L’inquinamento atmosferico costituisce una minaccia per la salute pubblica sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), esso provoca sette milioni di morti ogni anno. Oltre il 90 percento della popolazione globale vive in zone dove l’inquinamento supera le soglie considerate nocive per la salute umana. A essere colpite più duramente sono le economie emergenti: il problema si fa particolarmente preoccupante nei paesi in cui il quadro normativo fatica a stare al passo con la rapidità dell’urbanizzazione e dello sviluppo industriale, generalmente sostenuti da un consumo massiccio di combustibili fossili e di carbone in particolare.
Il problema è tornato al centro dell’attenzione nel mezzo della pandemia di Covid-19. Da una parte, i cieli più limpidi che si sono visti in tutto il mondo in seguito alla sospensione, totale o parziale, delle attività, sono stati accolti come un risvolto positivo della pandemia. Dall’altra parte, il rallentamento dell’attività economica non può (né dovrebbe) essere considerato una soluzione praticabile per migliorare la qualità dell’aria nel lungo periodo. Gli scienziati hanno anche studiato gli effetti “moltiplicatori” di numerosi agenti inquinanti – come PM10, PM2,5 e NOx – la cui elevata concentrazione nelle aree urbane e industrializzate, come il Nord Italia o la Cina centro-orientale, potrebbero aver favorito la diffusione del virus e aumentato la manifestazione e la gravità dei sintomi del Covid-19.