Non respirano, non mangiano, non bevono e non dormono. Non provano gioia, né dolore. In una frase: non sono vere e proprie forme di vita. Il primo virus è stato identificato nel 1892 da Dmitri Ivanovsky: si trattava del virus del Mosaico del tabacco. Da allora sono stati scoperti finora alcuni milioni di virus diversi, di cui soltanto 5.000 completamente caratterizzati.
I virus sono presenti in tutti gli ecosistemi del pianeta: dai fondali oceanici, alle cime delle montagne più alte. Se prendiamo un litro di acqua di mare, possiamo trovarvi 25 tipi di virus differenti. In un chilogrammo di sedimenti marini, ben un milione. Questo è possibile perché le loro dimensioni vanno da circa 20 nm di diametro (20 miliardesimi di un metro) a un massimo di 250-300 nm (il diametro di un capello umano è circa 300 volte più grande!). Zoom out: si stima che sulla Terra vi siano diecimila miliardi di miliardi di miliardi di singole unità virali: 10³¹.
I virus non si comportano tutti allo stesso modo: ciascuno è specializzato per infettare una precisa specie vivente, che si tratti di batteri unicellulari (fatti cioè da una sola cellula), piante o animali. Ognuna di esse si è sviluppata per imparare a contrastare le minacce virali con il proprio sistema immunitario, senza riuscirci però completamente: se questo è indebolito o se viene investito da un numero elevato di virus e/o da virus particolarmente pericolosi, non riuscirà a fronteggiare l’attacco né a respingerlo efficacemente.
Ogni virus è composto da un guscio esterno, detto capside, che contiene il genoma virale, ovvero un filamento (singolo o doppio) di DNA o, più frequentemente, di RNA, che contiene le istruzioni per costruire repliche di sé stesso. Queste informazioni sono fondamentali per consentire al virus di riprodursi, sebbene non sia in grado di farlo autonomamente: ha bisogno di infettare un organismo ospite e riprogrammarlo per costringerlo a produrre copie di sé.
Si attua un meccanismo inizialmente simile a quello di due pezzi di un puzzle: sul capside del virus sono presenti delle strutture di proteine, aggrovigliate in forme caratteristiche, che si incastrano perfettamente con le strutture presenti sulla superficie delle cellule ospiti compatibili. Quando i due tasselli combaciano, il virus riesce ad attaccarsi alla cellula, apre un varco nella sua membrana cellulare e inietta al suo interno il proprio genoma virale. Una volta dentro, “inganna” la cellula ospite e induce il suo sistema riproduttivo a produrre nuove copie del capside e delle proteine virali, fino ad assemblare un virus completo che può così “liberarsi”, fuoriuscire dalla cellula (uccidendola o danneggiandola) e andare ad attaccare le cellule vicine, in una vera e propria reazione a catena.
I Coronavirussono una famiglia di virus specializzati nell’attaccare mammiferi (compreso l’uomo, seppure meno frequentemente) e uccelli. Protetto all’interno di un minuscolo guscio si trova il genoma, costituito da un singolo filamento di RNA a polarità positiva (ssRNA+), molto grande rispetto agli altri virus a RNA, in quanto ha una sequenza che va da 26 a 32 mila basi nucleotidiche (i “mattoncini” del codice genetico). Questo codifica per 7 diverse proteine virali.
Andando dall’interno verso l’esterno, l’RNA è rivestito da un nucleocapside, uno strato costituito dalla proteina M o Matrice e un pericapside, composto da un doppio strato fosfolipidico derivato proprio dalle cellule infettate. Quest’ultimo strato è quello che “inganna” le difese immunitarie delle cellule ospiti, che non lo riconoscono come una minaccia esterna. Sulla superficie del capside infine si osservano delle punte (dette spicole) a forma di martello. Queste sono le glicoproteine S che attraversano il pericapside, fungono da “arpioni” sulle cellule infettate e danno al virus la caratteristica forma a corona.
I Coronavirus hanno un diametro di 80-160 nanometri (nm). Occorrerebbe metterne in fila circa un migliaio per ottenere il diametro di un capello umano: circa 70 micrometri (µm), cioè 70.000 nm. Come confronto, le polveri sottili - le cosiddette PM10 - hanno un diametro di 10 µm, cioè 10.000 nm.
Negli esseri umani i coronavirus possono causare infezioni dell’apparato respiratorio, con danni di diversa gravità a seconda del virus esaminato: si va da malattie del tratto respiratorio superiore lievi o moderate, come il comune raffreddore, fino a polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte. I coronavirus umani conosciuti ad oggi, comuni in tutto il mondo, sono sette. Quelli più comuni – e meno dannosi – sono stati scoperti negli anni ’60 e causano un raffreddore comune. Altri, più pericolosi, sono stati identificati nei primi anni 2000 eprovocano infezioni più gravi del tratto respiratorio.
Tra questi il SARS-CoV, isolato nel 2003 e responsabile della Sindrome Respiratoria Acuta Grave (la cosiddetta SARS), comparsa in Cina nel novembre 2002 o il Novel Coronavirus 2012 (2012-nCoV) causa della Sindrome Respiratoria Medio-Orientale da Coronavirus(MERS), esplosa a giugno 2012 in Arabia Saudita.
Il 31 dicembre 2019 è stato segnalato un nuovo ceppo di Coronavirus a Wuhan, in Cina, identificato come un nuovo ceppo di beta Coronavirus ß-CoV dal Gruppo 2B, con una somiglianza genetica del 70% circa rispetto al SARS-CoV, il virus responsabile della SARS. Nella prima metà del mese di febbraio l'International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV), incaricato della designazione e della denominazione dei virus (ovvero specie, genere, famiglia, ecc.), ha così assegnato al nuovo coronavirus il nome definitivo: "Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2" (SARS-CoV-2).
Il Coronavirus SARS-CoV-2attacca l’apparato respiratorio degli esseri umani (e, in casi statisticamente molto meno significativi, di alcuni animali) ed è in grado di svilupparela Patologia da Coronavirus del 2019, cosiddetta COronaVIrus Disease 2019 o COVID-19. Le spicole del virus (in inglese spike) sono compatibili a incastrarsi con le proteine che si trovano nelle cellule epiteliali umane, all’interno del tratto respiratorio e più precisamente nelle cellule epiteliali della mucosa e nel tessuto alveolare polmonare. Per questo il virus predilige proprio le cellule dei polmoni e degli alveoli bronchiali.
Sulla base dei dati al momento disponibili, Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ribadisce che il contatto con i casi sintomatici (persone che hanno contratto l’infezione e hanno già manifestato i sintomi della malattia) è il motore principale della trasmissione del nuovo coronavirus SARS-CoV-2.
L’OMS è a conoscenza di una possibile trasmissione del virus da persone infette ma ancora asintomatiche (indicativamente da due giorni prima della comparsa dei sintomi), sebbene ne sottolinei la rarità e dunque la bassa incidenza sui contagi.
SARS-CoV2 non viaggia mai da solo, ma sempre all’interno di un ambiente acquoso. Le evidenze mostrano che la trasmissione fra esseri umani avviene per lo più con il passaggio di goccioline di saliva contenenti il virus, da un individuo infetto all’apparato respiratorio di un individuo sano. La trasmissione può essere diretta (contatto con la saliva, tramite la tosse o uno starnuto) oppure mediata dalle mani (che, se contaminate, toccano bocca, naso o occhi). Si sta ancora chiarendo quanto sia frequente la trasmissione mediata da superfici (ad esempio toccando un oggetto subito dopo che un individuo malato vi ha lasciato una traccia di umidità contenente il virus). In rari casi, inoltre, il contagio può avvenire tramite contaminazione fecale.
Per evitare l’infezione si rivela fondamentale, dunque, il lavaggio e la disinfezione frequenti e accurati delle mani con acqua e sapone, per ameno 20 secondi (meglio 40-60), o in alternativa con un disinfettante per mani a base di alcol con almeno il 70% di alcol.
Non esistono trattamenti specifici per le infezioni causate dai comuni coronavirus. La maggior parte delle persone infette guarisce infatti spontaneamente.
Riguardo il nuovo coronavirus SARS-CoV-2, non esistono al momento terapie specifiche contro il virus: vengono curati i sintomi della malattia (una così detta terapia di supporto) in modo da favorire la guarigione, ad esempio fornendo supporto respiratorio.
Essendo COVID-19 una malattia nuova, non sono ancora disponibili vaccini per proteggersi dal virus. Per realizzarne uno ad hoc i tempi possono essere anche relativamente lunghi (si stima in media 12-18 mesi).
Tutte le informazioni riportate in questo Q&A provengono da fonti ufficiali, in primis l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che è il massimo organismo mondiale per lo studio delle malattie che colpiscono il genere umano.
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