Quello di Dadaab, in Kenya, è attualmente il campo profughi più grande al mondo. Circa 210 mila persone, prevalentemente di origine somala, sono ospitate in territorio keniano. Nato oltre 25 anni fa in una struttura pensata inizialmente per essere temporanea, il campo nasce sul territorio della Contea di Garissa, creato nel 1991 dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) per ospitare i somali in fuga dalla guerra civile. Sotto il nome di Dadaab, dal nome della cittadina situata a 80 chilometri dal confine somalo, sono raccolti gli insediamenti di Ifo, Dagahaley, Kambioos e Hagadera.
La storia di Eni a Dadaab nasce invece nel 2015, grazie ad un’intuizione di Claudio Descalzi. Nel novembre di sei anni fa, nel corso di una Instant Classroom organizzata dalla Vodafone Foundation, l’AD di Eni ha potuto dialogare con un gruppo di ragazzi tra i 16 e i 22 anni provenienti dal campo profughi della città keniota. L’evento ha portato successivamente a un confronto interno, esteso a tutta la famiglia Eni: per una condivisione di idee messa in atto tra i dipendenti tramite il blog aziendale.
Si è deciso così di realizzare una serie di attività per migliorare l’accesso all’istruzione attraverso la fornitura di energia solare alle strutture prive di corrente elettrica. I cinque anni trascorsi hanno portato a risultati importanti, in grado di migliorare significativamente le condizioni di vita dei giovani del campo. Siamo riusciti a illuminare scuole e installare i primi impianti solari, coinvolgendo undici strutture, con circa diecimila persone che hanno così potuto imparare a leggere e scrivere.
In totale sono stati installati 40 kW di energia solare in 11 scuole primarie, con la possibilità di dare supporto all’istruzione di oltre 10.000 persone. Ogni scuola ha oggi a disposizione elettricità per 8 orecontinuative, con un contratto di manutenzione che permetterà di far funzionare efficacemente i sistemi per i prossimi dieci anni. Il numero degli insegnanti è arrivato ad almeno dodici per scuola in media, circa uno ogni 60 allievi. Questi ultimi sono cresciuti del 16% secondo gli ultimi dati rilevati. È importante sottolineare come questi numeri siano frutto dell’importante contributo dato dalla luce elettrica, che ha permesso agli studenti di accedere alle attività educative sia nelle ore mattutine, sia in quelle serali. L’arrivo dell’energia nel campo ha permesso agli insegnanti di assistere gli alunni nel miglior modo possibile, oltre a incrementare la percezione di sicurezza in particolare nella popolazione femminile.
Le scuole hanno ricevuto in dotazione 47 computer e undici stampanti con fotocopiatrice. Sono potute così cominciare le prime lezioni di informatica in due scuole differenti, con i ragazzi che hanno potuto apprendere le competenze base della materia. L’entusiasmo trasmesso da queste novità ha spinto i dirigenti scolastici e le comunità a promuovere una serie di lezioni serali per adulti, con classi da dieci studenti ciascuna. È stato così possibile avviare corsi di manutenzione e pulizia dei sistemi solari destinati a studenti e professori. In generale è migliorata la comunicazione interna al campo, con la possibilità di ricaricare cellulari, fare fotocopie e stampare documenti.
Energia a Dadaab: risultati e benefici
Numeri che raccontano i progressi ottenuti tramite l’installazione di pannelli solari e attrezzature per la didattica.
L’analisi esecutiva del progetto è stata elaborata in collaborazione l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e il Ministero dell’Energia e del Petrolio del Kenya elaFondazione AVSI - People for development. L’iniziativa è in linea con il programma keniota del Ministero che ha l’obiettivo di portare energia a tutte le scuole del Paese, con il programma di educazione della Contea e con il piano di sviluppo delle regioni orientali e di rimpatrio progressivo dei profughi; oltre che con il programma dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) denominato “Integrated action plan for sustainable return and reintegration of somali refugees”.
Eravamo abituati a preparare le esercitazioni degli esami a mano ma ora le facciamo al computer che fornisce anche i risultati. Questo ha ridotto la nostra mole di lavoro regalandoci più tempo da dedicare ad altre attività.
A causa del lockdown proclamato dal Governo del Kenya, le scuole del campo sono state chiuse. AVSI ha sviluppato e implementato metodi alternativi per diffondere le informazioni riguardanti il Covid-19, le misure di contenimento da attuare per salvaguardare i più piccoli, gli insegnati e i parenti. Sempre AVSI è stata in grado, grazie alle esperienze esistenti e al sostegno integrato da parte dell’ICT, di proporre metodologie di apprendimento che salvaguardassero la salute di insegnanti, bambini, genitori e assistenti. La didattica a distanza è diventata così la norma. Grazie al lavoro fatto precedentemente da Eni, con l'installazione dei pannelli solari e il supporto nella formazione informatica delle persone che vivono all'interno del campo è stato possibile creare un contesto valido, in cui le attività AVSI hanno potuto attecchire senza difficoltà.
Leggi anche sulle attività di Eni per lo sviluppo locale
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