Sono più di 300 le startup nate durante il lockdown.
di
Datalab
24 luglio 2020
13 min di lettura
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Datalab
24 luglio 2020
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Secondo i dati contenuti nel report Istat dal titolo “Le prospettive per l’economia italiana nel 2020-2021”, il nostro sistema economico ha subito un duro colpo dall’epidemia di Covid-19, complici i lockdown nazionali (che hanno frenato il consumo interno) e la progressiva riduzione del commercio internazionale.
I dati snocciolati dall’Istat quantificano l’impatto di questo shock di portata globale: -8,3% del livello del PIL nel 2020, -5,1% nei consumi, -274mila occupati nel mese di aprile rispetto a marzo.
“Il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell’occupazione, circa 3,6 milioni di addetti) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno”, recita la nota dell’Istat. Più di un terzo delle aziende del paese sarebbero quindi a rischio chiusura, con imprese di alloggio, ristorazione, sport e cultura tra le più colpite.
Tra di esse figurano anche molte startup e PMI innovative: secondo un sondaggio di Talent Garden Il 40% degli imprenditori si aspetta una perdita dei ricavi almeno del 50%, e la metà degli intervistati ne prevede una riduzione del 75%. Secondo l’Osservatorio sugli investimenti Venture Capital di ScaleIt c’è stata una flessione del 23% degli investimenti nel primo semestre del 2020, rispetto a quello del 2019.
Questi cali post-Covid arrivano a fronte di un momento di grande vivacità del tessuto italiano delle startup, PMI innovative e incubatori, che mostra segnali di crescita (in controtendenza alle imprese italiane in generale) nonostante i dati rilevati facciano riferimento in parte al periodo di lockdown. L’ultimo rapporto del Ministero dello Sviluppo Economico conta, al primo trimestre 2020, 11.206 startup innovative in aumento di 324 unità rispetto a quello precedente, con un capitale sociale in crescita che si attesta a 643,3 milioni di euro. La maggior parte sono concentrate nel comparto dei servizi alle imprese, ma tutti i settori di occupazione vengono coperti. Solo la provincia di Milano raggiunge quasi il numero di startup del Lazio e dell’Emilia Romagna sommate, le due regioni con il numero più alto dopo la Lombardia.
Anche gli incubatori, ossia quelle organizzazioni che nella definizione della Commissione Europea, “accelerano e rendono sistematico il processo di creazione di nuove imprese”, sono ben rappresentati nel panorama italiano. Gli incubatori sono elementi essenziali per un ecosistema efficiente in quanto aiutano le startup nelle primissime fasi, e vanno distinti da altri elementi come gli acceleratori che invece aiutano la startup quando è già stato definito un prodotto specifico o un modello di business, principalmente nella ricerca dei clienti.
Le startup innovative e gli incubatori sono però solo una piccola parte di un mondo dinamico, veloce e variegato. Esiste infatti un modello di sviluppo in cui le imprese più grandi, per competere in maniera sempre migliore sul mercato, cercano di favorire lo scambio tra idee, persone, competenze con realtà esterne come startup, università, centri di ricerca. È il paradigma dell’Open Innovation, termine coniato da Henry Chesbrough, direttore del Garwood Center for Corporate Innovation, e si differenzia dalla vecchia closed innovation proprio perché le aziende non si limitano a fare innovazione al loro interno, ma coinvolgono più attori esterni.
Per analizzare la complessità e la vivacità di questo modello abbiamo deciso di utilizzare tecniche di ascolto della rete del Datalab, applicando algoritmi di machine learning e topic discovery a oltre 21.115 tweet sul tema dell’Open Innovation. L’Eni Datalab è un laboratorio nato nella direzione di Comunicazione Esterna, con l'obiettivo di applicare anche alla comunicazione le competenze di data science, analytics e intelligenza artificiale che hanno reso Eni un’eccellenza nell’esplorazione di nuove fonti di energia.
La network analysis, ossia l’analisi delle relazioni tra i singoli concetti, è già in grado di darci un’idea della ricchezza del tessuto open innovation italiano.
Come possiamo notare l’Open Innovation coinvolge molti attori: vediamo come il mondo delle startup sia molto vicino a quello della digital transformation (confermato dai numeri dei comparti settoriali, che vedono primeggiare le startup informatiche o comunque a sfondo tecnologico). Anche l’universo dei trasporti e del digital marketing, per la propria componente innovativa strettamente digitale, risente della vicinanza il cluster del mondo startup. Incubatori, acceleratori, call for ideas, angel investor, venture capital sono tutte parole connesse a questa sfera.
Anche attraverso la topic analysis vediamo comparire argomenti affini: trovano spazio fintech, blockchain, robot, self-driving cars ed e-commerce, confermandosi come gli argomenti più caldi non solo negli investimenti, ma anche nelle conversazioni in Rete.
Dal sondaggio Talent Garden era emerso come, pur trovandosi in un periodo di grande incertezza e di fragilità, gli intervistati erano consci della resilienza delle proprie attività e quindi di un generale ottimismo. Un dato confermato dall’emotion analysis sulle conversazioni, che vede i sentimenti positivi scavalcare quelli negativi: i post con emozioni che rientrano nella sfera della positività, come entusiasmo e felicità, sono stati rilevati come quattordici volte superiori in numero rispetto a quelli con emozioni negative.
Un numero che viene confermato anche dall'emotion analysis dei tweet italiani. Qui possiamo vedere ancora di più la differenza tra i numeri dei tweet positivi, principalmente legati alle opportunità dell'Open Innovation, e quelli negativi, che si riferiscono alla sfiducia nell'intelligenza artificiale e agli effetti negativi del Covid sulle startup italiane.
L’ottimismo riscontrato nelle conversazioni online non deve sorprenderci: imprese di questo tipo sono infatti abituate a navigare nell’incertezza, e le personalità e competenze sono abituate a cambiamenti veloci, multidisciplinarietà e organizzazione. Durante il lockdown sono molti i casi di imprese e startup che hanno riorganizzato la propria produzione.
L’ecosistema italiano ha risposto presente, dando prova della validità di un modello di Open Innovation in periodo di crisi. Il caso che ha fatto scuola è quello di Isinnova, startup bresciana che ha avuto l’idea di installare valvole respiratorie stampate in 3D su maschere da sub Decathlon, andando così a sopperire alla mancanza di macchine respiratorie che aveva colpito alcuni ospedali italiane all’inizio dell’emergenza, con il sovraffollamento dei reparti di terapia intensiva. Decathlon ha supportato l’azienda fornendo il modello CAD e ingegneri a supporto per integrare al meglio il progetto, configurandosi così non solo come un caso esemplare di Open Innovation, ma anche come un progetto dall’alto valore etico e civico.
“Le buone idee possono provenire da qualsiasi luogo, ed essere aperti è un imperativo in questi tempi di crisi. E rimane dannatamente una buona idea anche in altre occasioni. Questa è una delle tante lezioni che stiamo imparando mentre lottiamo per affrontare la sfida dei nostri tempi", ha dichiarato lo stesso Henry Chesbrough sulle colonne di Forbes. L’Open Innovation ha confermato di essere uno schema funzionante in tempo di crisi, perché non farlo sempre e in maniera più capillare?
Su questa scia si innesta Joule, la Scuola per l’Impresa di Eni nata come strumento proattivo per la ripartenza delle imprese in Italia, attraverso un modello di accelerazione d’impresa nuovo e innovativo, tenendo a mente gli obiettivi della mission Eni come la ricerca di soluzioni che garantiscano la transizione verso un modello a basso impatto carbonico e un accesso all’energia equo e quanto più esteso. Sono due i programmi: il primo, lo “Human Knowledge Program”, dedicato specificatamente agli imprenditori e volto ad approfondire le competenze più rilevanti per l’imprenditorialità, e un secondo, denominato “Energizer”, dedicato alle imprese.
Energizer è un hybrid accelerator, e rappresenta un nuovo paradigma di Open Innovation, descritto perfettamente da Andrea Solimene (fondatore di Seedble, azienda partner di Joule) con il termine di coalescence innovation. In fisica, la coalescenza è un fenomeno per cui le gocce di un liquido disperse in un altro liquido di natura diversa tendono a unirsi alle più grandi, formando aggregati di maggiori dimensioni. La mission di Joule è proprio quella di “esaltare l’aggregazione e la collaborazione tra due o più change agent stimolando la generazione di opportunità non raggiungibili singolarmente”.
Collaborazione tra imprese, uno degli ingredienti fondamentali per affrontare le sfide del futuro. Le aziende hanno di fronte un obiettivo importante: coniugare sostenibilità economica e ambientale. “Chi riuscirà a costruire una strategia industriale sostenibile non solo dal punto di vista economico e finanziario, ma anche ambientale, riducendo drasticamente le proprie emissioni e quelle dei propri prodotti, garantirà il successo a lungo termine del proprio business”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi in un’intervista al Sole 24 Ore. Attraverso il percorso formativo e collaborativo garantito da Joule, persone e aziende (che non necessariamente lavorano nella catena del valore di Eni) possono andare a intervenire direttamente sui loro scope emissivi. In un’ottica di give-back verso il territorio il ruolo di Joule è quindi fondamentale per realizzare gli obiettivi di responsabilità sociale della mission Eni, ossia quelli di creare valore per il mondo attraverso la transizione energetica.
Nelle parole di Antonio Funiciello, Head of Joule, ritroviamo questo obiettivo: “Con Mind the Bridge abbiamo mappato, solo su territorio italiano, 295 organizzazioni tra incubatori, acceleratori e provider di open innovation. Con Joule non volevamo dar vita all’iniziativa numero 296. Era per noi importante partire prima di tutto dai valori che contribuiscono alla definizione della persona e che vengono prima della visione e delle idee imprenditoriali: i valori di Eni e della sua mission, che si ispira ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda delle Nazioni Unite. Vogliamo formare imprenditrici e imprenditori consapevoli della necessità di accompagnare alla generazione di profitto nel breve anche la sostenibilità di medio-lungo termine dei loro business. Perché solo in questo modo possiamo davvero fare un salto culturale in avanti”.
Eni Datalab è un laboratorio di data science, analytics e intelligenza artificiale nato nel 2016 nella direzione di Comunicazione Esterna di Eni. La missione dell’Eni Datalab è quella di analizzare, misurare e comprendere il complesso ecosistema informativo in cui l'azienda opera e comunica, per garantire che le azioni di comunicazione e i contenuti prodotti abbiano sempre la massima rilevanza per i molti stakeholder di Eni.
Eni Datalab
Gli articoli di data journalism del laboratorio di data science, analytics e intelligenza artificiale di Eni.
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