A guidare la transizione economica dei paesi del Golfo ministri giovani, cosmopoliti e sensibili alle nuove dinamiche in atto.
di
Brahim Maarad
03 aprile 2019
11 min di lettura
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Brahim Maarad
03 aprile 2019
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Giovani, altamente istruiti - per lo più tra Stati Uniti e Regno Unito – specializzati e aperti al mondo: è il profilo della nuova generazione dei ministri dell’Energia dei paesi del Golfo, chiamati a guidare il settore cruciale delle economie dei propri paesi in un momento decisivo per il loro futuro.
Precursore del processo di rinnovamento è Khalid al Falih che dal 2016 occupa la poltrona più sensibile dell’Arabia Saudita, fino ad allora gelosamente detenuta da Ali al Naimi, 81enne che per 30 anni aveva guidato i mercati petroliferi del mondo. Dietro la spinta del nuovo erede al trono, Mohamed bin Salman (MbS), viene cambiato anche il nome del dicastero: da ministero del Petrolio si trasforma in ministero dell’Energia, dell’Industria e delle Risorse minerarie. Il compito di al Falih è non solo di puntellare l’economia sempre più traballante di Riad ma anche di realizzare gli “ambiziosi obiettivi” tracciati nella Vision 2030 firmata da MbS. Innovazione ma senza alterare la politica petrolifera. È il percorso tracciato subito dopo la sua nomina. Il 59enne, laureato in ingegneria meccanica alla Texas A&M University e con un master alla King Fahd University of Petroleum and Minerals, punta a portare l’energia saudita al 70 percento da gas e a fare approdare in borsa il gigante Saudi Aramco, in cui lui stesso è cresciuto fino a diventarne CEO nel 2009. Dirige la compagnia nazionale petrolifera fino al 2015 quando re Salman gli affida l’incarico, il primo da politico, di guidare il ministero della Sanità. Nel 2017, da ministro dell’Elettricità, presenta il suo piano d’investimenti per le rinnovabili: trenta progetti da realizzare per arrivare all’obiettivo dei 60 GW, il 10 percento dei consumi del paese, da energie rinnovabili entro il 2030. Nel dettaglio, 40 GW da energia solare e altri 20 GW da eolico e altre fonti. Nel lungo elenco di incarichi ricoperti in passato, figura la presidenza del Cda di South Rub’ al-Khali (SRAK), joint-venture tra Shell, Total e Saudi Aramco.
Riad non è la sola a guardare verso un futuro green nel Golfo. Anche il Kuwait ha affidato, il 24 dicembre scorso, il ministero del Petrolio, che comprende le deleghe dell’Acqua e dell’Elettricità, a una figura politica totalmente nuova: Khaled al Fadhel, accademico 46enne, che prima di approdare al governo insegnava ingegneria all’Università del Kuwait. Ha un dottorato in ingegneria chimica alla Lehigh University negli Stati Uniti. Nel 2018 era stato nominato sottosegretario al ministero del Commercio, il suo primo avvicinamento al mondo politico. Non avrà un ruolo rivoluzionario nella gestione degli idrocarburi del Kuwait, affidata al Consiglio supremo per il Petrolio, ma ha comunque un piano ambizioso per le rinnovabili: arrivare entro il 2030 ad avere il 15 percento di energia pulita. Una percentuale che permetterà al paese un risparmio annuo di 2,46 miliardi di dollari e soprattutto taglierà le emissioni.
Un altro 46enne, ingegnere petrolifero, guida il prestigioso dicastero emiratino dell’Energia e dell’Industria: Suhail Al Mazrouei, laureato in ingegneria all’Università americana di Tulsa. Prima di approdare, nel 2013, al ministero di Abu Dhabi ricopre numerosi incarichi nei board di importanti società nel settore degli idrocarburi e degli investimenti. Guida in particolare il board dei direttori della spagnola Cepsa; di Borealis e di Nova Chemical Company. È stato membro del Consiglio supremo per il petrolio. Ancora prima, per dieci anni, lavora nella Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), di cui è CEO fino al 2007. Nel 2018 presiede l’OPEC. Da capo dell’Autorità federale per l’elettricità e l’acqua, al Forum di Bloomberg dei leader del Medio Oriente, confessa che ciò che lo “tiene sveglio la notte è l’acqua, oltre alla chiave per la sostenibilità”. Nel 2017 il governo lancia la “Energy Strategy 2050” che punta a ridurre la produzione di energia da fonti fossili e aumentare l’efficienza energetica di oltre il 40 percento. L’obiettivo di Al Mazrouei è raggiungere i 44 GW di energia solare entro il 2050 e portare le fonti rinnovabili al 50 percento del totale.
Il Qatar, in un momento di gravi crisi di rapporti con l’Arabia Saudita, continua ad affidarsi alle mani esperte di Mohammed bin Saleh al Sada che guida il dicastero di Doha dal 2011. Nel 2014 gli viene affidato tutto il settore dell’Energia e dell’Industria e la direzione della compagnia nazionale, Qatar Petroleum. Nel settore degli idrocarburi da 34 anni, presiede anche il Cda della Qatar Gas Transport Company (Nakilat), Qatar Electricity & Water Company e la Qatar Solar Company. Ha un dottorato all’Università di Manchester, nel Regno Unito, e una laurea Scienze marine e geologia all’Università del Qatar. Prima di diventare ministro è stato, dal 2007 al 2011, sottosegretario per l’Energia e l’Industria. Nella sua Vision 2030 sono previsti investimenti 200 miliardi di dollari con lo scopo di accrescere l’energia rinnovabile nel paese, l’obiettivo è ottenere tra i 700 e i 750 MW l’ora di energia solare, anche per soddisfare la domanda di greggio sempre crescente, in particolare da oriente. Il governo qatarino ha annunciato inoltre un importante piano di nazionalizzazione per raggiungere l’autosufficienza nel settore industriale legato agli idrocarburi. In particolare Doha vorrebbe poter fare a meno di importazioni per 2,47 miliardi di dollari annui, con un aumento previsto del PIL dell’1,6 percento. Una scelta dettata anche dall’embargo imposto dalla vicina – nei confini ma non nei rapporti – Arabia Saudita. Il più piccolo degli emirati - abitato da circa 2 milioni di persone di cui 1,5 milioni a Doha – è in vetta ai paesi più ricchi del mondo per PIL pro-capite. Oltre che sul petrolio, può contare sulla più grande riserva di gas naturale del mondo.
Mohammed bin Khalifa bin Ahmed fa parte anche lui della generazione dei 46enni alla guida dell’Energia. Specializzato all’Università di Cambridge e con un master all’Imperial College di Londra, attualmente è il ministro del Petrolio e del Gas del Bahrain. Punta a modernizzare il paese, investendo in particolare sulle nuove tecnologie. “Vi è la necessità di tenere il passo con i cambiamenti digitali ed essere preparati a tutto ciò che è nuovo sulla scena mondiale”, ha spiegato di recente. “Per questo è necessario investire in tanti progetti per l’economia del Bahrain, a partire dal settore petrolifero”, ha aggiunto. Bin Ahmed punta dunque sull’innovazione, sia per aumentare la produzione di greggio che per la diversificazione economica. Il Bahrain – che punta a diventare il primo paese ad avere una copertura totale della rete 5G – si prepara ad attivare la centrale di 100 MW, che rappresenta uno dei più grandi progetti di energia rinnovabile del paese. Una volta completato, fornirà il 2,5 percento del totale di energia prodotta. L’intento è portare tale quota al 5 percento entro il 2025.
Anche il Sultanato di Oman ha la sua Vision che guarda però al 2040. Il piano strategico, ancora molto astratto, punta a proseguire la politica di costruzione di “un’economia diversificata, dinamica e globalmente interattiva”. Il ministro del Petrolio, Mohamed Arramhi, classe 1960, è presidente del board della Oman Oil Company. È convinto sostenitore dell’idea che “tutti i paesi arabi sono tenuti ad avere progetti per sviluppare energia rinnovabile”. Il Sultanato punta ad avere tra il 15 e il 20 percento di energia green entro il 2030. Va in questa direzione Miraah, il maxi-impianto solare termodinamico inaugurato l’anno scorso nel governatorato del Dhofar, nel sud del paese. Il progetto, costato 600 milioni di dollari, servirà a sfruttare l’energia solare per le operazioni di recupero degli idrocarburi. Per il ministero del Petrolio e del Gas, si tratta di un importante punto di svolta nel Sultanato, in quanto rafforzerà la sua posizione di leader nel settore della convergenza energetica regionale. L’utilizzo di energia solare nei campi petroliferi in Oman ridurrà il consumo di gas naturale nel settore.
Meno visionario è invece l’esecutivo dell’Iraq, che affronta una precaria stabilità che lascia poco spazio alla lungimiranza governativa. Il nuovo presidente, Barham Salih, ha deciso di affidare il 24 ottobre scorso il dicastero alle mani esperte di Thamir Abbas Ghadhban, il 74enne che si occupa di greggio nel ministero di Baghdad dal 1973. Originario di Kerbala, ha una laurea in geologia alla University College di Londra e un master in ingegneria del petrolio alla Imperial College di Londra. Nella sua lungacarriera politica è stato membro della Commissione costituente irachena e, sotto il governo di Saddam Hussein, ha presieduto la Fondazione per la commercializzazione del Petrolio. Il primo mandato da ministro del Petrolio gli viene affidato durante il governo provvisorio del 2004-2005. Il primo obiettivo dell’attuale esecutivo è aumentare la produzione quotidiana di greggio a 6,5 milioni di barili entro il 2022. Le sfide principali però sono due: la ricostruzione dei territori e la riparazione degli impianti, distrutti dal passaggio del sedicente Stato Islamico, e la produzione nei territori del Kurdistan iracheno. Ghadhban ha assicurato che per la prima saranno investiti oltre 40 miliardi di dollari da destinare non solo al petrolio ma anche a tutta una nuova struttura nazionale per la produzione del gas naturale liquefatto. Con i territori curdi saranno aperte invece le trattative per ottenere la commercializzazione degli oltre 250 mila barili estratti ogni giorno dall’amministrazione di Erbil.
Se essere ministro del Petrolio oggi in Iraq non è proprio semplice, lo è ancora meno nel vicino Iran. Non è un caso che Bijan Namdar Zanganeh – definito il decano dei ministri – ricopra incarichi da ben dodici governi della Repubblica islamica. Classe 1951, unico curdo del gabinetto del presidente Hassan Rohani, gode di fama internazionale. Il suo master in ingegneria della ricostruzione all’Università di Teheran è datato 1975. Considerato riformista, non ha mai trovato posti ministeriali durante i mandati di Mahmoud Ahmadinejad. Nel 2013 l’allora neo-eletto Rohani gli affidò il ministero del Petrolio, convinto della necessità di una figura esperta che potesse rilanciare l’economia stagnante del paese. Riconfermato anche nel rimpasto del governo, secondo le cronache di Teheran, Zanganeh avrebbe fatto volentieri a meno dell’incarico e avrebbe proposto figure più giovani. “Voglio una persona per il ministero del Petrolio che possa ottenere 100 miliardi di dollari di entrate ogni anno. La persona che stai suggerendo è in grado di farlo?”, avrebbe osservato Rohani. “Vogliamo qualcuno per il ministero che sia credibile all’esterno, qualcuno conosciuto dagli stranieri. Bijan Namdar Zanganeh ha questa caratteristica ed è un marchio”, avrebbe aggiunto.
Giornalista dell'Agenzia Italia specializzato nel mondo arabo.
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