Upstream, downstream, gas, rinnovabili, nuove tecnologie ed efficienza energetica, Le strategie per rendere il settore energetico una piattaforma per lo sviluppo.
Il ciclo dei prezzi del petrolio dello scorso decennio ha messo ancora una volta a nudo alcune delle debolezze economiche strutturali dei paesi per cui gli introiti derivanti dagli idrocarburi costituiscono una percentuale consistente dei proventi delle esportazioni e del gettito fiscale. L’impatto della variazione dei prezzi del petrolio è stato particolarmente forte in Medio Oriente, principale regione produttrice. Tra il 2015 e il 2018, per esempio, nei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) gli introiti netti medi derivanti da petrolio e gas sono diminuiti del 45 percento rispetto ai picchi del 2010-2014. Il dibattito sulla necessità di diversificare le rispettive economie ha preso nuovo slancio in tutta la regione e diversi paesi, tra cui Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti, hanno annunciato ambiziosi programmi di riforme volti in gran parte a ridurre la propria dipendenza dai proventi degli idrocarburi. Nulla di nuovo, tuttavia, se si pensa che già negli anni Settanta era stata riconosciuta la necessità strategica della diversificazione economica nei piani di sviluppo della regione. I successi su questo fronte si sono però rivelati modesti, in parte perché l’urgenza con cui sono state intraprese le riforme ha teso a seguire il corso dei prezzi del petrolio, diminuendo al loro aumento.
Ora più che mai, data l’incertezza sul futuro dei mercati energetici, è necessario abbandonare questo modello economico. Dal lato dell’offerta, la rivoluzione dello shale statunitense ha modificato profondamente le previsioni in tutti i mercati energetici. Secondo le stime del “World Energy Outlook 2018” elaborato dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), entro il 2025 un quinto dei barili di petrolio prodotti a livello globale nonché un quarto della produzione mondiale di gas naturale potrebbero provenire dagli Stati Uniti. Inoltre, è probabile che la natura degli investimenti a breve ciclo tipicamente legati a questa produzione aumenti l’instabilità dei prezzi nel breve e medio termine, rischiando di ripercuotersi negativamente sui bilanci delle economie dipendenti dal petrolio. Dal lato della domanda, la maggiore efficienza e i progressi compiuti nel campo dei veicoli elettrici stanno riducendo il fabbisogno di petrolio nel settore dei trasporti, che attualmente rappresenta oltre la metà dei consumi petroliferi totali. La crescente percezione da parte dell’opinione pubblica delle sfide poste dal cambiamento climatico e le politiche sempre più risolute a favore della transizione energetica non fanno che aumentare l’incertezza sul futuro della domanda di petrolio, fornendo un ulteriore incentivo per i paesi produttori ad attuare cambiamenti che in futuro li renderanno più resilienti.
Nel rapporto “Outlook for Producer Economies” pubblicato di recente dalla IEA, abbiamo valutato l’impatto sui paesi produttori di un quadro caratterizzato dal calo dei prezzi del petrolio, riscontrando che, in caso di un andamento al ribasso (tra i 60 e i 70 dollari a barile da qui al 2040) a causa dell’aumento dell’offerta, del calo della domanda o di una combinazione dei due fattori, le economie dei produttori subirebbero gravi ripercussioni: in tutto il Medio Oriente, entro il 2040 il reddito pro capite sarebbe la metà di quello previsto in uno scenario in cui la domanda continua ad aumentare e i prezzi rimangono elevati, mentre la perdita complessiva delle entrate da idrocarburi di qui al 2040 ammonterebbe a 6.500 miliardi di dollari (cifra quasi equivalente al valore triennale del prodotto nazionale lordo complessivo della regione).
L’agenda delle riforme dei paesi produttori non riguarda esclusivamente l’energia, ma comprende anche questioni come la necessità di migliorare il contesto imprenditoriale generale e le condizioni per la crescita del settore privato, nonché l’introduzione di caute politiche fiscali anticicliche per attenuare le fluttuazioni di prezzi ed entrate. Ma una delle domande cui il rapporto “Outlook for Producer Economies“ intendeva rispondere è: come può adattarsi il settore energetico per fare da piattaforma per lo sviluppo anziché da puntello a un’economia squilibrata? Di seguito presentiamo alcune delle strategie più promettenti.
In tutto il Medio Oriente i produttori hanno già compiuto sforzi notevoli per spostare le attività a valle della filiera, nel tentativo di ricavare maggior valore dalle risorse di idrocarburi. Oggi la regione produce circa il 10 percento dei volumi di greggio raffinati a livello globale, e si tratta di una quota destinata ad aumentare dal momento che sono già in fase di costruzione in tutto il Medio Oriente diversi progetti su larga scala come i complessi di Jubail, Yanbu e Jizan in Arabia Saudita. Molti paesi, inoltre, non limitano questo aumento delle capacità ai propri territori nazionali, ma stanno puntando ai mercati in espansione, soprattutto in Asia. Saudi Aramco, compagnia nazionale saudita di idrocarburi, ha da poco concluso vari accordi per investire in raffinerie in Cina, India, Indonesia, Malesia e Stati Uniti, mentre la Kuwait Petroleum Corporation, compagnia petrolifera di bandiera del Kuwait, intende investire nell’indiana Bina Refinery.
Le ragioni alla base di questo spostamento a valle della filiera sono molteplici, tra cui il desiderio di ricavare maggior valore dal petrolio prodotto nella regione e assicurarsi sbocchi per le esportazioni di greggio. Questa espansione delle attività incrementa gli introiti per ciascun barile prodotto ma, al contempo, rischia anche di aumentare la dipendenza dai proventi petroliferi. Tuttavia, i guadagni della fase downstream seguono in genere un andamento diverso da quelli della fase upstream, tendendo a essere più elevati quando i prezzi del greggio sono bassi (e viceversa) e costituendo pertanto al contempo una copertura contro il calo dei prezzi del petrolio.
In tutto il Medio Oriente, i paesi produttori stanno anche effettuando investimenti in complessi petrolchimici. Oltre all’attrattiva di margini potenzialmente più elevati e stabili, i prodotti petrolchimici (le cui prospettive sembrano essere solide in qualunque scenario futuro) offrono un certo livello di protezione dall’eventualità di una contrazione della domanda di petrolio a causa di una rapida diffusione dei veicoli elettrici o di netti miglioramenti in termini di efficienza in un contesto di transizione energetica globale. In effetti, nonostante si ponga sempre maggiore attenzione alla riduzione della plastica monouso e al riciclo delle materie plastiche, soprattutto nelle economie avanzate, l’impatto di queste pratiche è ampiamente vanificato dall’impennata della domanda nei paesi in via di sviluppo e dall’aumento dell’uso della plastica al posto di altri materiali, come legno e metallo.
Si prevede che di qui al 2040 il Medio Oriente raddoppierà la produzione di sostanze chimiche, aumentandone la propria quota nella produzione globale di quattro punti percentuali e raggiungendo il 17 percento entro il 2040 grazie al vantaggio in termini di costi delle materie prime e all’alto livello di efficienza delle nuove strutture costruite. Una conseguenza dell’incremento delle attività a valle della filiera è che, dei 6,5 milioni di barili al giorno che costituiscono l’aumento progressivo dell’offerta di petrolio della regione di qui al 2040, ne verranno esportati come greggio solo 800 mila (mentre 2,1 milioni di barili passeranno dalle raffinerie e 3,6 milioni di barili verranno usati nella produzione di prodotti petrolchimici).
Molti dei principali paesi produttori di petrolio hanno considerato raramente il gas naturale un utile sottoprodotto dell’estrazione petrolifera, trascurando spesso le straordinarie opportunità che invece poteva offrire al mantenimento di una base industriale. Oggi si impone un ripensamento radicale dell’importanza strategica di questo combustibile fossile, che è necessario capire come utilizzare al meglio all’interno del sistema energetico, soprattutto in quei paesi dove il bilancio del gas è già messo a dura prova. In tutto il Medio Oriente, per esempio, esistono ottime ragioni economiche a favore di un rapido sviluppo della tecnologia fotovoltaica, che andrebbe a soppiantare gas e petrolio nella generazione di energia, aumentando così la quantità di gas da destinare a industrie a elevato valore aggiunto. Dal lato dell’offerta, per sfruttare appieno il potenziale del gas, alcuni paesi dovranno correggere le proprie politiche tariffarie al fine di incentivare le attività a monte della filiera, nonché rivedere i settori prioritari per consumo di gas. Di recente c’è stato qualche progresso, come l’adozione da parte di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti di misure per incrementare i prezzi del gas locale, che però sono rimasti ben inferiori a quelli del gas naturale liquefatto importato.
Le previsioni di crescita della domanda di elettricità in diversi paesi produttori sollevano interrogativi circa la sostenibilità economica del suo modello attuale di fornitura. In Medio Oriente, per esempio, l’incremento della domanda di elettricità del 5,7 percento annuo negli ultimi 20 anni si è tradotto in un raddoppio del consumo di petrolio per la produzione di energia elettrica, che nel 2017 ammontava a circa 1,8 milioni di barili al giorno. Ciò significa che il petrolio viene sottratto alle esportazioni e destinato a un consumo interno inefficiente, esponendo i paesi a un notevole costo-opportunità, soprattutto nei periodi in cui la capacità produttiva inutilizzata a livello globale risulta esigua.
Al momento, la capacità di picco in molte zone del Medio Oriente è fornita da centrali alimentate a petrolio, che spesso bruciano direttamente il greggio o utilizzano olio combustibile pesante. In Arabia Saudita, per esempio, la curva del carico giornaliero estivo raggiunge quasi il doppio del picco dei mesi invernali a causa dell’utilizzo dell’aria condizionata. Ciò significa che, su un totale di 88 gigawatt di capacità, ne vengono utilizzati tra i 20 e i 25 solo per circa metà dell’anno. Trattandosi per la maggior parte di centrali a petrolio, nei periodi estivi di picco la combustione giornaliera di combustibili liquidi supera addirittura di 500 mila barili al giorno quella dei mesi invernali. In futuro, in assenza di un miglioramento significativo in termini di efficienza e dato l’ampio aumento previsto nell’uso di condizionatori in tutto il Medio Oriente (la sola domanda di climatizzazione degli ambienti potrebbe passare dai 135 terawattora di oggi a più di 300 terawattora nel 2040), il picco aumenterà sensibilmente, rendendo ancora più chiara la necessità di dotarsi di un sistema elettrico più efficiente.
Per far fronte ai picchi, le risorse solari sono abbondanti e ideali: la domanda quotidiana di condizionamento, infatti, raggiunge il picco nel primo pomeriggio, in concomitanza con il picco naturale dell’energia solare. Al momento, questo potenziale è quasi completamente inutilizzato: gli 1,2 GW di capacità solare rappresentano meno dello 0,5 percento della capacità di generazione totale del Medio Oriente (a fronte di oltre 90 GW di capacità da petrolio). Ma vista la rapida riduzione dei costi del fotovoltaico, anche se il prezzo dell’energia generata dal petrolio fosse fissato a 40 dollari al barile il solare non sovvenzionato sarebbe comunque più competitivo e lo soppianterebbe rapidamente.
Sebbene gli argomenti economici a favore dell’energia rinnovabile siano convincenti, raggiungere livelli di diffusione corrispondenti dipenderà dalla capacità di eliminare le barriere che ne ostacolano l’introduzione. Allo stato attuale delle cose, i timori sull’impatto delle rinnovabili variabili sulla stabilità della rete nel Medio Oriente sono limitati, ma occorrerà comunque armonizzare la pianificazione della rete elettrica con i piani per i nuovi progetti di rinnovabili su grande scala che dovrebbero confluirvi. La maggior parte dei paesi del GCC dispone di parchi di generazione già abbastanza flessibili da consentire una maggiore penetrazione delle rinnovabili. Queste tecnologie potrebbero inoltre essere utilizzate per gestire l’aumento della domanda di energia elettrica per la desalinizzazione, contribuendo ad assicurare un mercato nei periodi di produzione di elettricità in eccesso.
Secondo le stime della IEA, nel 2017 in Medio Oriente i sussidi per il consumo di combustibili fossili si sono aggirati intorno ai 105 miliardi di dollari. Mantenere il prezzo dell’energia artificialmente basso incentiva sprechi nei consumi. Dal 2000, la domanda di energia primaria in Medio Oriente è cresciuta del 4,4 percento annuo, un tasso più che doppio rispetto alla media mondiale. Una delle conseguenze è che in questo lasso di tempo due quinti dei barili di petrolio prodotti sono stati destinati al consumo interno. Le economie mediorientali sono tra le più energivore al mondo: basti pensare che agli Emirati Arabi Uniti, il paese a minor consumo energetico della regione, serve il 10 percento in più di energia rispetto alla media mondiale per generare un dollaro di rendimento economico.
Oltre all’onere fiscale e all’impatto sui consumi, i sussidi distorcono gli incentivi agli investimenti in tutto il settore energetico. I prezzi bassi del gas naturale, per esempio, hanno ridotto lo stimolo per le aziende private a investire in nuovi progetti di esplorazione e produzione in alcune zone del Medio Oriente.
Perché abbiano successo, le riforme devono tener conto del fatto che la presenza di energia a basso costo è profondamente radicata nel contratto sociale di molti paesi produttori, ma anche saper coniugare la necessità di rivedere i prezzi con quella di favorire o addirittura potenziare la competitività industriale. Anche senza sussidi, gran parte dei produttori di gas e petrolio del Medio Oriente godrebbe comunque di un vantaggio competitivo, dal momento che i livelli esigui dei costi di produzione possono garantire stabilmente prezzi interni bassi. Inoltre, è possibile mitigare notevolmente le ripercussioni sui consumatori di una riforma tariffaria se vi si affiancano misure per potenziare l’efficienza energetica. Aumentare i prezzi del carburante e dell’elettricità riduce il periodo di ammortamento dei prodotti più efficienti e contribuisce a sensibilizzare l’opinione pubblica sui legami tra l’efficienza e il costo dell’energia consumata. Tuttavia, per garantire la disponibilità di prodotti più efficienti sul mercato occorre in genere un incentivo dal lato dell’offerta.
La capacità di mantenere i proventi di petrolio e gas a livelli ragionevoli costituisce un importante elemento di stabilità per l’economia, soprattutto quando le condizioni di mercato sono difficili. A questo proposito, sebbene possa sembrare controintuitivo nella logica della diversificazione economica, attirare investimenti e mantenere o potenziare la produttività delle proprie attività upstream resta di importanza cruciale per i produttori. Occupando l’estremità inferiore della curva dei costi delle forniture di petrolio, i paesi mediorientali rimarrebbero produttori essenziali anche in un panorama energetico conforme all’Accordo di Parigi, che prevede un imminente picco della domanda di petrolio e un successivo calo fino a raggiungere circa 70 milioni di barili al giorno entro il 2040. Alcuni produttori del GCC (Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in testa) hanno già dimostrato che grazie agli intensi sforzi profusi per eliminare il gas flaring (pratica che consiste nel bruciare, senza recupero energetico, il gas naturale in eccesso estratto insieme al greggio) e le perdite di metano, si sono resi fortemente competitivi in termini di intensità delle emissioni di gas serra, un fattore che in futuro potrebbe contraddistinguere i fornitori di petrolio.
I produttori del Consiglio di cooperazione del Golfo sono leader mondiali in materia di tecnologie energetiche. Per questo, oltre al potenziale costituito dalle rinnovabili, si trovano anche nella posizione ideale per sviluppare nuovi approcci volti a limitare o ridurre al minimo le emissioni prodotte durante il ciclo di vita di petrolio e gas. L’argomento diventa particolarmente convincente quando si trovano sinergie tra industrie. In una certa misura, ciò sta già avvenendo negli Emirati Arabi Uniti, dove presso l’impianto siderurgico di Al Reyadah vengono catturati ogni giorno 1,13 milioni di metri cubi di anidride carbonica, poi utilizzati per il recupero assistito del petrolio. Questo processo presenta l’ulteriore vantaggio di rendere disponibile il prezioso gas naturale, che altrimenti verrebbe impiegato per lo stesso scopo. L’Oman è il primo paese ad aver lanciato ampi progetti a concentrazione solare per il recupero assistito del petrolio. L’energia solare potrebbe inoltre essere impiegata per soddisfare la crescente domanda di desalinizzazione dell’acqua in Medio Oriente, un tema di importanza cruciale dal momento che secondo le previsioni la produzione di acqua desalinizzata nella regione aumenterà di circa 14 volte entro il 2040. Il passaggio dai processi termici all’osmosi inversa alimentata dall’elettricità ha il doppio vantaggio di ridurre la combustione degli idrocarburi per la produzione di acqua, fornendo al contempo un mercato per l’energia rinnovabile in eccesso in alcuni momenti della giornata (riducendo in tal modo il problema del contingentamento). Pertanto, sarebbe sbagliato credere che il vantaggio comparato nel settore energetico di cui oggi godono i maggiori produttori diminuirà con la transizione energetica
Nonostante i rischi non siano equamente distribuiti tra i produttori, alla luce delle pressioni demografiche e delle incertezze sul lato della domanda i paesi che dipendono dai proventi di petrolio e gas devono imperativamente riorientare le proprie economie. Il processo di trasformazione sarà senza dubbio complesso e impegnativo e i suoi sviluppi avranno profonde ripercussioni sulle economie stesse dei paesi produttori, ma anche sul sistema energetico globale e sulla sicurezza energetica in senso lato. In effetti, le prospettive di stabilità nei mercati petroliferi sono sempre più interconnesse con l’agenda di riforme dei paesi produttori. L’esempio del Venezuela serve da monito per ricordarci che le vicende di un singolo stato possono avere gravi implicazioni per gli equilibri mondiali. È probabile che i cicli dei prezzi continuino a caratterizzare i mercati delle materie prime e possano diventare addirittura più frequenti data la crescente importanza nel panorama mondiale dell’offerta degli investimenti a breve ciclo nello shale. I periodi caratterizzati dal rialzo dei prezzi possono fornire sollievo, ma portano anche con sé un rischio considerevole, soprattutto se allentano la pressione per il cambiamento e al contempo aumentano gli incentivi che spingono i grandi consumatori ad accelerare lo slancio conferito alle alternative a petrolio e gas dalle iniziative politiche. Ecco perché il successo della trasformazione delle economie dei paesi produttori, che si basa su un forte settore energetico, è fondamentale per attori che operano ben al di là dei loro confini nazionali.
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