Il Ghana è stato il primo Paese sub-sahariano a diventare indipendente nel 1957. Oro, cacao e petrolio: questi i settori che alimentano la sua crescita. Obiettivo futuro: l’indipendenza energetica.
di
Eni Staff
29 settembre 2020
1 min di lettura
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Eni Staff
29 settembre 2020
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Nella storia della trasformazione economica del Ghana la scoperta dei giacimenti di petrolio e di gas naturale, poco più di dieci anni fa, ha avuto un ruolo di acceleratore. Lo sfruttamento degli idrocarburi ha significato: limitare l’esposizione alla volatilità dei prezzi petroliferi; diminuire la dipendenza dalle importazioni; garantire forniture progressivamente più stabili e meno costose; ridurre la povertà. Il gas naturale ha assunto un ruolo di primissimo piano nella generazione elettrica e nella ricerca di una maggiore autonomia energetica. Oggi il Ghana è una delle economie più dinamiche e in crescita dell’Africa Occidentale. La produzione del petrolio non è però l’unico elemento che ha reso possibile il suo sviluppo. Il governo punta anche al sostegno dei settori tradizionali, dal tessile al cacao, per diversificare la composizione dell’economia, soprattutto in un contesto di crisi economica connessa alla pandemia di Covid-19 e con un dibattitto crescente sul ruolo delle energie rinnovabili nella transizione energetica.
Fino al 2007 il Ghana non sapeva di essere ricco di petrolio. “Dobbiamo ringraziare il Signore per averci dato questa risorsa naturale”: è il 15 dicembre del 2010 quando l’allora presidente, Atta Mills, pronuncia queste parole all’inaugurazione del primo giacimento di greggio e gas associato a 60 chilometri dalla costa sud-occidentale. Il Jubilee (così si chiama il giacimento di petrolio) è stato individuato tre anni prima con riserve stimate: 660 milioni di barili. Oggi produce 150 mila barili al giorno. Giovani, imprenditori, contadini: tutti sono “giubilanti”, racconta NJ Ayuk nel suo libro “Big Barrels”: il Ghana si avvia a diventare un nuovo produttore di petrolio nell’Africa occidentale.
Il Ghana punta a trasformare l’energia in un settore chiave per l’evoluzione economica del Paese evitando di cadere nella trappola della dipendenza dalle risorse. Il modello arriva da Oriente: alcune economie del Sud-est asiatico hanno utilizzato gli idrocarburi per sviluppare l’industria manifatturiera. La disponibilità interna delle risorse consente di ridurre la vulnerabilità ai prezzi petroliferi sul mercato internazionale, garantendo forniture stabili a prezzi accessibili, e dunque un grado maggiore di sicurezza energetica. Stando ai dati della Banca Mondiale, il Paese nel 1991 aveva un tasso di povertà del 47,4%. Nel 2012 la povertà era scesa al 12,1%. Oggi è una delle economie africane in maggiore crescita, insieme a Etiopia e Costa D’Avorio.
Nella storia di questa trasformazione non mancano le battute d’arresto. Dopo il ventennio d’oro, 1995-2015, una politica fiscale espansiva prosciuga le riserve. Superata la crisi economica del 2015, quando il crollo del prezzo del petrolio e un fortissimo indebitamento costringono le autorità ghanesi a negoziare una estensione della linea di credito con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), da Washington arrivano soprattutto elogi. Per il 2019, l’FMI si spinge a prevedere un tasso di crescita dell’8,8%, posizionando il Ghana tra le economie del mondo che prosperano più rapidamente. I dati ufficiali, pubblicati ad aprile scorso dal Ghana Statistical Service, hanno fissato la crescita del Prodotto interno lordo (PIL) al 6,5%, un dato che ridimensiona le aspettative ma che segna un incremento rispetto al 6,3% del 2018. Per il 2020, prima dello scoppio della crisi epidemiologica internazionale, il Fondo aveva previsto una crescita ancora più alta, del 9,3%. L’annus horribilis del Covid-19 assesterà un colpo durissimo all’economia: il tasso di crescita del PIL reale è sceso all’1,2% nel primo trimestre (nel quarto trimestre del 2019 si attestava all’1,9%). La produzione del petrolio ha indubbiamente accelerato la crescita di questo Paese. Un elemento che, insieme ai settori tradizionali, ha consentito di diversificare la composizione dell’economia. Seppur con qualche segnale discordante.
Quando nel 2019 il Ghana surclassa il Sudafrica come maggiore produttore di oro al mondo, deve il suo successo a tre fattori: costi competitivi delle attività estrattive (che risalgono all’inizio del XIX secolo); una forte apertura economica; nuovi progetti di sviluppo.
Ma il Ghana primeggia, da 40 anni, anche in un altro settore: la produzione di semi di cacao. Dopo la Costa d’Avorio, Accra è il secondo maggiore esportatore di cacao al mondo: i due paesi, insieme, producono il 66% del cacao a livello mondiale. Le esportazioni si aggirano sui 2 miliardi di dollari l’anno. Al contrario, le importazioni di cioccolata arrivano a malapena a 8 milioni. Un gap che una nuova classe di imprenditori vuole colmare, forte della nuova domanda di cioccolata dal gusto più cosmopolita nata in seno alla crescente classe media. Sono così nate fabbriche di cioccolato che servono esclusivamente il mercato interno, anche grazie agli investimenti cinesi e a una forte spinta alla digitalizzazione.
Intervista a Jeanne Donkoh che ha fondato una fabbrica di cioccolato: Bioko. Nel suo laboratorio di Accra vengono studiati nuovi sapori che soddisfano il palato dei ghanesi.
Torniamo al 2010, anno di inaugurazione del primo giacimento di petrolio. Il “bambino d’oro” dell’Africa - definizione coniata dalla comunità internazionale all’inizio degli anni 2000 - può contare su un sistema democratico stabile, dopo la transizione a un sistema multi-partitico nel 1993; una stampa libera; una società civile dinamica. Il Ghana punta a proteggere il mercato interno e ad aumentare il tenore di vita di una popolazione di quasi 30 milioni di abitanti, alla ricerca di un modello di sviluppo sostenibile per l’intero continente africano.
Da quando, nel 2017, il presidente Nana Akufo-Addo è al potere, lo sviluppo dell’agroalimentare è stato centrale nella sua politica volta a ridurre la dipendenza dalle importazioni. La Banca Mondiale celebra i suoi sforzi volti ad aumentare i tassi di occupazione e a garantire l’accesso all’istruzione. Non tutti questi obiettivi sono stati raggiunti, scandisce il rapporto. A dirlo sono i dati.
Stando al Ghana Statistical Service, il comparto industriale - olio e gas inclusi - contribuisce al PIL per il 34,2%. Il ruolo del petrolio, soprattutto negli ultimi tre anni, è aumentato in modo significativo, passando al 4,5% dallo 0,6% del 2016. Oggi è secondo solo all’oro (7,1%), ma non è l’unico settore che traina l’economia. Il prodotto che viene maggiormente esportato resta il preziosissimo metallo; il settore dei servizi rappresenta quasi metà della produzione interna lorda; l’agricoltura - spinta dai semi di cacao - pesa per il 18,5%.
E l’agricoltura dovrebbe essere maggiormente sostenuta proprio dalle risorse generate dal settore degli idrocarburi, ci dice in una intervista il direttore dell’Africa Centre for Energy Policy (ACEP), Benjamin Boakye. Lo sviluppo dell’industria del petrolio rischia di disincentivare il governo a sviluppare gli altri driver di crescita. Nel 2013, il contributo dell’agricoltura al PIL era ben più alto, pari al 21,7%. Complessivamente, il settore non oil è ancora forte ma mostra una lenta decrescita, dal 6,5% del 2018 al 5,8%.
Il crollo del prezzo del petrolio e l’impatto del Covid-19 hanno ampliato il dibattito interno sulla necessità di accelerare il processo di diversificazione economica. Non manca al Ghana la determinazione a riequilibrare la sua economia. Il Paese mostra un grado di dipendenza dagli idrocarburi decisamente minore rispetto a quella degli altri paesi produttori dell’Africa sub-sahariana, come Nigeria, Angola e Gabon. Allo stesso modo appare chiara la strategia di smarcarsi dalla dipendenza delle importazioni delle materie prime, accelerando l’integrazione regionale. Significativo, a questo riguardo, anche il forte sostegno del Paese alla nuova Area comune di libero scambio africana (AfCFTA). Il Parlamento ghanese è stato tra i primissimi a ratificarla, a conferma del panafricanismo che da sempre contraddistingue il Ghana. Accra ha vinto, ad aprile scorso, la competizione per ospitare sede del Segretariato.
Fino al 2007, i consumi di energia da biomassa equivalevano al 49%. Nel 2016 l’utilizzo delle biomasse è sceso al 39%. Lo sfruttamento degli idrocarburi e una forte spinta all’elettrificazione hanno cambiato il settore dell’energia. Oggi il Ghana continua lo sviluppo delle infrastrutture sia nell’upstream che nel midstream. Oltre al Jubilee, gli altri due principali giacimenti - TEN e Sankofa – si concentrano nel Bacino del Tano. Tre le società attive nel settore: Eni, la norvegese Aker e l’africana Tullow. Nel 2019 il Ghana ha prodotto quasi 200mila barili al giorno. Il petrolio è destinato alle esportazioni: il greggio rappresenta una importante voce dell’export (4,57 miliardi di dollari nel 2018). Il gas, invece, è fondamentale per soddisfare i consumi interni, che crescono a un tasso del 10-15% all’anno, e alimentare il settore elettrico.
Prima dello sviluppo di OCTP (2018), il progetto di esplorazione dell’offshore ghanese che vede una importante partecipazione di Eni, il Ghana alimentava le sue centrali elettriche principalmente con petrolio e gas importati dalla Nigeria, attraverso la West African Gas Pipeline (WAGP). Inoltre, sfruttava una grande centrale idroelettrica sul fiume Volta, nella zona sud-orientale: la diga di Akosombo, costruita negli anni ‘60 dall’italiana Salini Impregilo - il lago artificiale più grande del mondo. Oggi, queste fonti continuano ad avere un ruolo rilevante nella generazione elettrica ghanese, ma il crescente contributo del gas di OCTP potrà gradualmente favorire il percorso del Ghana verso una maggiore autonomia energetica.
Dieci anni fa, le forniture non erano sufficienti: il lago non bastava a soddisfare il fabbisogno energetico di uno dei Paesi africani che nel 2018 è arrivato a vantare l’accesso all’elettricità per l’84% della popolazione. A ciò si aggiungeva un elemento di discontinuità delle forniture nigeriane. Il risultato: un gigantesco black out ha tagliato le gambe a moltissime industrie. Il Ghana era uno degli hub dell’industria tessile dell’Africa occidentale: la crisi ha falciato le aziende tessili, ne sono sopravvissute solo tre.
Il Paese è stato così costretto a revisionare la sua politica energetica. Spronato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, il governo di Accra ha riconosciuto nella produzione di gas la chiave di volta per garantire la diversificazione del mix energetico e la stabilità delle forniture a basso costo, facendo leva anche su investitori privati. Così, il progetto di Eni, che consiste nella produzione di olio per l’export e del gas per i consumi interni, è stato accolto con favore.
Al contempo, questa politica volta a costruire un numero elevato di centrali elettriche ha generato un problema di sovraccapacità. Ogni anno, il governo si ritrova a pagare 450 milioni di dollari ai produttori indipendenti per una elettricità che non consuma. Gli esperti ritengono che il settore vada riorganizzato, anche per sfoltire un mercato estremamente sovraffollato, dominato dalle aziende statali in alcuni comparti, e da coni d’ombra che impediscono il progresso di altri settori. Soprattutto delle rinnovabili.
Il dibattito sullo sviluppo dell’energia solare fatica a tradursi in concretezza. L’obiettivo di raggiungere un mix energetico in cui le rinnovabili peseranno per il 10%, inizialmente previsto per il 2020, è stato spostato al 2030. Se, da una parte, le autorità nutrono un teorico interesse a sviluppare progetti di energia rinnovabile (è stato pubblicato nel 2019 il Piano Generale per le Energie Rinnovabili), dall’altra, a fronte di una disponibilità di risorse, continuano a privilegiare i ben più remunerativi progetti legati all’oil&gas. Significativo il completamento della riconversione, nel 2019, della nave Karpower per la generazione elettrica da olio a gas, che contribuisce a ridurre l’impatto carbonico nella transizione energetica.
Dopo tre anni consecutivi di crescita economica a tassi elevati, nel 2020 il Paese rischia di registrare la crescita più bassa degli ultimi 37 anni, avverte il FMI. Anche il rapporto tra deficit di bilancio e PIL rischia di espandersi al 10%, il più ampio degli ultimi sei anni, vanificando così gli sforzi di disciplina fiscale. Sullo sfondo pesano anche una inflazione in aumento, una valuta debole, e una politica monetaria restrittiva, mentre il Paese si prepara alle elezioni presidenziali previste per dicembre prossimo. Con il crollo del prezzo del petrolio, sono diminuite le entrate del Paese. Il settore dell’energia influenza da sempre l’andamento economico del Paese e l’equilibrio dei suoi conti pubblici. Per la ripresa bisognerà attendere il 2021, ha detto il governatore di Bank of Ghana, Ernest Addison. Ma la turbolenza del mercato petrolifero non ha intaccato le attività di Eni, l’unica azienda che al momento sta portando avanti attività esplorative: le altre società energetiche non prevedono di aumentare la produzione.
Un paese moderno legato alle sue tradizioni. Il reportage di Gabriele Cecconi racconta lo sviluppo economico del Ghana e la vitalità di alcuni settori storici, dal cacao al tessile.
Il fotografo Gabriele Cecconi ha compiuto un viaggio in Ghana per raccontare le sfaccettature di una economia emergente. Ne emerge l’immagine di un Paese dinamico, con una forte spinta all’urbanizzazione ma ancora legato alla pesca. Un paese che si sviluppa a passi decisi senza però dimenticare i suoi settori tradizionali, dal cacao al tessile. Queste immagini raccontano quanto il ruolo crescente dell’oil&gas nello sviluppo economico sia bilanciato dalla volontà del governo ghanese di rafforzare altri driver di crescita.
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