D: Quando ha iniziato a lavorare nell’industria Oil&Gas? In cosa consiste attualmente il suo lavoro?
Ho studiato geologia a Parma e ho iniziato a lavorare in Eni nel 1988, inizialmente come geofisico occupandomi di ricerca così come di elaborazione e interpretazione dei dati, per poi passare all’esplorazione fino a diventare exploration manager e infine come general manager, posizione che ho ricoperto più recentemente presso diverse consociate. Mi sono sempre occupato di esplorazione e fin da subito ho girato il mondo. Dopo Africa e Stati Uniti sono tornato in Italia a cavallo del 2000 per poi ripartire nuovamente alla volta degli Stati Uniti e quindi Brasile e Russia. Sono infine rientrato in sede a ricoprire il ruolo di responsabile nell’area di geologia e geofisica. Insieme ai miei colleghi, ci occupiamo di supportare l’esplorazione e lo studio dei giacimenti sfruttando le nostre competenze in ambito geologico e geofisico.
D: Dagli anni Novanta a oggi il nostro modo di vivere è stato travolto dalla rivoluzione digitale. Per molti di noi questo ha significato una trasformazione anche in ambito professionale, ci può raccontare la sua?
Prima di rispondere è bene fare una premessa: già dagli anni ’80 l’industria petrolifera aveva iniziato a lavorare con il dato digitale, con strumenti dell’epoca che chiaramente erano meno avanzati di quelli che utilizziamo oggi ma comunque molto all’avanguardia. Pertanto, i dati che fin dai primi anni della mia carriera mi sono trovato a elaborare e interpretare – prima, durante e dopo la perforazione – sono sempre stati in formato digitale. Quella che negli anni è cambiata è la quantità e la qualità. La mole di dati che elaboriamo oggi è drasticamente maggiore a quella di trent’anni fa, grazie a strumenti sempre più sofisticati che sono in grado di misurare proprietà del sottosuolo sempre diverse e con maggior accuratezza.
Oltre alla quantità è cambiata la forma del dato e la nostra capacità interpretativa. Quest’ultima influenzata da una potenza di calcolo che permette oggi di elaborare una mole di dati di svariati ordini di grandezza più grandi rispetto al passato e in tempi molto più brevi. In ambito esplorativo, tutto ciò si è tradotto in una migliore capacità di diagnosi del sottosuolo da esplorare e dei giacimenti da cui produrre. Una volta, infatti, il massimo che riuscivamo a riprodurre era una “fotografia” bidimensionale del sottosuolo. Dalla fine degli anni ’80 si è arrivati gradualmente a una risoluzione via via più accurata, fino a quella che viene chiamata sismica 3D che restituisce un’immagine tridimensionale consentendo di elaborare valutazioni prima solo ipotizzabili. È stato come passare da una semplice lastra ai raggi X a una risonanza magnetica o a un’ecografia. E questo ha a che fare con l’altro aspetto: la forma. Una volta osservavamo il dato su carta. Poi siamo passati ad analizzarlo su schermo. Oggi lo valutiamo in sale tecnologiche con un team di persone con competenze diverse e questo ci permette una maggiore accuratezza nell’elaborazione e nell’interpretazione. Se penso al futuro, vedo geologi e geofisici che grazie alla realtà virtuale cammineranno dentro il giacimento accompagnati da informatici e data scientist.
D: Non ha mai avuto paura che un informatico o un data scientist le rubasse il lavoro?
Bella domanda, ma no. Perché fortunatamente la conoscenza geologica e geofisica di base è un fattore indispensabile in questo lavoro. E, almeno in Eni, la rivoluzione digitale è avvenuta in maniera graduale. Certamente, per noi geologi e geofisici l’arrivo di macchine sempre più sofisticate ha voluto dire reinventarsi. Perché alle conoscenze geologiche abbiamo dovuto aggiungere competenze digitali e di calcolo, facendo nostri i linguaggi di programmazione ed elaborazione. Ma questo è stato vissuto come un passaggio stimolante e obbligatorio, per poter sfruttare al meglio gli strumenti messi a disposizione dall’informatica e trarre il massimo delle informazioni dai dati raccolti. È indubbio che la composizione e il livello di preparazione del personale evolverà. Vedremo tra i colleghi più informatici e data scientist. Ma vedremo anche geologi e geofisici che avranno una preparazione sempre più allargata sulla gestione e utilizzo del dato. Quindi parlare di sostituzione non è assolutamente corretto, piuttosto parlerei di collaborazione e di complementazione. Loro ci aiutano nel processo di acquisizione ed elaborazione dei dati ma non saprebbero cosa farsene se qualcuno non avesse le competenze per interpretarli. Coniugare le competenze tradizionali a nuovi skills in ambito informatico è diventato imprescindibile nell’attuale contesto dell’E&P. In questo posso essere solo che contento che la compagnia per cui lavoro sia tra quelle che per prime hanno intercettato questa trasformazione e ne stia oggi raccogliendo i frutti che tutti possono riconoscere soprattutto in ambito esplorativo. E poi bisogna considerare altri aspetti positivi. Gli strumenti informatici, infatti, hanno snellito una grossa parte del lavoro di routine, specialmente per quanto riguarda l’elaborazione dei dati. Tutti i passaggi che prima andavano svolti manualmente oggi li può fare una macchina con i codici ed i software adeguati. Quando però si tratta di interpretare il dato sismico 3D e di elaborare il modello geologico entriamo in gioco noi, geologi e geofisici, perché lì le macchine non arrivano. E per fortuna è la parte più divertente del nostro lavoro.