La transizione energetica di Eni passa per il principale distretto energetico italiano con progetti volti al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione.
di
Davide Perillo
11 novembre 2021
11 min di lettura
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Davide Perillo
11 novembre 2021
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La prima cosa che si nota sono i pannelli solari: un tappeto ampio, steso nella zona a sudovest dove si incrociano le strade che costeggiano gli impianti. Poco più in là c’è la piattaforma di biorecupero dei terreni, destinata a ripulire la terra dalle sue scorie, altra tessera fondamentale del progetto.
Il cambiamento è in corso, ma rendering e foto danno già un’idea precisa di come sarà il sito di Ponticelle, a Ravenna. E di come quest’area di 26 ettari, parte importante della presenza di Eni nella zona, stia piano piano diventando qualcosa d’altro. Come il mondo dell’energia. È una trasformazione profonda, quella del settore. Proprio a Ravenna, alla Omc (Med Energy Conference and Exhibition) di fine settembre, Giuseppe Ricci, Direttore Generale Energy Evolution di Eni, in qualità di presidente di Confindustria Energia, ha osservato che «gli obiettivi climatici sempre più sfidanti» e «l’urgenza di mettere in atto una profonda trasformazione del sistema produttivo» richiedono «una visione inclusiva», in cui «tutte le soluzioni disponibili siano sfruttate al massimo».
Serve un impegno massiccio, fatto di tanto lavoro e di una visione chiara. Qui, ci sono entrambi. Da sempre.
A Ravenna, nel tempo, Eni ha costruito il principale Distretto Energetico Italiano, mettendo a punto un modello poi esportato in tutto il mondo. Alle prime estrazioni di metano, negli anni Cinquanta, e allo sviluppo dell’upstream si sono aggiunti via via altri tasselli: l’energia termica e quella elettrica (la centrale Enipower ha una potenza installata di 973 MW); la chimica (attraverso le attività di Versalis) e la bonifica dei terreni, in cui Eni Rewind è all’avanguardia. Fino al fotovoltaico, appunto, e all’economia circolare.
Ora, questo Distretto energetico sta cambiando pelle. E sta diventando un modello d’avanguardia per quella che il Rapporto locale di sostenibilità 2020 chiama just transition, ovvero una transizione energetica socialmente equa, che si traduce in azioni che supportano il raggiungimento degli obiettivi di Eni al 2050: l’azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra, l’incremento della capacità di generazione di energia da fonti rinnovabili e la crescita della componente gas naturale fino a oltre il 90% del totale di idrocarburi prodotti da Eni nel mondo. Alberto Manzati, responsabile del Distretto Centro Settentrionale (DICS) Eni, lo spiega cosi: «È come un viaggio. Per viaggiare, bisogna essere pronti e ben attrezzati, si deve avere il giusto tempo e un bagaglio di strumenti adeguati. Una just transition tiene conto del fatto che l’energia riguarda tutti: ha ricadute sull’ambiente, ma anche sul lavoro, i redditi, le generazioni future e serve dare continuità di fornitura durante la trasformazione».
Per portarla a termine, come qualsiasi trasformazione importante, è necessario che si verifichino al momento giusto una serie di condizioni: «Una regolamentazione incentivante, cioè strutturata in modo chiaro e che risponda in tempi certi; know-how e infrastrutture di alto livello, con maestranze capaci e un coinvolgimento di tutte le parti coinvolte, i cosiddetti stakeholder, interni ed esterni», elenca Manzati: «Poi, organi direzionali ispirati da passione e visione del futuro. E una comunicazione chiara, che consenta a tutti di organizzarsi al meglio».
Affermazione che porta diritti all’esempio di Ponticelle, dove una gestione mirata di bonifica e riqualificazioni finisce per dare valore aggiunto a un territorio intero. Ex area industriale di proprietà di Eni Rewind, è stata rimessa in «sicurezza permanente» certificata a primavera scorsa. E prevede non solo l’installazione dell’impianto fotovoltaico firmato EniNew Energy, ma anche una piattaforma di bio-recupero dei terreni (capace di ripulire attraverso microorganismi autoctoni 80mila tonnellate l’anno di terra, recuperandola per altri usi) e una piattaforma per la gestione di rifiuti industriali che saràrealizzata da Eni Rewind ed Herambiente attraverso la società paritetica HEA e che gestirà 60mila tonnellate l’anno di rifiuti speciali, recuperando tutto ciò che si può, come energia e materie. Sarà un ulteriore passo in avanti per una strategia di cui già oggi iniziano a vedersi i risultati: i rifiuti trattati nel sito industriale nel 2020 sono stati 39mila tonnellate, il 10% in meno del 2019. E il riciclo interessa il 92% degli scarti recuperabili.
Il progetto Ponticelle di Eni nell'area industriale di Ravenna
Sempre a Ravenna, poi, è previsto un progetto di CCUS (Carbon Capture Utilization and Storage), con la nascita di un hub di stoccaggio dell’anidride carbonica che partirà con una fase pilota dimostrativa con capacità di stoccaggio fino a 100mila tonnellate di CO2 ma ha una capacità stimata fino a 500 milioni. «È un’opportunità per intervenire in modo concreto sulla riduzione delle emissioni in settori che a oggi sono i più difficili da “decarbonizzare” (come la siderurgia, i cementifici o la chimica) e allo stesso tempo per creare una filiera nazionale ad alto contenuto tecnologico proprio nella decarbonizzazione», dice Manzati«Ravenna, in ambito upstream, rappresenta un banco di prova per molte delle azioni necessarie alla decarbonizzazione e alla just transition. Parliamo di energia rinnovabile generata dal moto ondoso, con il progetto ISWEC (Inertial Sea Wave Energy Converter), avviato nella sua fase pilota proprio qui nel 2019, ed oggi in fase di scale-up in altri siti in Italia».
Nell’area sono state ideate e sono in servizio anche le prime piattaforme offshore alimentate a energia solare (BEAF). E sempre in tema di energia rinnovabile, il DICS ha avviato l’installazione di impianti fotovoltaici per coprire il fabbisogno dei propri siti, a partire dal centro direzionale di Marina di Ravenna, dove proprio in questi giorni è stata ultimata l’installazione di pannelli per oltre 650kW di potenza. Impianti che saranno replicati in altri siti Eni quali le centrali di a Casalborsetti e Falconara.
«In più, stiamo realizzando una serie di progetti di efficientamento, che portano risparmi sul fronte delle emissioni», prosegue Manzati. Un esempio è l’elettrificazione del sistema di compressione della centrale di Rubicone a Gatteo Mare realizzato nel 2020, con una riduzione di circa 23.000 tonnellate di CO2 all’anno. «Ma ci siamo mossi anche sulla mobilità sostenibile, installando colonnine di ricarica elettrica autoalimentate dagli impianti fotovoltaici e acquisendo una nuova flotta di auto elettriche, ibride e a gas naturale. In questi anni di transizione, a vincere sarà il mix energetico. Certo, bisogna studiare e lavorare parecchio. Ma i risultati si vedono».
Accanto alla neutralità carbonica e all’eccellenza operativa, le alleanze per lo sviluppo, il terzo pilastro della sostenibilità di Eni. Ovvero, le partnership con le realtà locali. «Sono fondamentali, per valorizzare le risorse del territorio e rafforzare un rapporto storico che va alimentato di continuo», dice Manzati. «Noi seguiamo come principio quello della partnership di lungo termine, per creare valore condiviso e duraturo. È l’“approccio dual flag”, quella dell’Eni e quella che rappresenta il territorio dove lavoriamo».
Anche qui, Ravenna è una best practice. Se in Emilia-Romagna Eni ha già messo a disposizione oltre 65 milioni di euro nel periodo 2000-2020 per progetti di formazione, salvaguardia ambientale ed efficientamento energetico, è nel Ravennate che l’impegno si è fatto più intenso. Nell’ultimo triennio, l’azienda ha sostenuto diverse iniziative formative, culturali, sportive e di educazione ambientale, tra cui eventi come il Ravenna Festival o il Mese dell’Albero in Festa. E dalla primavera 2020 altri interventi sono serviti ad aiutare gli ospedali e le associazioni di volontariato impegnate a combattere il Covid.
Si sommano alle risorse affidate al Comune di Ravenna per valorizzare le aree naturali, tutelare le coste e migliorare l’efficienza energetica delle scuole. Ma anche al restauro di strutture in bellissime posizioni come le case pinetali di Classe e San Vitale, ad alto rischio di degrado. Iniziative che si affiancano all’Osservatorio sulla chimica, aperto nel 2018 grazie a una collaborazione tra Comune e Fondazione Mattei. Il progetto coLABoRA per esempio, è da sei anni che fa crescere idee e start-up legate alla vocazione del territorio e nel 2020 ha visto scendere in campo anche Joule, la scuola di Eni per l’impresa.
A tutto questo si aggiungono attività totalmente nuove, capaci di sfruttare occasioni impreviste. «La Romagna è una regione molto intraprendente, è produttiva per vocazione», osserva Manzati: «Sa cogliere in fretta certe opportunità». Un esempio? La coltivazione della cozza locale. «Nel tempo, ci siamo accorti che le piattaforme offshore sono un habitat naturale per i mitili». Da qui l’idea di affidare la pulizia della parte sommersa a due cooperative di pesca di Marina di Ravenna, seguendo tutti i protocolli di sicurezza necessari. Risultato: 32 sub al lavoro e 8 barche dedicate a tempo pieno alla raccolta delle cozze, messe sul mercato con il marchio “La Selvaggia di Marina di Ravenna”. «La parte industriale convive con quella turistica, della pesca, del food», dice Manzati: «È un buon esempio di quanto siamo parte di un ambiente integrato». Ma è anche un modello di come, avendo una visione chiara, «degli asset pensati per una certa funzione possano trovare una seconda vita, per essere messi a disposizione dell’ambiente». E di una just transition.
Giornalista, attualmente si occupa di sostenibilità, temi sociali e Terzo Settore. Ha diretto per 13 anni la rivista Tracce. Membro della redazione del Meeting di Rimini (evento internazionale per il quale ha curato numerosi incontri), è stato caporedattore a Sette, magazine del Corriere della Sera, e ha seguito l’economia per L’Europeo. È laureato in Filosofia e ha un master in Giornalismo.
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