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Cos’è la CCS

La Carbon Capture and Storage (CCS) consiste nella cattura della CO₂ emessa da impianti di grandi dimensioni e nel suo stoccaggio permanente nel sottosuolo.

Trasformare l’anidride carbonica in una opportunità


L’anidride carbonica può essere catturata direttamente dai camini industriali per essere riutilizzata in altri cicli produttivi o stoccata per sempre negli strati profondi del sottosuolo, impedendo che venga rilasciata in atmosfera. L’insieme di questi processi prende il nome di Carbon Capture Utilization and Storage (CCUS), acronimo che comprende sia la Carbon Capture and Utilization (CCU) sia la Carbon Capture and Storage (CCS). Oltre a contribuire alla decarbonizzazione, entrambe queste soluzioni hanno il vantaggio di trasformare la lotta al cambiamento climatico in una risorsa economica da cui possono nascere nuove opportunità di crescita e di lavoro. La loro applicazione è particolarmente utile per i settori “hard to abate” e cioè quelle industrie energivore in cui, sia per gli alti consumi di energia sia per le caratteristiche dei cicli produttivi, allo stato attuale non è possibile adottare alternative tecnologiche per ridurre le emissioni in modo efficiente e sostenibile economicamente. Esempi di industrie hard to abate sono la siderurgia, i cementifici, le cartiere e la chimica.

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CCU e CCS: differenze e punti in comune

Sia il riutilizzo (CCU) che lo stoccaggio (CCS) della CO₂ sono preceduti dalla fase di cattura, nella quale l’anidride carbonica viene intercettata direttamente dai camini dei grandi impianti industriali e separata dagli altri gas con cui è mescolata. Una volta catturata, la CO₂ viene compressa in modo da poter essere trasportata più facilmente, normalmente attraverso delle condotte oppure via mare o via terra. A questo punto si ha a disposizione anidride carbonica concentrata e priva di impurità che può essere riutilizzata come “materia prima” in altri processi produttivi o immagazzinata a grandi profondità sotterranee, rimanendovi intrappolata per sempre: nel primo caso si parla di CCU e nel secondo di CCS. Un esempio di CCU è la mineralizzazione della CO₂ con fasi minerali naturali e l’impiego dei prodotti ottenuti nella formulazione dei cementi. Nella CCS, invece, la CO₂ viene iniettata all’interno di formazioni geologiche profonde come i giacimenti di idrocarburi esauriti o gli acquiferi salini, selezionati sulla base di rigorose indagini geologiche e tecniche. Il riutilizzo dei giacimenti dismessi è particolarmente vantaggioso perché permette di utilizzare formazioni geologiche che sono ben conosciute e quindi di prevedere con elevata accuratezza la diffusione dell’anidride carbonica all’interno delle strutture. Inoltre, il riutilizzo di parte delle infrastrutture esistenti permette di realizzare progetti rapidi e competitivi, applicando i principi dell’economia circolare alla decarbonizzazione. Le tecniche di CCS sono sicure e mature perché sfruttano le conoscenze acquisite con l’attività di stoccaggio di gas naturale nelle rocce del sottosuolo: un metodo in cui in Italia vi è un’esperienza decennale perché viene utilizzato fin dal 1964 per immagazzinare le riserve strategiche del Paese, con eccellenti standard di sicurezza.

Ritorno al sottosuolo: affidabilità e sicurezza del processo

I progetti CCS utilizzano tecnologie sicure e sperimentate che sfruttano la lunga esperienza maturata nello stoccaggio sotterraneo del gas naturale, settore in cui l’Italia è all’avanguardia dagli anni Sessanta. Ogni attività del progetto Ravenna CCS, inoltre, verrà controllata grazie alla avanzata rete di monitoraggio già in funzione nel territorio ravennate a servizio delle precedenti attività estrattive.

I vantaggi del riutilizzo dei giacimenti a gas naturale ormai esauriti

Negli impianti di CCS, l’anidride carbonica catturata dai camini industriali viene compressa e iniettata in formazioni geologiche profonde adatte a contenerla, rimanendo intrappolata a tempo indefinito nel sottosuolo.

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Nel caso dei giacimenti esauriti di idrocarburi, come quelli che utilizzerà il progetto Ravenna CCS, la pressione a cui avvengono le operazioni è piuttosto bassa, proprio a causa del precedente sfruttamento del gas a fini energetici. Man mano che l’anidride carbonica verrà iniettata nel giacimento ci si avvicinerà gradualmente allo stato di pressione che il giacimento aveva in origine, terminando le operazioni prima di raggiungerlo. Lo stoccaggio è sicuro e definitivo perché i giacimenti sono completamente impermeabili e la prova è proprio il fatto che hanno potuto contenere grandi quantità di gas naturale per milioni di anni senza percorsi di fuga. Dal punto di vista scientifico, del resto, la CO₂ è semplicemente la componente carbonica del gas naturale estratto e poi bruciato, per cui la CCS non fa altro che “rimettere il carbonio al suo posto”, riportandolo nel suo serbatoio originale all’interno della geosfera.

I meccanismi che garantiscono la permanenza dell’anidride carbonica nel giacimento sono quattro:

  • confinamento fisico: essendo più leggera dell’acqua, la CO₂  tenderà a risalire nella roccia serbatoio per rimanere intrappolata sotto lo strato di contenimento impermeabile.
  • confinamento capillare: penetrando nei pori della roccia serbatoio, l’anidride carbonica rimane intrappolata dalla tensione capillare che ne ostacola l’ulteriore spostamento.
  • solubilizzazione: parte della CO₂ a contatto con l’acqua geologica nel giacimento viene disciolta al suo interno.
  • mineralizzazione: reagendo lentamente con alcuni minerali presenti nelle rocce, la CO₂ precipita sotto forma di carbonati e si trasforma permanentemente in minerali.

Il primo meccanismo di cattura avviene immediatamente dopo l’iniezione, mentre gli altri tre agiscono in tempi diversi e con il passare degli anni la CO₂ resta intrappolata nel sottosuolo portando ad uno stato di stoccaggio permanente. Nello studio “Zero Carbon Technology Roadmap”, realizzato da The European House Ambrosetti pubblicato nel 2023, risulta che per siti CCS gestiti correttamente, oltre il 99% della CO₂ rimane stoccata per almeno 500 anni.

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La CCS fa tesoro di oltre un secolo d’esperienza nello stoccaggio del gas naturale

La cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica è un processo sicuro e tecnicamente maturo perché si basa su tecnologie di cattura note e disponibili sul mercato e perché sfrutta l’esperienza acquisita nello stoccaggio del gas naturale da oltre un secolo. Fin dagli anni Sessanta, l’Italia utilizza i giacimenti di gas esauriti per immagazzinare le riserve strategiche di gas con un totale di 14 siti attivi e una capacità operativa di oltre 14 miliardi di m3, senza che si siano mai verificati incidenti rilevanti (fonte MiSE). Attualmente, nel mondo vi sono progetti di CCS attivi da decenni, ad esempio Snohvit (2008) e Sleipner (1996) in Norvegia, e non si è mai verificata nessuna perdita di CO₂.

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