Le strade sono ampie e ben asfaltate, il traffico scorre fluido e ordinato, gli impianti elettrici e le strutture igienico-sanitarie funzionano a dovere. Questo perché Abuja è una città giovane: negli anni ’80, il centro urbano preesistente si è molto esteso, fino a diventare la capitale nazionale. La sua posizione centrale e una combinazione etnica neutra, l’hanno resa adatta – sia dal punto di vista socio-culturale che della sicurezza – a ospitare la sede dell’autorità e rappresentare il Paese nella sua totalità. Tuttavia, nei pressi di Abuja, si sono verificati una serie di insediamenti informali, per ospitare l’afflusso di migranti in cerca di opportunità nella capitale. Negli ultimi anni, è arrivata una nuova ondata di persone in cerca di rifugio: i cosiddetti “sfollati interni” (IDP, Internally Displaced Persons), termine con il quale gli operatori umanitari identificano coloro che fuggono da un conflitto all’interno del proprio Paese. Queste persone provengono dalla Nigeria settentrionale e fuggono da Boko Haram, il violento movimento insurrezionalista islamico nato nello Stato del Borno nel 2009, il quale ha dato origine a una crisi che si è rapidamente estesa ad altri stati della Nigeria nordorientale e ai paesi confinanti. Nonostante le numerose campagne militari, il gruppo continua a essere attivo, al punto che – secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – a partire dal 2018 in Nigeria sono stati registrati oltre 2 milioni di IDP, disseminati in campi e insediamenti in tutto il Paese.
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