Una misteriosa particella che potrebbe aiutarci a comprendere il passato e il futuro dell’universo.
di
Stefano Bevacqua
12 novembre 2020
6 min di lettura
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Stefano Bevacqua
12 novembre 2020
6 min di lettura
La storia del neutrino è probabilmente la più esemplare di tutta la fisica delle particelle. Questo minuscolo elemento ha a che fare con ogni ipotesi sull’origine dell’universo e del suo possibile esito. È ancora misterioso quanto basta per essere difficile da spiegare, ma sembra essere sempre di più la chiave per capire i molti misteri che ancora avvolgono la vita dell’universo. Infatti, sono numerosi, e in continuo aumento, i laboratori sparsi per il mondo che dedicano le loro ricerche a rincorrere questa minuscola e ambigua particella.
È il caso delle recenti attività in Giappone con l’esperimento T2K (Tokai to Kamioka) e di quelle che si stanno sviluppando negli Stati Uniti al LANL (Los Alamos National Laboratory), nel New Mexico. Le ricerche giapponesi sembrano dirci che il neutrino potrebbe spiegare perché esiste l’universo, compresi noi esseri umani, minuscoli agglomerati di molecole dotati di vita biologica e coscienza di sé. Gli scienziati statunitensi invece, cercano di far luce su quanto di più enigmatico esista: la materia oscura e l’energia oscura. Queste componenti, messe insieme, costituirebbero il 95 per cento dell’universo. Di loro non si potrebbe fare a meno, salvo smentire tutte le teorie finora consolidate e, almeno parzialmente, sperimentalmente comprovate.
A proporre l’esistenza del neutrino, fu negli anni Trenta del secolo scorso il fisico austriaco Wolfgang Pauli. Voleva spiegare alcune incongruenze osservate nel decadimento radioattivo dei nuclei atomici. A dargli il nome è stato Enrico Fermi e a scovarlo per la prima volta nel 1956 furono Cowan e Reines, due scienziati americani. Non è facile vedere i neutrini. Viaggiano a velocità elevatissime e hanno una massa minuscola: da 100.000 a un milione di volte più piccola di un elettrone. Grazie al loro essere quindi pressoché effimeri, i neutrini, che vengono prodotti in quantità immensa da tutte le stelle, dal Sole, dalla stessa Terra e anche dalle centrali nucleari, ci passano attraverso a miliardi ogni secondo senza che ne possiamo avvertire la presenza.
Non si vedono, sono difficilissimi da individuare. Si possono soltanto rilevare le tracce del loro passaggio. In questo modo è stato possibile capire che ogni neutrino può assumere diverse caratteristiche, dagli scienziati chiamate scherzosamente sapori. Questo in funzione della particella elementare alla quale sono associati: un elettrone, un muone o un tau. Fin qui potrebbe essere quasi chiaro. Ma ad aggiungere nuovi particolari sono state le osservazioni dei ricercatori giapponesi dell’osservatorio Super-Kamiokande. Nel 1998 si sono accorti per primi che, viaggiando nello spazio e nella materia, i neutrini cambiano sapore.
Ma andiamo con ordine. Qualche millesimo di secondo dopo il Big Bang, l’universo, ancora minuscolo, era fatto di tanta materia quanto di antimateria. A ogni particella carica elettricamente corrispondeva una sua cuginetta con carica opposta. Ora, se un elettrone, che ha carica negativa, incontra un antielettrone, positivo, i due svaniscono, si annichilano. A questo punto viene allora da domandarsi com’è che esiste l’universo. La spiegazione che la scienza ci ha dato finora è che per un qualche oscuro motivo, la materia era leggermente più grande dell’antimateria.
Questo sarebbe bastato a far sì che, dopo l’inevitabile annichilimento dei più con i meno, risultasse un avanzo, anche piccolo, ma sufficiente per sviluppare questa cosa che chiamiamo universo. Ma come spiegare questa asimmetria? L’ipotesi che si può avanzare grazie alle ricerche condotte con l’esperimento T2K è che esista un neutrino di quarto tipo, cosiddetto sterile. Questi, prodotto in quantità immense all’indomani del Big Bang, farebbe tornare i conti quanto alla doppia simmetria tra il numero e la carica delle particelle di materia e di antimateria e la direzione che assumono nel loro movimento nello spazio. Il quarto neutrino, insomma, farebbe meravigliosamente tornare i conti, rassicurandoci sul fatto che esistiamo davvero e che tutto non è soltanto un’illusione.
Sullo stesso filone di ricerca si stanno muovendo gli scienziati di Los Alamos, strenui sostenitori dell’esistenza del neutrino sterile, del quale, peraltro, nessuno è stato finora in grado di rinvenire traccia alcuna. Esattamente come accade nel Sole, in un reattore nucleare vengono prodotti molti neutrini, le cui tracce possono essere rilevate con opportuni sensori. Ora, accade che il numero di neutrini che si riesce a contare sia sempre inferiore al numero di quelli che vengono presunti in base alle caratteristiche della reazione nucleare in atto. Reazione che, essendo innescata e controllata dai tecnici, non lascia ombre sulle modalità dello svolgimento.
I casi sono due: o tutti i tecnici che lavorano su queste ricerche in decine di reattori nucleari sparsi per il mondo commettono tutti lo stesso errore e calcolano tutti nello stesso modo e malamente il numero di neutrini che dovrebbero essere prodotti in determinate condizioni, oppure significa che quando passano nel sensore, molti dei neutrini hanno assunto la fase sterile, incapaci quindi di lasciare alcun segno di riconoscimento. Conclusione, avventata, ma affascinante: e se noi poveri umani non fossimo in grado di rilevare la materia oscura soltanto perché essa si comporta esattamente come un neutrino sterile? Il mistero dei misteri della cosmologia sarebbe forse risolto. Ma di strada da fare per arrivarci ce n’è davvero ancora molta.
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