Questo articolo è tratto da WE-World Energy n. 42 - Gulf Vision. Leggi il magazine
Democrazie, regni, sultanati, petromonarchie. Ci sono parole, categorie politiche e molte buone ragioni per parlare dei paesi del Golfo, ce ne sono altrettante per provare a farlo tenendo il quadro e la cornice appesi sulla parete antica e moderna dei sistemi di governo. L’Occidente attraversa un momento di seria difficoltà sul piano del funzionamento delle sue istituzioni, la guida americana è entrata in uno dei suoi classici periodi pendolarismo verso l’isolazionismo, in realtà più desiderato che praticato (una potenza globale non può sottrarsi al suo destino) ma in ogni caso sufficiente a curvare in maniera diversa lo spazio e il movimento di tutti gli altri attori. L’Unione europea attende una svolta, il suo congegno si è inceppato, la Brexit è stata il gong di un’altra era. E non ci sono mappe dettagliate per capire quale sarà davvero l’approdo futuro. L’Oriente è in una fase di espansione e probabilmente maturazione della crescita, mentre i suoi sistemi di governo, che sono i più vari (pensate all’antitesi tra il partito unico della Cina e il multipartitismo del Giappone), a loro volta ne dipingono il destino e imprimono la rotta nell’area del Pacifico. Il Medio Oriente è entrato in un altro capitolo del suo romanzo, è uno spazio materiale e ideale più largo di quello del Golfo, ma il racconto di questa dimensione ha come fulcro quest’area geopolitica. L’uomo occidentale, pensando a se stesso come il centro di tutto, spesso sbaglia nel leggere i fatti e soprattutto nell’interpretare la direzione di marcia di questi paesi che sì, sono dominati dal tema dell’uso e trasformazione delle risorse energetiche, ma hanno basi culturali che vengono prima del conteggio delle gasiere e degli oleodotti. Nel Golfo rullano i tamburi delle truppe della trasformazione politica, scalpita la cavalleria dell’economia, delle relazioni tra potenze e delle scomposizioni e ricomposizioni dell’ordine mondiale.