Le istituzioni cercano soluzioni legislative al fine di tutelare il diritto di privacy dai rischi associati all’uso dell’Intelligenza Artificiale.
di
Mediaduemila
10 febbraio 2021
5 min di lettura
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Mediaduemila
10 febbraio 2021
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Il nuovo mondo tecnologico, o più precisamente, l’upgrade digitale del nostro pianeta sta introducendo rapidi cambiamenti che porteranno a una metamorfosi della società. Il motore generatore di questa trasformazione ha un nome: Intelligenza Artificiale. Le innovazioni che l'IA porta con sé, si possono già riscontrare nel miglioramento di beni e servizi pubblici, dalla sanità, all'istruzione, ai trasporti, all'approvvigionamento alimentare, all'energia e alla gestione ambientale. E questo è solo l'inizio dell'evoluzione, poiché con la proliferazione dell'accesso ai dati e lo sviluppo delle risorse informatiche, l'IA e i sistemi di apprendimento automatico tendono a evolversi organicamente e diventeranno sempre più insostituibili, efficaci e potenti.
Negli ultimi decenni, la vita quotidiana è cambiata proprio in virtù di questa evoluzione mentre le leggi in tutto il mondo restano quelle che erano prima della rivoluzione digitale. Oggi la sfida maggiore che i governi si trovano ad affrontare è legata all’utilizzo e al possesso dei dati che le IA raccolgono e immagazzinano. Il problema dell’oggi è la proprietà: i dati sono di chi li ha creati o di chi li ha raccolti? Dal dilemma Shakespeariano del terzo millennio, scaturisce il dibattito sulle regole etiche e di sicurezza relative ai prossimi sviluppi dei sistemi di IA.
Sin dall'età dell'alfabetizzazione, l'essere umano ha conquistato la privacy ma ora sembra, lentamente, scomparire. George Orwell scrisse nel suo famoso libro del 1884: "Finché non prenderanno coscienza, non si ribelleranno mai, e finché non si saranno ribellati, non potranno prendere coscienza". In effetti, la società è digitalmente incosciente, non c'è consapevolezza sulle informazioni che vengono caricate e memorizzate online e del loro utilizzo. Diverse organizzazioni oggi, soprattutto i Big Five (Amazon, Google/Alphabet, Microsoft, Apple e Facebook) sanno molto di più sulla vita privata di ciascuno di noi di quanto noi stessi ne siamo a conoscenza, o perlomeno, consapevoli. Parliamo del cosiddetto inconscio digitale, concetto che mi affascina da almeno un decennio. La prima volta che ho affrontato questo aspetto della vita digitale, è stato all’inizio del 2000 ritrovandomi sulla piattaforma Digital Mirror di Cataphora: azienda concepita per fornire analisi del comportamento individuale e offrire agli utenti una visione unica del tu digitale, la persona online dell'utente stesso. Elizabeth Charnock, CEO di Cataphora, in merito al tema, ha anche pubblicato il libro: ‘E-Habits: What You Must Do to Optimize Your Professional Digital Presence’ dove si parla delle proprie abitudini digitali e di alcuni suggerimenti su come ottimizzare la propria presenza in rete, l’ormai noto doppio digitale, costruito dall’utente stesso. Il documentario di Jeff Orlowski The Social Dilemma (Netflix) fa riflettere su un altro aspetto del mondo digitale, in particolare su come le grandi multinazionali dei social media agiscano sui consumatori utilizzando particolari algoritmi. Dal documentario, sembrerebbe che la loro attività di raccolta dei dati faccia leva sulle debolezze umane, generando negli utenti una vera e propria dipendenza verso le loro piattaforme. Tema questo, analizzato e approfondito da Shoshana Zubov, nel libro ‘Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri’ (2019). Ottenere, raccogliere e mantenere i dati per poi usarli o fornirli a terze parti è la miniera d’oro del terzo millennio per le aziende. Ecco perché le istituzioni cercano soluzioni legislative utili a evitare che i pericoli della trasformazione digitale diventino maggiori dei vantaggi, soprattutto per quanto riguarda la libertà dell’individuo.
L’Europa ha a suo carico la prima vittoria nella regolamentazione dell’uso dei dati raccolti on line con il testo generale sulla protezione dei dati, il GDPR (General Data Protection Regulation, il software che gestisce la protezione dati) nato nel 2016, in vigore dal maggio 2018. Si tratta dell'atto legislativo dell'UE più elogiato nel recente passato, che fornisce una serie di garanzie al singolo individuo. Un primo passo verso un modello di legislazione che si concentra sul benessere e la protezione dell'individuo e che si rivelano primari nel processo decisionale. La necessità che la trasformazione digitale mantenga inalterati i diritti della persona, ha indotto un numero sempre maggiore di governi ad adottare legislazioni rigorose sulla privacy e i dati, il che significa che l'elenco delle nazioni esenti dal GDPR, si sta riducendo. Secondo la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) il 66% dei Paesi le ha adottate, il 10% sta studiando come applicarle, mentre rimane un 19% che ancora ignora una possibile attuazione. In Brasile la Lei Geral de Proteçao de Dados (LGPD) è stata ispirata dal GDPR ed è quasi identica in termini di portata e applicabilità, ma con sanzioni finanziarie meno severe in caso di inosservanza. Nel febbraio 2019 l'Assemblea legislativa nazionale della Tailandia ha approvato il Personal Data Protection Act (PDPA). È interessante notare che la maggior parte delle disposizioni del PDPA sono simili al GDPR, e solo una parte è stata modificata per adeguarla alle leggi nazionali.
Negli Stati Uniti non esistono leggi formali e centralizzate a livello federale. La normativa che si avvicina di più alle regole europee è il recente Consumer Privacy Act (CCPA) della California. Con il regolamento sulla privacy, l’Europa è riuscita a guadagnare una leadership nel campo della gestione dati. Continuare a ragionare sull’Intelligenza Artificiale può ridare forza all’Europa in un dibattito sui principi da condividere che è all’avanguardia a livello planetario.
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