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Le grotte di Matera e quella ferrovia che non arriva

La storia del ritrovamento della Cripta del Peccato, raccontata da Lauretta Colonnelli nel libro “Storie meridiane”. L’autrice ricorda un dettaglio che pochi rammentano, legato al progetto mai sopito di portare i binari fin sopra i Sassi.

di Lucia Serino
07 marzo 2022
4 min di lettura
di Lucia Serino
07 marzo 2022
4 min di lettura

La ferrovia a Matera non c’è. Non c’è mai stata. Desiderata sì, persino immaginata grazie ai sogni che sa regalare il cinema che prese in prestito la stazione di Sapri per fare da sfondo alla partenza della donna amata dall’ultimo James Bond. La ferrovia si ferma a Ferrandina, sulla collina dei Sassi si prosegue in pullman o in auto. Ciclicamente c’è chi ritorna, a ogni decreto o misura per il Sud, a riproporre la necessità di portare i binari in cima ai Sassi in un infrastrutturalismo materiale ritenuto indispensabile allo sviluppo. A questi sostenitori puntualmente controbatte una nutrita pattuglia di teorici di una possibile arcadia planetaria che non può fare scempio, in una delle città più antiche del mondo, della terra com’è, per quanto impervia. Pochi sanno, però, che il sistema delle grandi opere dei decenni passati era arrivato molto vicino alla costruzione della ferrovia, sfiorando una delle più grandi meraviglie scoperte nelle grotte di Matera. Lo racconta Lauretta Colonnelli in un libro, forte di una scrittura così avvincente che è essa stessa un incanto oltre il tema della trama. Il libro si intitola “Storie meridiane. Miti, leggende e favole per raccontare l’arte” (Marsilio) ed è un viaggio negli incantesimi dell’arte meridionale, un’antologia di sopralluoghi e incontri che l’autrice ha fatto regione per regione nel Mezzogiorno d’Italia, scegliendo dipinti, sculture, monumenti, noti e meno noti, un patrimonio immenso raccontato come l’incanto di una favola o di una storia mitologica, dalle avventure antiche dei Greci, le guerre, le pestilenze, gli ardori e i dissolvimenti delle civiltà. Ma nulla è inventato. È storia, anche cronaca recente, che appassiona.

Le storie antiche della Lucania

La Basilicata entra nel racconto con tre capitoli, uno è intitolato “Il pastore e la Basilissa” ed è la storia del famoso ritrovamento, quello di una grotta che “a Matera ognuno l’ha ribattezzata a modo suo: la grotta dei Cento Santi, la Cappella Sistina delle chiese rupestri, la cripta del Peccato originale, la caverna della Genesi, la grotta dei Pipistrelli, la casa del Pastore”. L’altro capitolo si intitola “Lucania 61” ed è il racconto dei “volti bruniti dal sole e dal vento che affollano l’immenso telero” di Carlo Levi, l’epopea che lo scrittore-pittore sepolto ad Aliano dedicata a Rocco Scotellaro, il sindaco contadino di Tricarico morto giovane, e conservata a Palazzo Lanfranchi. Un altro capitolo è dedicato al “kreaga” di Melfi, un forchettone riemerso dagli scavi delle antiche tombe disseminate sulle colline del Vulture, oggi ricoverato nel castello “dove una volta Federico leggeva e scriveva”. Il racconto della scoperta della grotta affrescata oltre mille anni fa da un ignoto pittore, scoperto dagli (ex) ragazzi della Fondazione Zètema, capitanati da un giovane Raffaello De Ruggieri, colpisce perché non solo è l’immaginifico ricordo della mirabile visione che apparve agli esploratori, in un luminoso pomeriggio di maggio del 1963, ma anche perché è la testimonianza di un tempo, neppure troppo lontano, in cui il rapporto tra Storia, ambiente e sviluppo non era provvisto delle sensibilità di oggi.  “Trovarono l’ingresso in fondo a una scalinata intagliata nella roccia e sepolta nella macchia”.

Un ponte di ferro, un progetto mancato

Ai quattro giovani materani, messi sul chi va là dalle parole di un pastore, apparve la Vergine col Bambino e tutto il ciclo della Genesi. Licheni e muschio copriva i colori. Ci fu un lavoro di restauro paziente, durato anni. Attorno alla cripta del Peccato Originale furono trovate altre dodici grotte, probabilmente del periodo longobardo, ospitanti un cenobio rupestre di benedettini. Di queste grotte oggi ne sono rimaste solo due. Le altre scomparse. Un ponte di ferro sovrasta la gravina della cripta. “Fu progettato per far passare i treni che avrebbero dovuto collegare Matera, attraverso la stazione di Ferrandina, alla linea ferroviaria nazionale”. La costruzione iniziò nel 1982, 29 chilometri. Andò avanti per sei anni, poi fu interrotta. “Lasciarono un binario tronco a perdersi in mezzo a un campo di grano”. Per costruire i piloni del ponte seppellirono sotto la terra di risulta la maggior parte delle grotte. E questa è una storia del secolo scorso. Poi Raffaello De Ruggieri sarebbe diventato sindaco di Matera e la città avrebbe conquistato il titolo di Capitale europea della cultura. Di portare la ferrovia a Matera si continua a parlare.

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L’affresco più famoso, restaurato, della Cripta del Peccato (fonte Fondazione Zetema)