Al forum di ottobre sarà necessario un piano d’azione diplomatico che tenga conto della posizione dei vari paesi del gruppo in tema di energia e di clima. Sul tavolo una transizione energetica (ancora) eterogenea.
di
Luca Franza (IAI)
12 febbraio 2021
12 min di lettura
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Luca Franza (IAI)
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Il gruppo del G20 ha una responsabilità particolarmente marcata nel processo di riduzione delle emissioni di gas serra. Nel loro insieme, i paesi del G20 rappresentano infatti circa l'80 % delle emissioni globali e, grazie al proprio peso politico, sono in grado di influenzare l'azione globale per il clima anche oltre i propri confini, emanando norme e fissando standard internazionali. Sul versante della decarbonizzazione vi sono segnali di speranza. Il panorama politico globale è migliorato alla fine del 2020: diverse nazioni hanno aderito all’obiettivo di azzerare le emissioni nette entro la metà del secolo; il presidente americano Joe Biden ha riportato gli Stati Uniti nell'Accordo di Parigi; e il principio secondo cui la soluzione alla crisi provocata dalla pandemia di Covid-19 è la ripresa verde ha guadagnato terreno.
Il quadro resta tuttavia piuttosto eterogeneo anche all'interno del gruppo del G20, che comprende sia paesi dalle alte ambizioni climatiche e dotati di politiche di decarbonizzazione coerenti, sia paesi meno impegnati in tal senso. Questo articolo offre una panoramica della posizione collettiva del G20 su transizione energetica e clima, e identifica le questioni che ancora restano irrisolte in alcuni specifici paesi, con i quali l'Italia potrebbe ricercare un coinvolgimento diplomatico in qualità di presidente del G20 nel vertice in programma a ottobre prossimo. Per quanto alcuni paesi siano nel complesso più ambiziosi e rispettosi degli obiettivi di altri, può accadere che una nazione che eccelle in uno o più indicatori sia ancora carente in altri. Infine, è importante sottolineare che l’enunciazione di policy non sempre si traduce in azioni concrete. Tutto ciò va preso in debita considerazione per poter valutare la situazione dei vari paesi del G20 e dunque capire come l’Italia può impostare la propria azione diplomatica nei loro confronti.
Il G20 e la COP26 del 2021 saranno processi politici interconnessi, e l'Italia, co-presidente del COP26 insieme con il Regno Unito, avrà un ruolo di rilievo in entrambi. È pertanto di particolare importanza che il presidente Biden, con uno dei suoi primissimi ordini esecutivi, abbia riportato gli Stati Uniti nell'Accordo di Parigi, dando così nuovo slancio all'azione per il clima nell’ambito sia del G20 sia della COP26. L'unico tra i paesi del G20 a non aver ancora ratificato l'Accordo di Parigi è la Turchia. Sebbene questa nazione non rappresenti una quota significativa delle emissioni mondiali e non costituisca un elemento essenziale al progresso degli accordi sul clima, un cambiamento nella sua politica climatica potrebbe dare un segnale importante ad altri paesi scettici, e sarebbe per la Turchia stessa un modo per ridurre il proprio isolamento politico. Il pragmatismo della posizione diplomatica dell'Italia nei confronti della Turchia potrebbe essere una risorsa per il dialogo, anche sui temi climatici.
Per quanto tutti gli altri paesi del G20 abbiano aderito, almeno formalmente, agli obiettivi dell'Accordo di Parigi, i livelli di ambizione e di conformità ai comunicati del G20 sul clima sono generalmente insufficienti. L'andamento delle emissioni nei paesi del G20 è fuori target, e lo è in modo sempre più allarmante. Finora, i comunicati del G20 si sono concentrati sulla crescita verde e sulla ripresa dalla crisi del 2008-2009, sul sostegno alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e sulla necessità di mobilitare risorse finanziarie per il clima. A oggi sono 91 gli impegni collettivi del G20 in materia di clima, con il record annuale raggiunto nel 2017 ad Amburgo. L’Italia sarà il primo paese dell’UE a presiedere il G20 dopo la Germania: è dunque forte la pressione sull'Italia, che dovrebbe puntare a una riuscita almeno pari, se non superiore, a quella del vertice tedesco.
Gli impegni di per sé non significano molto se non sono seguiti da meccanismi che assicurino l’effettiva implementazione delle misure di decarbonizzazione, e su questo fronte ci sono buone notizie: con il tempo, il rispetto degli impegni presi è aumentato. Storicamente, i paesi più conformi sono in genere gli stati membri dell'UE, in particolare la Germania; anche il Regno Unito ha mostrato alti livelli di conformità agli impegni climatici del G20. Quest'anno, l'Italia dovrà concentrarsi sui paesi più riluttanti e creare un solido consenso politico sugli obiettivi climatici, non solo perché al termine del vertice si abbiano dichiarazioni congiunte, ma anche per assicurare che i diversi paesi implementino misure effettivamente conformi agli impegni presi anche nel dopo vertice. Gli ultimi anni hanno dimostrato come far precedere il vertice plenario da una riunione ministeriale dedicata allo stesso tema si traduca in un numero di impegni correlati al tema in discussione e in un tasso di conformità maggiori: è pertanto opportuno tenere una riunione ministeriale sul clima.
Sono numerose e importanti le aree di azione per la transizione energetica e il clima in cui il forum del G20 può fare la differenza. In primo luogo, un importante risultato politico sarebbe l’ulteriore ampliamento del gruppo dei membri del G20 impegnati a raggiungere gli obiettivi delle zero emissioni nette, che attualmente comprende i paesi dell’UE, il Regno Unito, la Cina, la Corea del Sud, il Giappone, il Canada e il Sud Africa. Aderiranno probabilmente all’impegno gli Stati Uniti, ma prima di definire una tempistica precisa per la riduzione delle emissioni e prima di rivedere formalmente il contributo determinato a livello nazionale (NDC) nell’ambito del processo della COP, il presidente Biden dovrà procedere a un’attenta consultazione con gli stakeholder statunitensi. Oltre all’obiettivo complessivo dello zero netto, alcuni paesi si sono impegnati ad anticipare il conseguimento della completa decarbonizzazione del settore elettrico. Nella sua campagna presidenziale, Biden si è impegnato ad azzerare le emissioni di CO2 del settore energetico statunitense entro il 2035. Sarebbe importante che anche altre nazioni fissassero obiettivi settoriali, in particolare i grandi paesi consumatori di carbone dell’Asia.
In secondo luogo, una (spinosa) questione di vecchia data è la cancellazione dei sussidi ai combustibili fossili, che suscita grande opposizione in ambito politico, anche all'interno del G20 e al di là delle posizioni ufficiali delle varie nazioni. In molti dei paesi più poveri, l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili potrebbe portare a difficoltà politiche e sociali, a causa delle potenziali ripercussioni negative che l’assenza di misure di compensazione avrebbe sugli strati più deboli della società; questo, per di più, avverrebbe nell’attuale contesto di stress economico e di crescenti disuguaglianze determinato dal Covid-19.
Quarto, sarebbe importante che il G20 si facesse più coraggioso nell’ambito delle riforme alla governanceeconomica e finanziaria - probabilmente l’area in cui il gruppo è chiamato a svolgere il suo ruolo di guida più importante, in virtù delle sue origini e del suo DNA - per rendere i flussi finanziari globali compatibili con gli obiettivi climatici. Si potrebbe fare molto in termini di informativa sui rischi climatici, di mandato e azione delle banche multilaterali e di criteri di prestito. Il G20 è il forum più adatto per discutere tali questioni.
Quarto, sarebbe importante che il G20 si facesse più coraggioso nell’ambito delle riforme alla governanceeconomica e finanziaria - probabilmente l’area in cui il gruppo è chiamato a svolgere il suo ruolo di guida più importante, in virtù delle sue origini e del suo DNA - per rendere i flussi finanziari globali compatibili con gli obiettivi climatici. Si potrebbe fare molto in termini di informativa sui rischi climatici, di mandato e azione delle banche multilaterali e di criteri di prestito. Il G20 è il forum più adatto per discutere tali questioni.
Trovare consenso non sarà facile: i punti di partenza dei vari paesi del G20 sono molto diversi. Alcuni membri del G20 hanno adottato piani vincolanti per la graduale eliminazione del carbone, in particolare Canada, Francia, Germania, Italia e Regno Unito. Tra essi, Canada, Francia, Italia e Regno Unito hanno fissato una scadenza per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni compatibile con l’Accordo di Parigi, ovvero il mantenimento del riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi, mentre la scadenza fissata dalla Germania per l’eliminazione graduale del carbone è incompatibile con gli obiettivi stabiliti a Parigi. Altre nazioni hanno adottato regolamenti che limitano il consumo di carbone (o almeno quello di lignite); sarebbe comunque necessario che si adottassero ulteriori piani per raggiungere l’eliminazione graduale del carbone, in quanti più paesi possibile, a partire da quelli che si sono impegnati alle zero emissioni nette, quali Giappone, Corea del Sud e, soprattutto, Cina.
Resta infatti da vedere come la Cina tradurrà oggi in azioni concrete il proprio impegno (salutato da molti con entusiasmo) a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060: la storica dipendenza del paese dal carbone non è infatti facile da sradicare, per ragioni politiche, economiche e sociali. Si tratta di una questione di rilevanza globale, perché la Cina è responsabile, da sola, della metà del consumo mondiale di carbone.
Sugli obiettivi di energia rinnovabile, i paesi del G20 sono andati molto meglio: ben sedici membri del gruppo hanno implementato politiche che impongono in modo attivo l’aumento della generazione da fonti rinnovabili, mentre Australia, Canada, Messico e Stati Uniti non ne hanno attuate. Un'altra area in cui la maggior parte dei paesi ha intrapreso almeno qualche azione è la riduzione dell'impronta di carbonio del settore residenziale; nel G20, solo Russia e Argentina non si sono dotate di policy per nuove costruzioni edilizie a energia quasi zero. Per quanto riguarda la tariffazione del carbonio, a eccezione di India e Australia, tutti gli altri paesi del G20 stanno implementando schemi espliciti. La copertura delle tipologie di emissioni e i livelli di tassazione del carbonio restano tuttavia troppo bassi: i livelli di tassazione più bassi si riscontrano in particolare in Sud Africa, Giappone, Messico e Argentina. Paesi quali Brasile, Russia, Arabia Saudita, Indonesia e Turchia devono ancora implementare piani concreti e dettagliati sui propri schemi di tariffazione del carbonio.
Individuare i ritardi dei paesi del G20 nelle azioni per il clima è il primo passo per orchestrare un coinvolgimento diplomatico volto a colmare il divario all'interno del G20 stesso e a promuovere un ulteriore allineamento delle policy all’interno del gruppo. I progressi saranno più facili in alcune aree rispetto ad altre, e si dovranno stabilire priorità per non disperdere gli sforzi. Certo, non si potranno risolvere nel solo 2021 tutte le questioni ancora aperte, ma si potranno comunque fare progressi importanti in un anno come questo, in cui l'azione per il clima sembra sostenuta da venti favorevoli. Sarà fondamentale un solido consenso politico per assicurare che le azioni concrete e la conformità continuino anche dopo il comunicato finale del G20.
Luca Franza è il Responsabile del Programma Energia, Clima e Risorse dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). È inoltre Research Fellow presso il Clingendael International Energy Programme (CIEP) a L’Aja (Paesi Bassi) e docente nel Master Energia della Paris School of International Affairs (PSIA) – SciencesPo.
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