Siamo a un punto di svolta, a turning point for people and the planet, come lo chiamiamo noi alla UN SDG Action Campaign. Abbiamo la possibilità di immaginare un altro futuro e di ridisegnarlo. E possiamo farlo insieme”. Marina Ponti, radici milanesi e un curriculum internazionale distribuito tra il mondo delle ONG e la galassia ONU (dove è entrata nel 2001 arrivando da Mani Tese), è la direttrice di UN SDG Action Campaign, una iniziativa speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per promuovere i Sustainable Development Goals, i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dall’Agenda 2030.
Uffici a Bonn in Germania e sguardo globale, UN SDG Action Campaign è osservatorio ideale per fare un check-up di quella lista di problemi individuati come priorità dal mondo intero: dalla fame all’istruzione, dalle energie pulite al consumo responsabile. E il clima, il lavoro, la parità di genere… Li abbiamo codificati nel 2015, ci siamo dati 15 anni per risolverli –o, perlomeno, per dare una scossa drastica verso la soluzione– ma adesso, a che punto siamo? E che impatto sta avendo sulla tabella di marcia il devastante imprevisto del Covid?
“La pandemia ci ha riportati indietro su molti fronti”, risponde Ponti. “Pensi alla povertà: nel mondo sono aumentate non solo le persone in condizioni di indigenza estrema, ma anche i nuovi poveri, coloro che una volta andavano a formare la cosiddetta middle class, la piccola e media borghesia. Molti, soprattutto donne, hanno perso il lavoro. E per tanti è successo senza poter accedere a meccanismi di welfare o reti di protezione sociale, perché lavoravano nella cosiddetta economia informale. In più, oltre alla disoccupazione, è aumentata l’occupazione fragile, ovvero quella di milioni di persone che un lavoro ce l’hanno, ma con stipendi troppo bassi per mantenere un livello di vita dignitoso: pagare l’affitto, la sanità, la scuola per i figli… Poi, ovviamente, c’è il problema salute. Ne parliamo da un anno e mezzo, ma adesso stiamo iniziando a registrare l’impatto sull’aspettativa di vita, che è in calo dovunque, anche perché il Covid-19 ha colpito soprattutto le persone fragili e gli anziani”.
D: Ma anche i più giovani stanno soffrendo parecchio: l’impatto sull’istruzione, per esempio, è durissimo.
R: Sì, la pandemia ha moltiplicato l’abbandono scolastico. La didattica a distanza ha aiutato molto, certo, ma ha anche aumentato le disuguaglianze: in tanti Paesi, il computer a casa o l’accesso a internet non sono ancora alla portata di tutti. Tanti bambini hanno finito per entrare nel mercato del lavoro e dello sfruttamento. Ma aver chiuso le scuole ha causato anche un aumento della malnutrizione.
D: Perché?
R: In genere non ce ne rendiamo conto, ma nel mondo ci sono almeno 380 milioni di bambini che, per mangiare, dipendono dalle mense scolastiche: se le scuole sono chiuse, saltano i pasti. E infatti la lotta alla fame, uno degli SDG che stavano dando più risultati, ha subìto un colpo: nel tempo, eravamo scesi da un miliardo di persone affamate a 800 milioni. L’anno scorso, siamo risaliti. Ma il 2020 è stato anche l’anno in cui per la prima volta abbiamo visto arretrare lo Human Development Index, l’indicatore creato da UNDP (il programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite) per misurare la crescita dei Paesi: accanto al reddito, conteggia variabili come l’aspettativa di vita, la scolarizzazione, il clima. In trent’anni, era sempre cresciuto.
D: Bilancio pesante, insomma…
R: Sì. Ma come in ogni grande crisi, c’è anche una grandissima opportunità. Perché siamo arrivati a un punto di svolta.
D: In che senso?
R: Per la prima volta in un secolo, gli individui, le società e il settore privato di tutto il mondo si sono dovuti fermare. La pandemia li ha obbligati a farlo. E per la prima volta, sia i leader che i singoli individui si sono visti consegnare, in qualche modo, l’opportunità di reimmaginare il futuro. Nella storia recente, dopo l’ultima guerra mondiale, non era mai successo di vedersi affidare un compito del genere: ridisegnare la mobilità, l’energia, il lavoro, l’istruzione. Ora tocca a tutti i segmenti della società globale, con ruoli diversi ovviamente, ma nello stesso tempo e con i medesimi obiettivi. C’è lo spazio politico per i decisori pubblici di sciogliere tanti nodi che esistevano già, e che la pandemia ha portato allo scoperto. Prima erano nascosti da un velo; in molti, in un certo senso, si trinceravano dietro un “ma sì, in fondo le cose non vanno così male…”. La pandemia ha strappato questo velo e ci ha fatto vedere che non era così: ha smascherato tante diseguaglianze, anche profonde, insite nei meccanismi delle nostre società.
D: E siamo attrezzati per affrontare un cambio di passo così radicale?
R: Non lo so, lo vedremo. Ma di sicuro c’è che per la prima volta i governi –e pure il settore privato– sono stati dotati di risorse finanziarie impensabili anche solo un anno fa, per trasformare certe idee in realtà. Penso all’Europa, ai miliardi del PNRR. O al piano economico di Biden, The American Rescue Plan Act 2021. Servono per investire nelle rinnovabili, nella transizione ecologica, nella mobilità, nell’equità sociale, di genere e inter-generazionale. Se ne parla da sempre, ma ora c’è lo spazio politico per farlo e ci sono i soldi. Sapranno tutti cogliere queste opportunità? Non lo sappiamo. Ma è qui che, in qualche modo, entra in scena il singolo, ovvero il ruolo che tocca a ciascuno di noi.
D: In che modo?
R: I cambiamenti richiesti dall’Agenda 2030 sono indispensabili a tutti i livelli. Alcuni partono dall’alto, dalla leadership. Ma è importante pure l’azione individuale. E anche in questo il Covid-19 ha modificato la nostra percezione. Noi, come UN SDG Action Campaign, puntiamo da sempre sull’azione individuale, sui gesti che ogni persona può fare per innestare il cambiamento. Ci hanno sempre guardato con un po’ di sufficienza, come se non fossero un fattore decisivo: “Sì, certo, ma conta poco…”. Beh, in questi mesi, almeno fino al vaccino, abbiamo visto tutti come l’unica strategia possibile per contenere la pandemia passasse proprio dalle azioni individuali: distanziamenti, mascherine, quarantene. La pandemia ha fatto capire alle persone che non solo possono avere un impatto decisivo sulla loro stessa vita, ma anche sul contesto attorno a sé. Questo ha innescato un meccanismo di azione e di consapevolezza.
D: Ed è una novità assoluta?
R: In realtà lo abbiamo visto anche in altri fenomeni, come Fridays for Future o lo stesso Black Lives Matter: movimenti non identificabili con la vecchia società civile, ma fatti di persone giovani, con energia e interesse forte verso il futuro, che non solo vogliono essere ascoltati, ma in qualche modo si prendono delle responsabilità. Con in più un altro dato importante. In passato, questa tensione per la giustizia sociale i giovani la spendevano impegnandosi per una causa, o per un’organizzazione non profit, ma il lavoro restava una cosa a parte. Adesso vediamo startup e iniziative imprenditoriali che vanno nella stessa direzione: coniugano stile di vita, consumi e professione con l’impatto sociale e ambientale. E lo vediamo in tutto il mondo, anche in Africa, o in altri contesti complicati. C’è un’ondata di partecipazione attiva non solo nella sfera sociale, ma anche in quella economica. Ora manca che questi giovani si impegnino in politica. Ma il cambiamento è iniziato.