I gas serra: peso di agricoltura e allevamento

Gas serra, il peso di agricoltura e allevamento

Queste attività, insieme a quella della gestione del suolo e delle foreste, sono responsabili del 23% del totale delle emissioni di origine umana.

di Giuseppe Sammarco
21 dicembre 2020
6 min di lettura
di Giuseppe Sammarco
21 dicembre 2020
6 min di lettura

Questo articolo è tratto da Orizzonti n 24

Quando si parla di riscaldamento globale e di produzione di gas ad effetto serra è immediata l’associazione all’utilizzo dei combustibili fossili. Ma le attività umane che causano queste emissioni non si limitano a quelle legate al consumo di energia, ve ne sono altre che contribuiscono in modo rilevante: quelle associate alla gestione del suolo e delle foreste, all’agricoltura e all’allevamento. in termini tecnici, il settore che include queste particolari tipologie di attività umane è denominato AFoLU (Agriculture, Forestry and other Land Use).

Quanto inquinano le attività umane

L’iPcc (intergovernmental Panel on climate change, il principale organism internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici) stima che attualmente il settore AFoLU sia responsabile di emissioni di gas serra annuali pari a 12 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalenti (l’unità di misura dei gas serra), ovvero a circa il 23 percento del totale delle emissioni di origine umana. Una quota elevata, che merita attenzione e richiede interventi di prevenzione. Nel computo delle emissioni del settore AFoLU non sono incluse quelle derivanti dal consumo di energia (comprese, invece, nel totale dei gas serra originati dal settore energetico). Le fonti emissive di questo particolare settore sono altre, originate da interventi dell’uomo che innescano molteplici e spesso complesse interazioni con suolo, biomasse e atmosfera che causano, a loro volta, la formazione e il rilascio in atmosfera di gas serra. Poiché la scienza che governa questi fenomeni è complessa e le emissioni sono diffuse sul territorio, risulta difficile misurarle e controllarle con precisione, anche se è certo - come abbiamo visto - che sono una quantità rilevante e che è necessario ridurle per contenere l’aumento della temperatura terrestre a fine secolo.

Le principali cause

Per chiarire meglio il tipo di attività cui ci stiamo riferendo, esaminiamone alcune tra le più rilevanti. La prima è la deforestazione ad opera dell’uomo, causata dalla domanda di nuovi terreni da destinare alla coltivazione o ai pascoli, sia per soddisfare il crescente fabbisogno alimentare di una popolazione in continua espansione sia per la produzione di biocombustibili (fenomeno più recente). Il suolo e le foreste naturali che vi crescono sopra, infatti, sono degli enormi serbatoi di carbonio contenuto nella sostanza organica di cui sono in gran parte composti. Le foreste, in particolare, hanno accumulato carbonio nel corso dei secoli grazie al processo di fotosintesi che cattura la co2 atmosferica e la trasforma in materia organica di cui sono costituite le foglie, i rami, i fusti e le radici. Se tutto il carbonio di suolo e foreste fosse nuovamente trasformato in anidride carbonica, sarebbero emessi in atmosfera tra i 2.000 e i 3.000 miliardi di tonnellate di co2 (stima iPcc), un potenziale enorme considerando che in un anno il totale delle emissioni di origine umana è poco più di 40 miliardi. Purtroppo, alcuni comportamenti dell’uomo hanno, da tempo, iniziato a provocare questo processo. Tra questi, vi è l’incendio di milioni di ettari di foresta naturale messi a fuoco proprio per recuperare all’agricoltura nuovi terreni e che, a causa della combustione della biomassa, trasforma nuovamente in anidride carbonica il carbonio in precedenza accumulato, liberandola in atmosfera. Una seconda fonte di emissioni è costituita dall’allevamento intensivo di bovini e suini. Il bestiame, infatti, rilascia grandi quantità di gas serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto) principalmente dal processo di digestione e dalla decomposizione del letame. Come contrastare e ridurre queste emissioni? Le risposte sono molteplici e fanno parte di quelle ampie aree di studio e interventi che prendono il nome di “agricoltura sostenibile” e di “Natural climate Solutions” (NcS o soluzioni naturali per il clima).

Alcune soluzioni

Tra le buone pratiche che consentirebbero di rendere sostenibile l’agricoltura vi sono un maggiore ricorso ai terreni “marginali” (caratterizzati da difficoltà di coltivazione, scarsa produttività e in via di abbandono), il recupero di terreni in via di desertificazione e le pratiche agricole che consentono un aumento della produttività. Altri interventi possono contribuire ad allentare la pressione su agricoltura e allevamento dal lato della domanda, favorendo l’eliminazione dello spreco alimentare e l’adozione di una dieta corretta ed equilibrata che prevenga, nei paesi sviluppati, il consumo eccessivo di cibo (anche a vantaggio della riduzione del dannoso fenomeno dell’obesità). Le “soluzioni naturali per il clima” (NcS) includono attività di conservazione, ripristino e gestione del territorio che aumentano o mantengono stabile la quantità di carbonio stoccata nelle foreste naturali, nelle zone umide, nelle praterie e nei terreni agricoli, evitando l’emissione di CO2. Tra queste, vi sono le iniziative per prevenire il fenomeno della deforestazione, come il programma redd+ (reducing emissions from deforestation and Forest degradation). Nato nell’ambito dell’organizzazione delle Nazioni Unite, questo programma prevede diverse tipologie di interventi – da attuarsi nei paesi in via di sviluppo - che mirano sia a proteggere e ricostituire aree forestali sia ad attuare altre opere di mitigazione legate al ripristino degli ecosistemi. Questi progetti – se condotti seguendo precise regole - possono generare certificati di “emissioni negative” a vantaggio di chi li attua o li finanzia. Anche eni sta realizzando importanti iniziative in questi campi. di una, la produzione di “biocombustibili avanzati” a partire da biomasse di scarto o che non sono in competizione con la produzione agricola, abbiamo già parlato in occasione di un precedente articolo. Un’altra riguarda la realizzazione di importanti progetti di tipo redd+. Questa attività di prevenzione della deforestazione non solo consegue benefici climatici e ambientali, ma promuove lo sviluppo sociale ed economico delle popolazioni locali che la ospita e contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) delle Nazioni Unite.

L'autore: Giuseppe Sammarco

Natural Resources Studies & Analysis, Direzione Generale Natural Resources Eni