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PNRR, un sogno che diventa realtà

Con i fondi previsti per le regioni meridionali, circa 82 miliardi, si può pensare davvero a trasformazione epocale dell’economia e delle società del Sud. Ma occorre costruire una concreta visione del futuro.

di Carmine Nino
08 ottobre 2021
7 min di lettura
di Carmine Nino
08 ottobre 2021
7 min di lettura

La Commissione europea, nel mese di luglio, ha staccato il primo “assegno” di 24,9 miliardi di euro per far partire i progetti che sono stati presentati dall’Italia nella scorsa primavera nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Con la cerimonia a Cinecittà del 22 giugno 2021 la Commissione ha dato luce verde al documento presentato dal governo Draghi, un concentrato di riforme e investimenti che dovranno seguire una timeline precisa per non vedere lo stop all’erogazione dei fondi da parte della Commissione europea.

Un’occasione e un’opportunità epocale, ma anche una sfida che pone il Paese e le sue istituzioni davanti alla responsabilità di essere affidabile, onesto - come Draghi ripete da settimane - ed efficace nella sua azione di sostegno alla ripresa dell’economia.

E il fatto che a luglio abbiamo ricevuto un acconto di 25 miliardi di euro è qualcosa di assolutamente nuovo e strabiliante nel post dopoguerra.

Per dare una dimensione alle risorse in ballo basti pensare che con 25 miliardi, fino allo scorso anno, il nostro Paese faceva la legge di bilancio, che è il provvedimento più importante in termini economici emanato dal governo e dal Parlamento.

Non sarà affatto semplice, perché come sappiamo la tentazione di ritornare al vecchio patto di stabilità aleggia ancora nelle stanze del Consiglio europeo, e ci sono alcuni che sono convinti che questa iniezione di liquidità del Recovery Plan sarà solo un’eccezione e non la regola. Paesi del Nord contro Paesi del Sud, Paesi virtuosi versus Paesi Spendaccioni si è detto tante volte e si è scritto tutto e il contrario di tutto, alimentando questo sentimento, per certi aspetti perverso e pericoloso di sfiducia verso Bruxelles e non possiamo assolutamente permetterci, questa volta, di fallire.

Anche perché dei famosi 250 miliardi circa il 40 per cento dei fondi del Piano sarà destinato alle regioni meridionali (il sud del sud) con l’obiettivo di colmare quel divario che spezza l’Italia in due e che la crisi del 2008 e la pandemia del 2020 hanno ulteriormente ampliato.

Tutto ciò in premessa richiederà quindi la capacità di pensare e poi sviluppare concretamente progetti utili ai territori a cui vengono riferiti e di promuovere un’azione di forte e decisa sinergia tra i vari livelli istituzionali, tra gli attori privati e le parti sociali, per favorire gli investimenti necessari e il rispetto dei tempi concordati.

La competenza e la collaborazione tra i vari sistemi di governo nazionale e locale diventa quindi la vera discriminante per la buona riuscita della missione. Quantificando, i fondi per le regioni meridionali saranno consistenti, circa 82 miliardi, una cifra da far tremare i polsi, che spalmata negli anni può consentire davvero una trasformazione epocale dell’economia e delle società del Sud.

Obiettivamente, a mio avviso, le macro-misure previste dal Piano vanno nella corretta direzione per attenuare i divari storici tra il Centro-Nord e il Sud.

Il nodo cruciale però risiede nell’effettiva e celere attuazione degli investimenti da parte delle regioni del Mezzogiorno.

Ma come capitalizzare al massimo questa potentissima iniezione di liquidità?

Se osserviamo la tabella costruita dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani saltano all’occhio alcune riflessioni: digitalizzazione, transizione, infrastrutture e istruzione saranno i driver principali di sviluppo del prossimo decennio e, in questo, l’intero Mezzogiorno ha da recuperare un divario enorme rispetto all’intera Unione europea. Il vero sforzo che bisognerà fare, dunque, è la costruzione di una visione di futuro digitale, attento all’ambiente ed economicamente sostenibile che l’Italia intera dovrà mettere a fondamento del suo programma di ripresa. In Basilicata, specialmente, ci sono già importanti punti da cui partire, che dovranno essere valorizzati per intercettare e massimizzare lo sviluppo, non solo economico ma anche sociale dell’intero territorio regionale.

Sarà importante non disperdere, ad esempio, il capitale turistico e culturale di Matera 2019 che, grazie al digitale e alle infrastrutture, potrà essere spalmato sull’intero territorio regionale. I vantaggi reputazionali che Matera ha acquisito di fronte al mondo intero in questi anni non potranno essere sprecati.

Investire in cultura significa investire in economia circolare, in artigianato, in trasporti per raggiungere i borghi limitrofi alla città di Matera; significa valorizzare la provincia di Potenza superando il deficit infrastrutturale che, di fatto, divide in due la regione. Andrà ampliato e potenziato il distretto produttivo di Melfi, valorizzate le eccellenze della Valle del Noce e andranno costruite una serie di iniziative specifiche per il lungo periodo, con fantasia e visione creando, perché no, una rete internazionale di giovani “ambasciatori” della Basilicata del 2050. Bisognerà mettere al centro le risorse naturali e storico-culturali della regione, la sconfinata bellezza dei paesaggi, difendendoli dall’erosione del tempo e ampliando, anche e soprattutto, la rete infrastrutturale di secondo livello che collega i paesi dell’area interna; serve sì, ma a poco, l’alta velocità se poi non puoi muoverti agevolmente da un piccolo comune all’altro.

Andrà iniziato e completato il processo di digitalizzazione e di e-governance della pubblica amministrazione, dei governi locali, dei comuni.

Si dovranno stimolare con progettualità le partnership pubbliche private e soprattutto favorirne la nascita, spronando tutti i soggetti portatori di interesse a contribuire attivamente fin dalla definizione dei progetti per arrivare, insieme, alla costruzione di un qualcosa di lungo periodo sostenibile e ambizioso. Si dovrà accompagnare e sostenere le filiere presenti sul territorio regionale, sostenendo i player energetici, imprescindibili per raggiungere gli obiettivi del Green Deal, creare nuovi impianti produttivi, digitalizzare e internazionalizzare la filiera agricola. Bisogna creare lavoro stabile per chi c’è e per chi sarà chiamato da fuori ad arricchire con competenza il già presente e valido sub-strato produttivo regionale.

In conclusione, siamo chiamati tutti a un impegno straordinario, a una assunzione di responsabilità collettiva di portata rilevante, perché le scelte di oggi avranno effetti amplificati sulle generazioni di domani. Ci apprestiamo a scrivere il nostro presente, ma soprattutto il futuro dei nostri figli, che si sentono minacciati e impauriti dagli effetti della pandemia e della grande sfida climatica che abbiamo di fronte.

Insieme si può, e va detto: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è il regalo più bello che l’Europa potesse farci per ripartire dopo la pandemia. Perché non sono solo i soldi, ma c’è anche un sogno che lo accompagna: la costruzione di un futuro che non escluda nessuno e che ci regali finalmente tutte le possibilità che finora non abbiamo avuto.