La rivoluzione digitale trasforma le società, a partire dal lavoro e dai rapporti tra le persone. Il futuro, tra rischi e opportunità.
di
Luigia Ierace
04 febbraio 2020
10 min di lettura
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Luigia Ierace
04 febbraio 2020
10 min di lettura
L’innovazione tecnologica porta enormi cambiamenti, ma altri megatrend stanno trasformando il mondo, ridisegnando il panorama economico, finanziario e geopolitico. Si tratta di mutamenti di una tale potenza che rivoluzionano le stesse fondamenta della società e, in particolare, il concetto di lavoro e i rapporti tra le persone. Si assiste a un inedito fenomeno di flussi di “migranti economici” da Ovest a Est del mondo in cerca di opportunità di crescita e di una migliore qualità della vita, il cui effetto è che Stati Uniti e Europa, non più esclusivi poli di attrazione, si troveranno a competere con altri continenti per attrarre investimenti e giovani talenti.
Trasformazioni economiche e politiche che si accompagnano a profondi cambiamenti demografici con una crescita della popolazione mondiale, un maggior tasso di urbanizzazione e un aumento di Millennial e Generazione Z. Il tasso di urbanizzazione accelererà soprattutto nei Paesi caratterizzati da una crescita demografica più sostenuta, quali Africa e Asia. Entro il 2015, secondo le stime delle Nazioni Unite, la popolazione urbana raggiungerà il 72% della popolazione totale a livello globale, a fronte del 50% odierno. Un aumento di migrazioni verso le città che renderà necessario riprogettare la vita urbana ricorrendo a tecnologie e soluzioni innovative per rendere le città smart e sostenibili. “Città intelligenti” del futuro che utilizzeranno la tecnologia cloud, i dispositivi mobile, l’analisi dei Big Data e i social network per ottimizzare l’offerta di servizi di nuova generazione e per promuovere soluzioni a basso impatto ambientale.
L’ambiente sarà infatti determinante nel disegnare gli scenari futuri, perché bisognerà fare i conti con i cambiamenti climatici in atto e con la scarsità di risorse naturali. Il National Intelligence Council ha stimato che nel 2030 per soddisfare i bisogni di tutti gli abitanti del pianeta occorrerà il 50% di energia in più, il 40% di acqua in più e il 35% di cibo in più. E la scarsità di risorse naturali potrebbe diventare una delle maggiori cause di conflitto tra Paesi che avranno difficoltà a garantire il benessere dei propri cittadini. Quanto all’impatto ambientale, con la crescita economica e demografica continuerà ad aumentare anche in futuro la concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre. La fotografia è data dal Libro Verde sul trasporto urbano della Commissione Europea, in cui emerge che il traffico nelle città oggi genera il 40% di emissioni di CO2 e il 70% di altre emissioni inquinanti prodotte dagli autoveicoli e determina circa un terzo di tutti gli incidenti mortali, con un danno annuo per l’economia europea valutato in 100 miliardi di euro.
La sfida è nel passaggio da un’economia lineare a una circolare, con sistemi in cui tutte le attività economiche siano organizzate in modo che gli scarti prodotti diventino una risorsa per altri processi. Nuove industrie e modelli di business su scala globale tesi a migliorare la qualità della vita degli individui, ma anche l’impatto ambientale e geopolitico con la riduzione della dipendenza delle attività economiche dai combustibili fossili (petrolio, carbone e gas) verso l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili (es. solare, eolico, geotermico).
Profondi cambiamenti in atto che inducono a rivedere le strategie dei diversi Paesi, a livello economico, geopolitico e scientifico/tecnologico, e che stanno già interessando anche l’Italia. “Nell’applicazione di nuove tecnologie - sottolinea Paolo Borzatta, Senior Partner The European House – Ambrosetti - non siamo sicuramente all’avanguardia in generale, ma ci sono punte di eccellenza. Nel settore dell’elettricità, le smart green, ma anche nel manufacturing ci sono piccole e medie imprese che stanno sfruttando molto bene le nuove tecnologie. Poi c’è la ricerca avanzata, all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, due poli di eccellenza mondiale. In termini di progettazione e applicazione sicuramente il manufacturing in alcuni specifici settori, come la robotica e l’Intelligenza Artificiale, va molto bene”.
“A livello europeo e internazionale, invece, Germania, Francia e Israele sono molto avanti. La Cina è paurosamente avanti, avendo un sistema politico diverso, non so se migliore o peggiore”, continua Borzatta, “certo loro riescono a realizzare molto in fretta quelle innovazioni che noi facciamo fatica a portare avanti. Basti pensare alle smart city, la Cina è all’avanguardia perché non ha il problema di tutti i portatori di interesse che possono bloccare l’operazione. Per noi, invece, è ancora fantascienza. Sappiamo che ce la faremo ma impiegheremo almeno 5-10 anni».
A tutto questo, si aggiunge, che mai come in questo momento ci siamo trovati di fronte a una disponibilità di enormi quantità di dati sul mercato e sui consumatori che se usati in maniera mirata potranno cambiare abitudini e prospettive. “I dati sono una grande benedizione e una grande catastrofe – spiega Borzatta -. Certo tra l’avere i dati e essere capaci di usarli, passa una bella differenza. Ci vorranno persone con molta intelligenza che siano in grado di capire cosa farne. Ma è anche un problema politico, perché non è solo una questione di abbondanza di dati, ma anche di scambio degli stessi. Basti pensare che molte cose si potrebbero fare a livello di Stato se si riuscisse a mettere in rete tutte le banche dati nazionali. Un’impresa colossale in termini politici, ma i dati vanno protetti. Quando si riuscirà, proteggendo quelli sensibili, a metterli in rete si potrebbero fare cose meravigliose ma anche terribili e con effetti drammatici sulla nostra privacy”. E qui si apre tutto un altro scenario che riguarda l’aspetto etico di questi cambiamenti.
Nello studio The European House – Ambrosetti, i dati sono paragonati al petrolio: hanno bisogno di essere raffinati e elaborati per poter produrre risultati utili. Un parallelo certo non casuale che evidenzia il ruolo fondamentale delle imprese del settore energetico. “È una metafora: i dati sono vitali e imprescindibili per tutte le aziende, tanto da poter essere paragonati al petrolio (in un motore a scoppio), in quanto costituiscono la materia prima essenziale sia per la creazione di nuovi prodotti e servizi rivolti ai consumatori che per l’ottimizzazione della strategia aziendale”.
Un terreno nel quale l’energia avrà un ruolo importante per due aspetti: il primo è che tutte queste tecnologie richiedono un grande consumo di energia; il secondo è un effetto di modulazione dell’energia, nel senso che non tanto la quantità, ma il modo di usarla potrebbe cambiare in maniera molto significativo. E proprio le nuove tecnologie consentiranno di avere una capacità migliore di modulare il consumo dell’energia, in funzione delle nostre esigenze e delle tariffe, per risparmiare in termini di consumi, ma anche di rispetto dell’ambiente.
Economia, demografia, ambiente, tecnologia, comunicazione: sono le nuove dinamiche che disegnano il futuro aprendo a ulteriori opportunità. Ma è difficile avere risposte certe sul modo in cui i megatrend impatteranno su aziende e consumatori. “In una situazione di cambiamenti molto forti, la mia preoccupazione – ribadisce Borzatta - è che ci troveremo di fronte a una fetta di popolazione che sarà in grado di adattarvisi e una fetta di popolazione che farà molta fatica a farlo e questo richiederà molto tempo perché si potrebbe anche reagire a questi cambiamenti”.
Anche se la tecnologia ha dato la possibilità a ogni utente di comunicare con il mondo, in realtà ha creato un meccanismo per cui ricchezza economica e conoscenza tecnologica si rafforzano a vicenda. E così oggi, quasi il 50% della ricchezza al mondo è nelle mani dell’1 per cento della popolazione e l’86% della ricchezza globale (240 trilioni di dollari) è posseduta dall’8,6% della popolazione adulta (425 milioni di persone).
“In sostanza - spiega Borzatta - la polarizzazione della ricchezza e quella della conoscenza generano anche forme di polarizzazione del potere e questi elementi aprono profonde fratture all’interno delle società. Ho il sospetto che i megatrend da un lato promettono un futuro brillante, interessante, ma ciò che non si dice così apertamente è che va ripensato il modello sociale, dalle forme di governance dei Paesi, alle forme di distribuzione del reddito e della ricchezza. Da un’osservazione strategica di come è cambiato il mondo - continua -, credo che nei prossimi 10-15 anni bisognerà ripensare a cambiamenti sostanziali del paradigma della nostra società, ma è difficile prevedere gli esiti. Ci potrebbero essere eventi catastrofali, forme di rivoluzioni, anarchie. Speriamo di no. Ma bisognerà avere leadership capaci di governare una transizione, come è stata la rivoluzione agricola diecimila anni fa: un cambiamento epocale da cacciatori raccoglitori, alle società agricole fisse, sedentarie monoculturali con l’addomesticazione degli animali. Un cambiamento di questa portata è quello che ci attende, non del tipo aggiungiamo qualche posto di lavoro in più, rivediamo sistemi di governo elettorali e le costituzioni; tutte cose che andranno fatte, ma credo si tratti di ripensare il modo di vedere la società e la sua organizzazione”.
La quarta rivoluzione industriale, sul breve termine, porterà a industrie molto più efficaci e efficienti che probabilmente cambieranno modello strategico. A medio e lungo termine, invece, il cambiamento sarà molto più profondo. “Molti – conclude Borzatta - lo paragonano all’arrivo di internet negli anni duemila, quando si ipotizzavano grandi stravolgimenti, in realtà quanti posti di lavoro abbiano creato che generano valore vero, negli ultimi 10-20 anni? Abbiamo creato “spostatori della ricchezza” (lo sono i bancari, gli assicuratori), ma non generatori di ricchezza, di posti di lavoro. Credo si andrà avanti in quella direzione, ma ci sarà un punto in cui si dovrà guardare alla qualità del lavoro. E il rischio è che le persone ricche avranno 200 robot che lavorano per loro. Un tempo si chiamavano schiavi, ora si chiamano robot. E gli altri? È uno degli scenari possibili su cui riflettere”.
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