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CCUS, uno strumento chiave per un futuro low carbon

Anche per la International Energy Agency cattura, utilizzo e stoccaggio dell’anidride carbonica costituiranno un pilastro fondamentale per azzerare le emissioni nel corso di questo secolo.

di Giuseppe Sammarco
24 febbraio 2021
7 min di lettura
di Giuseppe Sammarco
24 febbraio 2021
7 min di lettura

Conclusa la parte dedicata agli strumenti che evitano la formazione di gas serra, con questo articolo passiamo all’analisi degli interventi messi in atto una volta che la molecola di anidride carbonica si è formata e che ne impediscono l’emissione in atmosfera. Questa categoria di strumenti è identificata con il nome di “cattura e stoccaggio o utilizzo dell’anidride carbonica”, meglio conosciuta con l’acronimo di CCUS (Carbon dioxide Capture & Utilization or Storage).

Come funziona la CCUS? In parole semplici avviene in due fasi. Nella prima, le molecole di anidride carbonica – ad esempio quelle contenute nei fumi di combustione delle fonti fossili – sono catturate e separate dalle altre a cui sono miscelate grazie all’applicazione di particolari tecnologie. A questo punto entra in gioco la seconda fase: l’anidride carbonica è stoccata in luoghi sicuri (“storage”) oppure è utilizzata nella produzione di altre sostanze (“utilization”) subendo una trasformazione chimica. In entrambi i casi, comunque, si evita la sua dispersione in atmosfera.

Nel caso dello stoccaggio, l’anidride carbonica catturata è trasportata nei luoghi dove può essere iniettata nel sottosuolo, in “depositi” (stoccaggi geologici come giacimenti di idrocarburi esauriti o acquiferi salini) sicuri, atti a contenerla in assenza di perdite nel più lungo periodo. Per evitare il rischio di incidenti e garantire la massima sicurezza di questi impianti, i progetti di stoccaggio geologico di CO2 sono preceduti da studi approfonditi sulle caratteristiche del giacimento utilizzato come deposito, per attestarne l’idoneità. Inoltre, prevedono un sistema di monitoraggio costante dell’anidride carbonica stoccata per verificare che, nel corso del tempo, non vi siano fughe o migrazioni dal deposito stesso. L’anidride carbonica, tra l’altro, non è un gas tossico: il corpo umano la respira e la produce, emettendola nella fase di espirazione. Solo in concentrazioni estremamente elevate, pari a più di 10 volte quelle attualmente presenti in atmosfera, l’anidride carbonica impedisce un corretto apporto di ossigeno al corpo e - in questo modo - inizia a provocare problemi alla salute. L’anidride carbonica potrebbe essere stoccata anche nelle profondità degli oceani, ove rimarrebbe confinata per effetto dell’elevata pressione della colonna d’acqua che la sovrasterebbe. Questa opzione, però, non è mai stata applicata e il suo impatto sull’ecosistema marino è ancora in fase di sperimentazione su piccola scala. L’alternativa allo stoccaggio dell’anidride carbonica catturata è il suo utilizzo. Molti processi utilizzano l’anidride carbonica come materia prima per produrre intermedi chimici, plastiche, carburanti, per alimentare le alghe da cui poi ricavare biocombustibili e per produrre carbonati utilizzabili nell’edilizia. Le possibili destinazioni sono molte. Il problema è che per la sua trasformazione in prodotti l’anidride carbonica richiede molta energia e impianti costosi. Se l’energia necessaria a questi processi è prodotta da combustibili fossili, buona parte dei benefici in termini di riduzione delle emissioni di anidride carbonica potrebbe perdersi.

A livello internazionale la CCUS è considerata uno strumento importante per la decarbonizzazione del sistema energetico. La stessa International Energy Agency (IEA) in un suo recente rapporto (“CCUS in Clean Energy Transitions”) ha affermato che cattura, utilizzo e stoccaggio dell’anidride carbonica dovranno costituire un pilastro fondamentale degli sforzi richiesti per azzerare le emissioni nette di gas serra nel corso di questo secolo. Inoltre, molti dei paesi che hanno già dichiarato di voler raggiungere questo obiettivo hanno dimostrato grande interesse per questa classe di strumenti, inserendoli tra quelli utilizzabili per tagliare l’ambizioso traguardo. Per quanto riguarda la capacità teorica di stoccaggio nel sottosuolo, OGCI (Oil & Gas Climate Initiative) ha in corso un censimento dei siti adatti allo scopo e di recente ha fornito una stima di massima relativa ai progetti finora presi in considerazione (512 in 12 paesi o regioni) pari complessivamente a più di 12.000 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Tenendo conto di questo potenziale (seppur frutto di una stima) e del fatto che le emissioni annuali antropogeniche di anidride carbonica ammontano oggi a poco meno di 35 miliardi di tonnellate, l’opzione dello stoccaggio potrebbe rappresentare non solo una soluzione disponibile a breve, ma anche utilizzabile per molti anni a venire, in attesa della maturità di fonti energetiche a zero emissioni.

Le tecnologie che consentono di catturare e stoccare o utilizzare l’anidride carbonica sono comunque ancora costose ed energivore per poter raggiungere un’ampia diffusione. In particolare, se l’obiettivo è di catturare una quota elevata – prossima o superiore al 90 percento - della CO2 contenuta in una miscela di gas, costi e consumi energetici salgono in modo esponenziale. La speranza è che innovazione tecnologica ed economie di scala e apprendimento acquisite con l’esperienza dei primi grandi progetti consentano nei prossimi anni di ridurre costi e intensità energetica, rendendo queste opzioni praticabili su scala commerciale. In effetti nuove tecnologie più efficienti di quelle esistenti sono in fase di ricerca e sviluppo, mentre sono al via i primi progetti di cattura e sequestro dell’anidride carbonica su larga scala che utilizzano tecnologie già disponibili e provate.

Anche Eni è impegnata su questo fronte. Tra le varie iniziative allo studio ve ne sono due che consentirebbero di mettere a fattor comune la grande conoscenza di Eni delle dinamiche di giacimento con queste nuove tecnologie. La prima riguarda la realizzazione di uno dei più grandi centri di cattura e stoccaggio (“hub”) di anidride carbonica, utilizzando come “depositi” i giacimenti di gas naturale ormai esausti nel Medio Adriatico, al largo di Ravenna. La seconda iniziativa allo studio riguarda l’Inghilterra. A ottobre 2020, infatti, Eni ha ottenuto dall’Oil and Gas Authority del Regno Unito la licenza per un progetto di stoccaggio a Liverpool Bay, nel Mar d’Irlanda Orientale. Infine, nel campo dell’utilizzo dell’anidride carbonica Eni sta valutando alcune possibilità di integrazione con le attività già svolte nei settori del gas naturale e della chimica verde. Consultate il sito di Eni (www.eni.com) e potrete trovare la descrizione dei progetti allo studio.

L’appuntamento è per la prossima puntata di questa serie: parleremo delle tecnologie di Carbon Dioxide Removal (CDR), ovvero della possibilità di togliere l’anidride carbonica dall’atmosfera una volta che è stata prodotta ed emessa.