Questo articolo è tratto da WE-World Energy n. 43 - The Challenge. Leggi il magazine
Il Giappone si trova oggi di fronte ad uno scenario geopolitico molto complesso e ricco di sfide. In primo luogo, è il paese asiatico che percepisce con più intensità la minaccia cinese sia in termini di sicurezza sia in termini di status e prestigio. Inoltre, la politica estera dell’amministrazione Trump ha contribuito a complicare ulteriormente alcune delle sfide geopolitiche ed economiche, generate dall’ascesa di Pechino.
Il governo Abe ha risposto a queste sfide con una strategia multi-dimensionale mirata a raggiungere una serie di obiettivi distinti: (1) mantenere la coesione dell’alleanza con gli Stati Uniti durante la presidenza Trump; (2) preservare le norme fondamentali dell’ordine politico ed economico regionale, ampliando il ruolo del Giappone al suo interno; (3) costruire un rapporto stabile, sebbene parzialmente competitivo, con la Cina.
La strategia per le spese militari
L’ascesa cinese rappresenta una minaccia fondamentale sia alla sicurezza sia per lo status di Tokyo nella regione. I dati sulle spese militari danno un’idea chiara della portata dell’ascesa militare cinese. Nel 2000 la Cina dichiarava un budget di 22 miliardi di dollari. Oggi quella cifra è salita a 182 miliardi. Nel 2000 il Giappone spendeva 42 miliardi di dollari, mentre oggi spende circa 48 miliardi.
Oltre all’espansione quantitativa delle proprie risorse militari, l’Esercito Popolare di Liberazione ha dato vita ad un vasto programma di modernizzazione, che include lo sviluppo di capacità di proiezione di potenza in tutta la Prima Catena di Isole, che va dal Giappone a Singapore; ha migliorato il livello tecnologico di tutti i settori delle forze armate e ha sviluppato una marina militare in grado di sfidare non solo quella giapponese, ma anche la settima flotta americana schierata nel Pacifico. Ciò ha permesso alla Cina di promuovere una strategia mirata ad ottenere il controllo del Mare Cinese Meridionale – che passa anche dall’occupazione progressiva di isole contestate – e a diminuire la credibilità delle alleanze tra Stati Uniti e i loro alleati asiatici.
Pechino e Tokyo, inoltre, sono coinvolti in una disputa territoriale che riguarda le isole Senkaku-Diaoyu. Questa disputa si è periodicamente riaccesa negli ultimi anni, e rappresenta un termometro per l’andamento dei rapporti bilaterali tra i due paesi.
In questo contesto i problemi per il Giappone sono molteplici. In primo luogo, la Cina in pochi anni, è diventata la maggiore potenza militare della regione, rendendo l’alleanza con Washington vitale per la sicurezza del paese. In secondo luogo, l’ascesa cinese e la strategia ibrida, messa in atto nel Mare Cinese Meridionale, comportano due rischi: la possibile interruzione della principale via di comunicazione marittima che collega Giappone, il Medio Oriente e l’Europa in caso di escalation e la possibile erosione della credibilità delle alleanze americane nella regione.
La Cina non rappresenta però solo un problema di sicurezza. Costituisce anche una minaccia allo status del Giappone, che dalla restaurazione Meiji, nella seconda metà dell’Ottocento, in poi è stato il paese più prospero e più avanzato dell’Asia Orientale. Ora questo status è minacciato dall’ascesa economica cinese.
Nel 1990 il PIL giapponese rappresentava circa il 70 percento della ricchezza della regione, mentre la Cina era ferma al 10 percento. Oggi questa proporzione si è invertita: la Cina produce il 50 percento del PIL regionale. Inoltre il Dragone si è anche proposto come leader nel campo dei processi di governance economica e finanziaria regionale: gli esempi più significativi sono la Nuove Via della Seta (o Belt and Road Initiative), la creazione della Banca Asiatica per le Infrastrutture e gli Investimenti (AIIB) e la promozione del mega accordo commerciale definito Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP).