Per gli alleati storici, rimanere fedeli agli Stati Uniti inizia a essere un lavoro piuttosto complicato da quando la “Cina è vicina”, per mutuare il titolo del celebre libro che Enrico Emanuelli pubblicava già nel 1957. Succede, oggi, anche al Medio Oriente. Soprattutto ai paesi che si affacciano sul Golfo, che si sono affermati come i partner più importanti della Belt and Road Initiative (BRI), in cinese “yidai yi lu” (一带一路): il progetto di nuova globalizzazione promosso dal presidente cinese, Xi Jinping, nel 2013. Con la Nuova Via della Seta, Pechino vuole creare nuove connessioni infrastrutturali via terra e via mare tra Asia, Africa ed Europa. Si tratta di un disegno internazionale che coinvolge 68 paesi: il 65 percento della popolazione; il 40 percento del Pil globale; il 75 percento delle riserve di energia attualmente conosciute. A cinque anni dal suo lancio, la BRI ha generato nei paesi interessati finanziamenti infrastrutturali pari a circa 400 miliardi di dollari. Entro il 2029, gli investimenti potrebbero toccare quota 1.000 miliardi di dollari, stando ai dati cinesi.
Questo mastodontico piano geo-economico, condiviso e inclusivo, è destinato a trasformare l’Eurasia. È la forza dei numeri ufficiali. Si parla di 900 progetti di nuove infrastrutture lungo i sei corridoi economici, e di 780 miliardi di dollari originati dagli interscambi con i paesi che si trovano lungo la via che ripercorre le antiche rotte commerciali del XVI secolo. C’è di più: gli scambi di merci tra la Cina e i paesi interessati aumenteranno di 117 miliardi di dollari nel corso del 2019. Lo ha previsto di recente Euler Hermes, società di assicurazione del credito commerciale. Pechino ha dunque lanciato una visione a lungo termine: un nuovo motore a sostegno dell'economia globale.