Se vedendo un filmato in cui vengono maltrattati dei robot, vi capita di empatizzare con loro, sappiate che non siete i soli. È una sensazione che razionalmente non dovrebbe avere alcun senso, eppure è diffusa. Uno studio condotto in Germania ha evidenziato infatti che il nostro cervello reagisce negativamente quando viene mostrato un robot colpito o rotto da un essere umano. Ci sono molti altri esempi che dimostrano come le persone siano naturalmente portate a provare affezione verso i robot. Succede anche se questi non hanno nessuna somiglianza con umani o animali e anche se non comunicano e sono stati progettati per scopi completamente diversi.
È il caso di un famoso robot aspirapolvere che ha conquistato la simpatia della scrittrice Patricia Marx e di milioni di altri uomini e donne. Basti pensare che, stando a quanto affermato da Colin Angle — l’inventore di questo robot per le pulizie — circa l’80% dei proprietari gli dà un nome. E molti utenti hanno una reazione di allarme quando ricevono sul proprio smartphone una notifica con cui il robot li avvisa di essere rimasto incastrato da qualche parte. Ma perché i robot aspirapolvere sì, mentre altri oggetti di grande utilità, come lo smartphone, il computer o il microonde, non ricevono mai un nome?
Prima di dare una risposta, vale la pena sottolineare come questo non sia un fenomeno esclusivo degli ambienti domestici. Persino tra i militari sono state documentate reazioni affettive nei confronti dei robot-artificieri. Nel 2007, per esempio, un colonnello ha interrotto un’esercitazione durante la quale il classico robot-artificiere Talon stava subendo danni gravissimi, definendo la situazione “crudele”. Un altro robot simile ha invece ricevuto una medaglia al merito e i 21 colpi di fucile in forma di commiato durante una sorta di funerale militare in suo onore.