Le città sono responsabili del 75% delle emissioni globali di gas serra. Questa consapevolezza ha innescato delle reazioni.
di
RP Siegel
07 febbraio 2018
8 min di lettura
di
RP Siegel
07 febbraio 2018
8 min di lettura
Il “Patto dei sindaci per il clima e l’energia” può contare sull’impegno da parte di città che da sole potrebbero ridurre le emissioni di CO2 su base annuale di 1,3 miliardi di tonnellate entro il 2030.
Le città hanno l’opportunità unica di far fronte al cambiamento climatico per almeno un paio di ragioni. Oltre ad essere responsabili di una quantità significativa di emissioni, come ha sottolineato l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg nel libro “Climate of Hope”, le città “sentono” di più le esigenze dei loro cittadini e sono organizzate su un modello decisionale molto più snello rispetto agli Stati o ai governi nazionali. Ciò significa che sono in grado di rispondere in maniera più reattiva ai problemi emergenti.
Ma quali sono le azioni che le città possono intraprendere? Forse la prima domanda è: “da dove proviene la maggior parte delle emissioni urbane”? Mentre gran parte degli studi condotti finora si è concentrata sull’impatto degli edifici e dei trasporti a livello locale, degli studi più recenti intrapresi dall’Istituto per la ricerca sui cambiamenti climatici di Potsdam, ha rilevato, in modo abbastanza sorprendente, che le emissioni derivanti dalla produzione di beni acquistati dai residenti, lontano dai confini della città, contribuiscono alle emissioni quanto quelle generate in tutta l’area. La relazione evidenzia che intraprendere delle azioni all’interno della città può evitare di gran lunga l’uscita di emissioni altrove nel mondo. Ad esempio, incoraggiare l’utilizzo dei mezzi pubblici e della pedonabilità ridurrebbe la domanda di veicoli che molto probabilmente sarebbero prodotti in un’altra città lontana, con un inevitabile dispendio energia.
Un altro studio, elaborato da David Hsu del MIT, mira alle opportunità che gli urbanisti hanno di ridurre le emissioni. Difatti, da questi studi si evince che si può fare molto di più a livello locale con gli edifici che con i trasporti; ciò avrebbe un impatto anche maggiore se sostenuto da politiche nazionali come l’applicazione di norme che riducano il consumo di carburante.
Nello studio, che ha sviluppato modelli di computer per 11 città americane, Hsu ha confrontato tre scenari basati sugli attuali dati di riferimento disponibili. Tra questi: l’implementazione di nuovi standard di efficienza energetica, la costruzione di caseplurifamiliari e gli interventi di adeguamentodelle abitazioni volti al risparmio energetico.
L’evoluzione degli standard di costruzione ha portato ad un miglioramento, in media, del 6% entro il 2030. Tuttavia, città in rapida crescita come Houston e Phoenix vedrebbero miglioramenti del 10-13%, mentre città con tassi di crescita più lenta come Boston, Chicago, Cleveland e Philadelphia potrebbero vedere miglioramenti in una gamma tra il 3-5%.
Si può fare ancora di più con l’adeguamento degli edifici a risparmio energetico. La riqualificazione delle abitazioni residenziali nelle 11 città studiate comporterebbe una riduzione delle emissioni del 19% rispetto al 6% ottenuto grazie all’innalzamento degli standard.
Sorprendentemente, non sono stati riscontrati miglioramenti significativi nel passaggio ad alloggi costruiti su modelli ad alta densità (ad eccezione di Phoenix). “Spostare le persone verso edifici multifamiliari è ciò che gli urbanisti hanno sempre desiderato fare, ma in realtà questa soluzione non si è rivelata così efficace quanto avrebbero pensato molti di loro” dice Hsu. Ciò si spiega principalmente dal fatto che le case monofamiliari sono diventate, dal punto di vista energetico, più efficienti.
Per alcune idee più mirate, che in questo momento le città possono pensare di realizzare, il “Carbon-Free City Handbook”, prodotto dal Rocky Mountain Institute, fornisce un approfondimento dettagliato insieme a numerosi esempi. Il libro è incentrato sulla raccomandazione di 22 “azioni senza rimpianti” che le città possono intraprendere. Queste sono suddivise in cinque categorie, a cominciare dagli edifici e dalla mobilità, per passare poi all’elettricità, all’industria e alle risorse biologiche.
Nella sezione edifici, le norme sono suddivise in due tipologie: a consumo di energia netta pari a zero e progressiva. Gli standard a consumo di energia netta pari a zero richiedono in genere che tutti i nuovi edifici di una determinata categoria (ad es. le amministrazioni comunali) soddisfino lo standard di energia netta a consumo zero o che producono energia pari a quanto ne consumano. Gli standard progressivi prevedono un evento di attivazione, come il passaggio di proprietà che implicherebbe un adeguamento dell’efficienza energetica che soddisfi gli standard municipali attuali. Rientra in questa categoria occupando un posto di rilievo anche l’illuminazione a LED intelligente. Nell’ambito dell’illuminazione, è in corso in India un importante programma di adeguamento che dovrebbe far risparmiare ogni anno 5,9 miliardi di dollari e 100 milioni di kWh di energia. Infine, anche la divulgazione e la trasparenza possono svolgere il loro ruolo, quando i proprietari di edifici sono tenuti a segnalare il consumo energetico che poi può essere paragonato ad altri edifici simili.
Per la mobilità sarebbe necessario: l’elettrificazione dell’intero parco macchine (a partire dai veicoli comunali), riduzione dell’accesso dei veicoli a combustione, riduzione delle consegne di merci, ricarica EV, eliminazione delle auto dal centro, alternative di mobilità e di trasporto pubblico.
La parte sull’elettrificazione comprende l’illuminazione stradale a LED (250.000 installati a Chicago, 225.000 installati a Madrid) e l’allestimento di quartieri esclusivamente elettrici (ad es. Amsterdam). Sono poi compresi gli impianti solari municipali (Kansas City, Denver) e le fonti rinnovabili municipali (Houston, Copenhagen, Philadelphia). Le “micro-griglie” sono in grado di mantenere efficacemente accese le luci durante i disastri naturali e in altri periodi di stress infrastrutturali.
Lo studio parla anche delle città partner con notevole utilizzo di energia nel settore industriale, che prende in considerazione le preoccupazioni sollevate nella relazione di Potsdam. Molte industrie utilizzano il calore nella loro lavorazione e sono numerosi i modi per ottimizzarne l’utilizzo tra cui: la conversione a combustibili con basse emissioni di carbonio, rendendo più efficiente il processo di generazione del calore si ottengono in facilmente linee di vapore isolanti, riparando le infrastrutture di distribuzione del calore e sfruttando il calore di scarto attraverso il teleriscaldamento o la cogenerazione. Alcuni esempi sono forniti in Cina, Svezia e Vietnam. Altre opportunità sono fornite nell’ambito dei motori elettrici. I motori rappresentano quasi il 70 per cento del consumo di energia industriale, tuttavia in questo settore sono stati fatti negli ultimi anni passi da gigante. Migliorare le conoscenze dei lavoratori può anche contribuire alla riduzione del consumo energetico.
Infine ci sono una serie di raccomandazioni che comportano il coinvolgimento della natura entro i confini di una città. Abbiamo già discusso precedentemente del valore dei tetti verdi. Le foreste urbane possono aumentare significativamente questi benefici, come è stato dimostrato a Minneapolis. Anche la differenziazione dei rifiuti organici può offrire un beneficio sostanziale. Se non vengono maneggiati adeguatamente per favorire la decomposizione aerobica, attraverso metodi come il compostaggio, i rifiuti alimentari e dei depositi, possono emettere grandi quantità di metano, un gas a effetto serra molto più potente della decomposizione della CO2. Una storia di successo è offerta dal caso di Alappuzha, in India, dove si utilizza sia il compostaggio che la produzione di biogasriducendo così le emissioni e risparmiando al tempo stesso denaro. Infine, incoraggiare i residenti a passare a una dieta prevalentemente vegetariana può anche essere un modo per contribuire in larga misura a ridurre le emissioni, soprattutto iniziando dalla fonte della produzione alimentare. Città in Italia, Brasile, Cina e Stati Uniti hanno introdotto dei programmi alimentari dove si incoraggia l’eliminazione della carne dai pasti un giorno alla settimana.
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