Il ritorno del volano, un vecchio congegno noto per accumulare rapidamente e a lungo energia elettrica
di
Stefano Bevacqua
12 febbraio 2020
5 min di lettura
di
Stefano Bevacqua
12 febbraio 2020
5 min di lettura
Si chiamava Gyrobus. Era un misto tra un autobus e un filobus. L'aveva inventato e costruito la Oerlikon, in Svizzera, a Freienbach. Serviva a collegare Yverdon-les-Bains e Grandson, due cittadine sul lago di Neuchâtel, A pochi chilometri di distanza. I Gyrobus erano due e andavano avanti e indietro incrociandosi a mezza strada. Ai due capolinea, le aste di captazione (i trolley che vediamo ancora oggi in molte città sormontare i tram), venivano alzate per abbeverare il macchinario: l'energia elettrica alimentava un motore che a sua volta metteva in rotazione un volano equivalente a un disco di acciaio di un metro e 60 centimetri di diametro pesante una tonnellata e mezza, arrivava al suo regime ottimale di 3 mila giri al minuto. Poi il Gyrobus si staccava dalla rete elettrica e il volano metteva a sua volta in movimento il motore che cedeva energia elettrica ai due motori piazzato sugli assi delle ruote posteriori. Così si potevano percorrere sei chilometri, senza quasi alcun rumore, con emissioni in atmosfera pari a zero e senza bisogno di alcuna batteria a bordo dei veicoli. Dieci minuti ed era di ritorno, pronto per una nuova ricarica, che durava 5 minuti, quanto la normale sosta di un autobus al suo capolinea.
Ma erano gli anni Cinquanta, anche nella montuosa Svizzera, si affacciava a costi bassissimi l'era del petrolio. Non valeva più la pena investire tanto denaro in un mezzo così pesante. Nel 1960 la piccola epopea del Gyrobus finiva, sostituito da un normalissimo autobus mosso da un motorediesel. Negli stessi anni, un analogo esperimento veniva lanciato nell'attuale Repubblica democratica del Congo: una ventina di Gyrobus solcavano le strade del centro di Kinshasa, che a quell'epoca si chiamava Leopoldville, capitale del Congo Belga. Nel giugno 1960 il paese otteneva l'indipendenza e i Gyrobus venivano abbandonati in favore dei bus a gasolio. Stessa sorte era capitata l'anno prima alla linea che collegava il centro di Gand al sobborgo di Marelbeke, in Belgio.
Eppure era un'idea forte: immagazzinare energia cinetica in quantità significativa e con tempi di ricarica molto ridotti. Perché abbandonarla? Anzitutto per i costi e in secondo luogo per la presenza di alcuni vincoli di carattere tecnico.
Ma oggi, di fronte alla necessità di ridurre le emissioni globali di gas climalteranti e, al tempo stesso, di migliorare ulteriormente la qualità dell'aria nelle aree urbane, l'idea del volano viene ripristinata nel laboratorio dove si sperimentano le automobili del futuro: la Formula 1. In tutti i modelli che gareggiano attualmente, sono infatti presenti congegni a volano capaci di immagazzinare l'energia che si rende disponibile durante le frenate, per poi restituirla nelle fasi di accelerazione. Certo, si tratta di un'applicazione limitata, ma che in base ai regolamenti vigenti, regala ai bolidi 60 kW di potenza in più, sia pure per una manciata di minuti.
Un volano bimassa
Le ricerche sulle possibili applicazioni di questi organi rotanti, si stanno moltiplicando. Alcuni costruttori di automobili ne stanno sperimentandone l'utilizzo come alternativa alle batterie elettrochimiche nelle vetture ibride ricaricabili, mentre nell’ambito della produzione di energia elettrica, sono state avviate da tempo impianti di generazione nei quali gli stessi, vengono impiegati per bilanciare le fluttuazioni della rete. È il caso dell'americana Beacon Power, di Tyngsboro, Massachusetts, che ha realizzato un sistema con alcune decine di moduli, ciascuno dei quali contiene un rotore di circa un metro di diametro e del peso di oltre una tonnellata, che vengono portati a ruotare al regime di 16 mila giri al minuto. Con questo peso e queste velocità, inutile tentare di utilizzare sistemi di sostegno tradizionali: i volani ruotano in camere a vuoto e sono retti da un sistema a levitazione elettromagnetica, per togliersi il cruccio dell'usura dovuta agli attriti che deriverebbero da contatti diretti. L'energia accumulata da ciascuno di loro, è nell'ordine dei 30 kWh e la potenza resa disponibile può arrivare a 180 kW per alcuni minuti e almeno 50 kW per oltre mezz'ora. Rispetto alle grandi batterie, il volano ha due vantaggi: quello di una disponibilità di energia molto più rapida e quello di una durata di vita, intesa come cicli di carica e scarica, più lunga di almeno un ordine di grandezza.
Tuttavia, rimane che caricare la tonnellata del suo peso invece delle decine di chilogrammi di quello delle batterie di una vettura ibrida, non avrebbe alcun senso. Ma, in questo, la tecnologia può fare ancora molti passi avanti. A determinare la capacità di accumulo energetico di questi strumenti, non è infatti soltanto la sua massa, ma anche la velocità di rotazione. Se si potessero far girare a 20 o 50 mila giri, basterebbe qualche decina di chilogrammi per far muovere un'utilitaria. Ma a quelle velocità i materiali cominciano a creare problemi: quelli che reggono meglio lo sforzo al livello dell'asse di rotazione perdono letteralmente i pezzi alla periferia; quelli che mantengono la loro solidità sono fragili dove si applica la forza. Soluzione: materiali innovativi che sposano acciaio, metalli rigidi e leggeri e fibre di carbonio. E così si torna nella pista della Formula 1: i volani della Flybird, con acciaio, titanio e fibre, girano a 64.500 giri al minuto e non si rompono.
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