Una nuova generazione di tecnologie ci permetterà di ottimizzare la produzione di cibo riducendo al minimo gli sprechi e aumentandone l’efficienza.
di
Andrea Daniele Signorelli
20 gennaio 2021
10 min di lettura
di
Andrea Daniele Signorelli
20 gennaio 2021
10 min di lettura
Immaginate uno sciame di droni che si alza in volo per sorvolare ettari ed ettari di campi coltivati. Droni a guida autonoma: che conoscono il territorio grazie alle mappe digitali, si orientano tramite GPS e sono in grado di comunicare l’uno con l’altro per organizzare al meglio il lavoro. E in cosa consiste questo lavoro? Nel controllare lo stato di salute delle colture, scattare fotografie e girare video ad alta definizione; inviando tutte le informazioni raccolte a un computer dal quale chiunque può supervisionare la situazione. Non solo: questi droni possono spruzzare i pesticidi solo nelle zone in cui ce n’è effettivamente bisogno, individuare i focolai in cui si annidano gli insetti più nefasti e identificare le parti di terreno poco (o troppo) irrigate.
Come si può intuire, uno dei principali obiettivi per l’utilizzo dei droni è quello di rendere l’agricoltura sempre più razionale, efficiente e sostenibile, riducendo al minimo gli sprechi e ottimizzando l’uso di risorse. Assieme a sensori, 5G, intelligenza artificiale e altro ancora, prende così vita quella che viene chiamata smart agriculture o agricoltura di precisione, un settore in forte crescita che promette di ridurre dell’85% l’utilizzo di pesticidi e di aumentare i raccolti (e il fatturato) anche del 20%.
Viste le premesse, non stupisce che il giro d’affari che circonda i droni a utilizzo agricolo dovrebbe raggiungere i 2 miliardi di dollari già nel 2021. Nel frattempo, questi oggetti volanti si stanno dotando di tecnologie sempre più evolute: geolocalizzazione, interazione con i satelliti, sensori di prossimità termici e ottici, elaborazione e gestione dei dati tramite riconoscimento immagini e non solo. Ma è tutto il mercato della smart agriculture che cresce a grande velocità, tanto che nei prossimi cinque anni dovrebbe raddoppiare, raggiungendo un valore complessivo di 22 miliardi di dollari.
Le ragioni del veloce sviluppo dello smart farming sono facilmente intuibili e sono state efficacemente riassunte dallo Scientific American: “Man mano che la popolazione mondiale cresce, gli agricoltori dovranno produrre sempre più cibo. Tuttavia, la superficie arabile non può tenere il passo e l'incombente minaccia per la sicurezza alimentare potrebbe facilmente trasformarsi in instabilità regionale o persino globale. Per adattarsi, le aziende sfruttano sempre più l'agricoltura di precisione per aumentare i raccolti, ridurre gli sprechi e mitigare i rischi economici e di sicurezza che inevitabilmente accompagnano l'incertezza agricola”.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale raggiungerà infatti i 9,7 miliardi entro il 2050 e toccherà quasi 11 miliardi entro la fine del secolo. Per assicurare sostentamento a tutti, la terra coltivabile dovrà diventare molto più redditizia di quanto non sia oggi, aumentando la produzione, a parità di terreno, anche del 60%. Un obiettivo raggiungibile solo attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie in campo agricolo, che sono infatti già state almeno parzialmente adottate dal 55% delle aziende agricole intervistate in uno studio dell’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano.
Per quanto le nazioni che più rapidamente stanno adottando le tecnologie dell’agricoltura di precisione siano Stati Uniti, Regno Unito e Australia, anche da noi le cose si stanno muovendo: il mercato italiano ha raggiunto nel 2019 un giro d’affari pari a 400 milioni, con una crescita del 270% rispetto all’anno precedente. “Il successo delle imprese agricole passa sempre di più dalla capacità di raccogliere e valorizzare la grande mole di dati che si genereranno, soprattutto per il controllo dei costi e l’aumento della qualità della produzione”, ha spiegato il direttore dell’Osservatorio Andrea Bacchetti.
Dati che, ovviamente, non vengono raccolti solo dai droni. Tra gli altri protagonisti dell’agricoltura smart troviamo per esempio i sensori, che, disseminati lungo i campi, raccolgono dati che vengono poi elaborati per fornire consigli sulle piante più adatte a un determinato tipo di terreno, suggerire il momento più adatto per arare il campo e prevedere la resa attesa per la stagione in corso. Sempre tramite sensori, è anche possibile ottimizzare automaticamente il consumo d’acqua in base ai fabbisogni delle diverse parti di terreno, arrivando a risparmiare da un minimo del 25% fino a un massimo del 60%.
Nel momento in cui l’acqua diventa un bene sempre più prezioso, sfruttare la tecnologia per ridurne il consumo è di fondamentale importanza. Ed è qui che – in aggiunta al risparmio reso possibile dai sensori che monitorano le condizioni dei campi– entra in gioco anche l’intelligenza artificiale: una startup italiana come Blue Tentacles sfrutta un sistema di precisione basato su AI che grazie ai sensori prende nota di umidità, temperatura, clima, previsioni meteorologiche e dati satellitari per aiutare gli agricoltori a migliorare la loro irrigazione, risparmiando acqua ed energia.
Parlando di intelligenze artificiale, non si può nemmeno sottovalutare l’importanza che rivestono in questo settore i nuovissimi trattori a guida autonoma: veicoli sviluppati da storici marchi come John Deere, o da nuove startup 100% elettriche come Monarch, che non sono solo in grado di guidarsi da soli, ma anche di raccogliere informazioni ed eseguire in totale autonomia le azioni necessarie a ottenere la migliore produttività.
Oltre ad aumentare la resa e diminuire gli sprechi, le innovazioni dell’agricoltura digitale consentono di porre parzialmente rimedio ai gravi problemi ambientali che stanno avendo un impatto diretto proprio sull’agricoltura. Lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali ne ha infatti causato il deterioramento, provocando l’attuale scarsità e producendo costi non più sostenibili in termini ambientali e sociali; dal punto di vista dell’inquinamento, della perdita di biodiversità e della riduzione nella fertilità dei suoli. Un problema che, ormai, è diventato urgente anche nel nostro paese, dove si stima che negli ultimi 40 anni si sia perso il 33% dei terreni fertili.
Da questo punto di vista, potrebbe essere fondamentale l’apporto della robotica: negli Stati Uniti si stanno diffondendo startup, come Iron Ox, specializzate nell’utilizzo di bracci robotici per la coltivazione di verdura in vasche idroponiche (soprattutto lattuga, la più facile da gestire in questo modo). Anche attraverso l’intelligenza artificiale, i robot di Iron Ox sono in grado di rilevare gli attacchi parassitari e le malattie prima che prendano piede, coltivando così in mezzo ettaro di terreno la lattuga che di solito richiede 12 ettari.
Ma la tecnologia non contribuisce solo a porre rimedio ai cambiamenti che coinvolgono il terreno, ma anche a quelli che riguardano l’aria e gli insetti che la popolano. La sindrome da spopolamento degli alveari, per esempio, è il fenomeno ancora poco noto che sta provocando la moria delle api osservata in tutto il mondo. Secondo uno studio dell’Università di Milano, il rischio è che nel giro di un secolo le api si estinguano.
La causa di tutto ciò sembra risiedere prima di tutto nell’eccessivo uso di pesticidi (che proprio l’utilizzo di sensori e droni, come abbiamo visto, promette di ridurre drasticamente) e anche nei cambiamenti climatici. Per quanto la priorità debba sicuramente essere quella di interrompere il declino nella popolazione delle api e degli altri insetti, la tecnologia può comunque dare una mano nell’immediato, attraverso la creazione di robot-impollinatori che sopperiscano al calo degli insetti che svolgono questa vitale funzione.
Uno dei progetti più interessanti, da questo punto di vista, è quello dell’Università di Delft nei Paesi Bassi, che punta a creare dei mini-droni dotati di ali in grado di impollinare le piante. Questo robot è stato battezzato DelFly ed è in grado di stazionare in volo sopra una determinata zona, andare in qualunque direzione e anche di ruotare improvvisamente di 360°, replicando in questo modo –grazie alle sue ali– alcuni movimenti tipici degli insetti. Le ali sono inoltre fatte di mylar, una pellicola trasparente che rende questi piccoli robot molto leggeri e quindi sicuri per le persone che lavorano nelle loro vicinanze.
Ciononostante, le dimensioni sono ancora troppo imponenti: DelFly ha un’apertura alare di 33 centimetri e pesa 29 grammi, vale a dire 55 volte il peso di una vera ape. La sua autonomia è inoltre molto ridotta e gli permette di volare soltanto per sei minuti consecutivi. Ma questo è ovviamente solo l’inizio: l’obiettivo è ridurre ulteriormente le dimensioni dell’ape-robot e di dotarla di batterie più durature, rendendola un supporto concreto per le colture che già oggi stanno soffrendo per la carenza di insetti impollinatori.
Dalla potenzialità in termini di sostenibilità ambientale –grazie alla riduzione dei consumi e al miglioramento della resa– fino agli aiuti concreti per affrontare i problemi più immediati, la smart agriculture può diventare il migliore alleato di allevatori e contadini. Contribuendo allo stesso tempo al benessere del pianeta.
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