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Il patrimonio delle imprese del Sud

Tante le aziende di diversi settori, dalla siderurgia all’automotive, dall’energia all’agroalimentare, presenti nell’Italia meridionale. Il Paese deve difendere e valorizzare questa ricchezza tecnologica e professionale.

di Federico Pirro
22 gennaio 2021
6 min di lettura
di Federico Pirro
22 gennaio 2021
6 min di lettura

Le grandi imprese in Italia sono circa 3.400 e, pur rappresentando solo lo 0,1% delle aziende, occupano il 20,7% dei loro addetti, generano il 31,7% del valore aggiunto e realizzano il 41,3% degli investimenti, trainando nei comparti strategici - siderurgia, automotive, aerospazio, chimica, energia, agroalimentare, Ict, navalmeccanica, ramificate catene di distribuzione, le così dette “supply chain”.

Questa funzione trainante è ancora più avvertita nell’Italia meridionale ove si localizzano, solo per citare alcune megafabbriche, lo stabilimento siderurgico dell’Ilva a Taranto (8.200 addetti diretti) - il maggiore impianto manifatturiero del Paese per numero di occupati - la FCA, ora Stellantis, a S.Nicola di Melfi (7.247 addetti) - che è il secondo sito italiano per numero di risorse umane impiegate e il primo per quantità di auto prodotte - e la Sevel in Val di Sangro (6.500), ove si costruiscono i veicoli commerciali Ducato: questi tre grandi complessi produttivi sono supportati da robuste filiere di attività indotte. A Pomigliano d’Arco è in produzione l’altro plant di assemblaggio della FCA nel sud con 4.700 occupati.

Fabbriche di componentistica per l’automotive sono in esercizio in diverse regioni con elevati tassi di occupazione e fanno capo, fra le altre, a TD-Bosch, Marelli, Magna, FPT, Skf, Bridgestone, Denso Manufacturing, Dayco Europe, Adler. Nell’Italia insulare producono le maggiori raffinerie nazionali per capacità e cioè la russa Lukoil a Priolo, l’algerina Sonatrach ad Augusta, entrambe nel Siracusano, la RAM a Milazzo (ME) e la Saras a Sarroch (CA): un sito di minori dimensioni di Eni è attivo a Taranto, ove è raffinato il greggio estratto in Basilicata.

Imponenti stabilimenti aeronautici della Leonardo e della Avio Aero sono attivi nel Napoletano, a Foggia, a Grottaglie (TA) e a Brindisi e alimentano anch’essi robuste supply chain. Potenti centrali di Enel, Edison, Sorgenia, Enipower, Erg, EnPlus generano energia in diverse regioni, mentre la Puglia ha il primato nazionale di quella da fonte eolica e fotovoltaica; pale eoliche per parchi di elevata potenza si costruiscono a Taranto, nel sito della danese Vestas. Grandi impianti petrolchimici della Versalis sono in produzione a Brindisi e Priolo; costruzioni navalmeccaniche si eseguono dalla Fincantieri a Castellammare di Stabia e Palermo e il maggiore Arsenale della Marina Militare ha sede a Taranto. Catania vanta lo stabilimento di assoluto rilievo nazionale nell’Ict della STMicroelectronics con 4.200 persone; numerosi anche i call center con migliaia di addetti ciascuno, come ad esempio quelli di Almaviva, Teleperformance e Comdata. Molti anche e tecnologicamente avanzati sono gli impianti farmaceutici di big player italiani ed esteri come Novartis, Pfizer, Sanofi, Merck, Dompé, Kedrion, Menarini, Alfasigma.

Ben presenti sono gli stabilimenti cartotecnici dell’Istituto Poligrafico dello Stato a Foggia, del Gruppo Seda nel Napoletano, della Fater a Pescara (con 2.400 occupati) della International paper a Catania. Grandi fabbriche di materiale e segnalamento ferroviario della Hitachi Rail Italia a Napoli e Reggio Calabria producono materiale rotabile esportato nel mondo; i maggiori pozzi petroliferi on shore d’Europa sono in Val d’Agri e nella valle del Sauro, in Basilicata, dove estraggono Eni, Shell, Total, Mitsui. Ben presenti cementerie di Buzzi Unicem, Italcementi, Colacem e vetrerie di multinazionali come Pilkington, Owens Illinois e Sisecam.

Molti sono i siti di alcune delle maggiori industrie agroalimentari italiane ed estere come Ferrero, Barilla, Granarolo, Parmalat, Coca Cola, Birra Peroni, Unilever, Heineken, Casillo, De Cecco, Divella, Princes-Mitsubishi, Valfrutta, Orogel, Giv, Lete, Ferrarelle, La Doria, Casa Olearia italiana, Nino Castiglione, Cooperativa produttori Arborea, mentre anche l’industria del fashion vanta, fra gli altri, marchi come Kiton, Carpisa, Original Marines, Harmont&Blaine, Tagliatore-Lerario; nel comparto delle safety shoes si è affermata anche a livello internazionale la Cofra di Barletta, con i suoi 2.200 addetti fra Italia e Albania.

Nel settore del legno per mobili il quartier generale della Natuzzi a Santeramo in Colle (BA) coordina la produzione delle sue fabbriche in Italia e all’estero.

Ora, se quelle appena citate non esauriscono il panorama delle maggiori industrie presenti nell’Italia meridionale, si rileva che quasi tutte hanno aumentato l’occupazione negli ultimi anni, o almeno la stanno conservando anche in tempi di pandemia, alimentando solide filiere collegate, attivando nuovi investimenti e collaborando con atenei e centri ricerca presenti nel Sud. Secondo dati del ministero dello Sviluppo Economico, nel periodo 2013-2018 il 32% delle agevolazioni complessive è stato riservato alle grandi imprese e il 68% alle Pmi; sempre nello stesso periodo le grandi aziende hanno goduto di 1,6 miliardi di agevolazioni erogate da amministrazioni centrali e 260 milioni da quelle regionali.

La Regione Puglia in particolare, con il suo sistema di incentivazione per le grandi imprese incentrato sui contratti di programma, fra il 2014 e il 2020 ne ha finanziati con 458 milioni ben 62 che hanno avviato investimenti per 1,2 miliardi, di cui 491 milioni destinati ad attività di ricerca e sviluppo, con un’occupazione complessiva di 15.614 unità, di cui 1.322 nuovi addetti.

Il Paese e le sue aree meridionali devono difendere e valorizzare il patrimonio tecnologico e professionale delle grandi aziende, favorendo sempre di più in esclusive logiche di mercato le sinergie con le Pmi.

L’autore: Federico Pirro

È docente di Storia dell’Industria, Università di Bari.