Negli ultimi mesi l’Unione Europea si è impegnata a ridurre le emissioni di CO2 almeno del 40%, del 60% e dell’80% rispettivamente entro il 2030, 2040 e 2050, e abbiamo assistito al calo concreto nelle emissioni di gas serra in Europa evidenziato dal rapporto ISPRA.
La Germania alla fine del 2018 ha chiuso la sua ultima miniera di carbone: la Prosper-Haniel nel bacino carbonifero della Ruhr e non perché si fosse esaurita la vena, anzi. In 200 anni di storia industriale, dalle viscere della Germania sono stati estratti 8,5 miliardi di tonnellate di carbone e ce ne sarebbero da estrarre altri 440 miliardi: sufficienti per millenni. Ma il carbone inquina troppo e a parità di energia prodotta sviluppa il doppio dell’anidride carbonica liberata dal gas naturale.
Sembrerebbe che il mondo dell’energia abbia intrapreso il cammino giusto ma la International Energy Agency avverte che il declino dei combustibili fossili a cui abbiamo assistito negli ultimi anni non è stato dovuto a efficaci strategie di decarbonizzazione ma alla crisi economica. Nel 2017 il consumo globale di carbone è aumentato dell’1% (7.585 miliardi di tonnellate) e quando arriveranno i consuntivi 2018 ci si aspetta che la domanda sia cresciuta ancora di più. L’energia elettrica prodotta dal carbone è aumentata del 3% (oltre 250 TWh). Questo combustibile mantiene una quota del 38% sul mix energetico, e la tendenza alla crescita è evidenziata dal fatto che gli impianti termoelettrici appena inaugurati nel mondo sono per il 40% ancora basati sul carbone.
Anche nella Ruhr, la chiusura delle miniere è avvenuta principalmente per due motivi: se da un lato, infatti, si è resa necessaria per contribuire a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione indicati dalla UE e recepiti dal governo federale, dall’altro i motivi sono stati strettamente economici: costa meno importarlo da Colombia, Australia e Sudafrica. La Germania, quindi, pur avendo intrapreso la conversione verso i combustibili fossili meno inquinanti del carbone e verso le rinnovabili produce un quarto dell’energia nazionale complessiva bruciando carbone e lignite e Berlino non prevede di riuscire ad affrancarsi definitivamente dal carbone prima del 2038.
Se confrontiamo i consumi registrati nell’ultimo anno con quelli precedenti, il declino osservato per USA (quasi 17 miliardi di tonnellate in meno) e per la Germania (oltre 9 in meno), Ucraina (-7) e Regno Unito (-4), Colombia (-2), viene abbondantemente compensato da Indonesia (+6), Cina e Russia (ciascuna con +10). A questi, si è aggiunta la Corea del Sud (+16) mentre il colpo finale è arrivato dall’india, dove il boom industriale ha comportato il consumo di quasi 40 miliardi di tonnellate di carbone in più.
Secondo il rapporto IEA, la domanda mondiale di carbone non scenderà almeno per i prossimi cinque anni perché il calo del 13% previsto sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti, non sarà uguagliato da diminuzioni analoghe per Giappone, Corea e Cina, che caleranno solo del 3%. Anche in questo caso, l’aumento percentuale maggiore sarà nei Paesi del sudest asiatico (+39%) seguiti in questa triste classifica dall’india (+26%).
Anche nel nostro continente, le politiche comunitarie stanno cercando di erodere la domanda di carbone. Ma guardando più da vicino, scopriamo una Europa a due facce.
Svezia, Belgio, Estonia, Austria, l’uscente Regno Unito e la Francia (quest’ultima soprattutto grazie alla fissione nucleare) fanno affidamento sul carbone per meno del 10% del proprio fabbisogno elettrico. Finlandia, Slovacchia, Spagna, Irlanda, Ungheria e Croazia e Portogallo sono sotto il 20%. L’Italia produce solo il 13,3% della propria elettricità col carbone. Tutte queste nazioni hanno annunciato la decisione di affrancarsi dal carbone o stanno comunque attivandosi per ridurre la propria dipendenza da questo.
Sull’altro lato del continente, le nazioni più orientali – Germania compresa – usano il carbone per almeno un quarto della propria produzione e non si mostrano particolarmente interessate ad abbandonarlo. Nella classifica dei paesi meno virtuosi abbiamo la Repubblica Ceca (54%), Bulgaria (43%) la Germania (43%), Grecia, Olanda, Slovenia, Danimarca, Romania (tutte comprese fra il 25% ed il 44%). Ma il Paese meno virtuoso in assoluto è la Polonia dove la quota riservata al carbone per soddisfare il proprio fabbisogno elettrico raggiunge il record dell’80%! Nessuna di queste ultime (con l’eccezione appunto della Germania) ha iniziato una seria discussione politica per abbandonare il carbone, ma al contrario in Polonia, in Grecia e nei Balcani sono in costruzione nuove centrali a lignite.
A questo punto è indispensabile un lavoro congiunto di istituzioni, movimenti di opinione, aziende energetiche e centri di ricerca per rendere inarrestabile il processo di eliminazione del carbone e la sua sostituzione con fonti meno inquinanti.
Oggi il gas, domani – grazie alla ricerca che si svolge anche nel nostro Paese – le energie rinnovabili potrebbero essere la soluzione per la salvaguardia del pianeta.
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