accoglienza e l’integrazione sono processi lenti. Da un anno la curiosità sulla mia storia è cresciuta. Sono ucraina, vengo da Hnivan, a pochi chilometri da Kiev». 

E allora scusaci Maryna, chissà quante volte hai dovuto ripetere la tua storia, se ti va l’ascoltiamo pure noi.

«Tutta la mia famiglia è ucraina, solo il nonno materno è originario di Viggiano.  Siamo in Italia da una decina di anni, tranne papà, è rimasto lì, e recentemente è stato al fronte per tre mesi, a Bucha, poi è stato spostato. La guerra è una pazzia che ti fa saltare l’equilibrio. Ci videochiamiamo quando è possibile. I miei coetanei, ragazzi e ragazze, si sono ritrovati all’improvviso con un fucile in mano senza averlo mai visto. Molti miei ex compagni di scuola si sono rifugiati in Polonia. Io parlo perfettamente ucraino e russo, oltre all’italiano che ho imparato qui, in casa abbiamo sempre parlato le due lingue. Desidero solo una cosa, la pace».

Dicevi che non è stato semplice integrarsi qui in Basilicata.

«No, e non solo per una difficoltà linguistica. Lo sport mi ha aiutato tantissimo. Partecipai in rappresentanza della regione Basilicata alle gare nazionali di lancio del peso e fui la prima classificata. Vedere il mio nome sul giornalino scolastico mi riempì di gioia, mi sentii finalmente una del posto e cambiarono anche i miei rapporti con gli altri».

Come sei arrivata al Cova?

«Ho frequentato l’istituto tecnico di Moliterno a indirizzo chimico, faccio parte di quel gruppo di studenti ai quali fu proposto un corso di apprendistato da parte di Eni. Poi andai a Roma, volevo continuare gli studi di ingegneria chimica, non pensavo minimamente di poter approdare qui. Anche se talvolta con mio nonno ne parlavamo, lui di Viggiano, me ne parlava spesso con grande orgoglio, come una grande opportunità. A dire il vero una premonizione del destino c’era stata. Durante il corso di apprendistato eravamo stati accompagnati per una visita a Ravenna, dove ci sono le piattaforme per l’estrazione del gas in Adriatico. Mi era piaciuta quella dimensione. Ma non ci pensavo più».

E poi cosa è successo?

«È successo che un bel giorno, mentre ero in aula a Roma, in università, mi arriva una telefonata da un numero sconosciuto. In genere non rispondo mai a numeri sconosciuti. E non lo feci neppure a quel primo squillo. Che si ripeté, con insistenza. Risposi, allora. Mi cercavano dall’ufficio del personale di Eni per propormi un primo contratto di lavoro. Al quale ne sono seguiti altri fino all’assunzione a tempo indeterminato. Questa è la più bella famiglia che potessi incontrare, la mia seconda grande famiglia, il rapporto con i superiori è di grande accoglienza. Ho costruito relazioni tra persone prima ancora di aver acquisito delle competenze. E mi sono “meridionalizzata”. I più grandi li chiamo “zio”, talvolta anche “nonno”. La familiarità e la simpatia non pregiudicano mai il rispetto dei ruoli. Ma qui passo intere giornate».

Esattamente in cosa consiste il tuo lavoro?

«Sono una sentinella, in pratica. L’operatore di produzione monitora le apparecchiature e i processi di impianto e si pone come primo livello per la segnalazione e l’intervento in caso di emergenze. In H24, attraverso turni, il centro olio è sotto stretta sorveglianza, a vari livelli, ovviamente, digitali innanzitutto. Noi siamo l’occhio umano che non perde mai di vista la grande macchina sempre in attività».

E cosa ti piace di più di questo lavoro? Non sono giornate tutte uguali?

«Esattamente il contrario. Non c’è mai una giornata uguale alla precedente. È il senso di questo lavoro, affrontare l’imprevisto ed essere pronti a reagire. È un allenamento costate alla possibilità infinita di variabili. Così giorno per giorno crescono le competenze, fai esperienza sul campo, sei messo alla prova costantemente, quello che dai per acquisito non è per nulla scontato. È un po’ come la vita, c’è sempre l’inatteso in agguato, l’importante è avere gli strumenti giusti. E per me gli strumenti giusti sono innanzitutto il confronto costante con chi ha diverse conoscenze delle mie e la sensazione che condividerle è il miglior modo possibile per crescere in una realtà produttiva come questa. Poi, certo, c’è la giusta competitività. Ho 24 anni, mi auguro di fare carriera».

E allora auguri Maryna. E scusa l’ultima domanda, anche questa te l’avranno fatta mille volte. Hai nostalgie del tuo Paese?

«Nostalgia non è la parola giusta. Ne seguo con trepidazione gli eventi, per fortuna non ho intemperanze patriottiche che sono comunque a mio avviso una condizione di scivolamento verso un conflitto permanente. Mi sento di appartenere a una generazione che desidera solo costruire in pace il suo futuro, ovunque si trovi al mondo. Io continuo a parlare il russo,  qui a Grumento devo solo tenere a bada i furori di mia nonna. È di un’altra generazione. Anche se le sono grata perché mi restituisce e racconta storie che io non ho vissuto. Ogni tanto mi prepara il Boršč, una zuppa di verdure e carne che è il nostro piatto tipico. Ma posso dire che preferisco la pasta?».

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