Abbiamo sempre pensato che l’umanità un giorno avrebbe smesso di utilizzare petrolio e gas, in quanto si sarebbero esauriti. E invece, saranno sostituiti da fonti rinnovabili prima di esaurirsi.
di
Mike Scott
27 agosto 2018
6 min di lettura
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Mike Scott
27 agosto 2018
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“Il settore energetico, che per decenni ha permesso all’economia mondiale di crescere e prosperare, ha contribuito all’aumento delle emissioni e oggi ha dunque la responsabilità di intervenire attivamente per ridurle”, afferma l’Amministratore Delegato di Eni, Claudio Descalzi. Ciò significa che noi tutti dobbiamo utilizzare l’energia in modo più efficiente, per svincolare la crescita economica dall’utilizzo delle risorse e dalle emissioni di gas serra.
Uno dei modi migliori per farlo è applicare alla produzione e al consumo di energia i principi dell’economia circolare. L’economia circolare punta al recupero, al riutilizzo e al riciclaggio dei materiali, con l’obiettivo di ridurre gli sprechi.
Un esempio perfetto di questi sprechi è rappresentato dal gas che viene bruciato (gas flaring) praticamente da ogni singolo pozzo di petrolio. Secondo la Banca Mondiale, ogni anno in tutto il mondo i siti di produzione petrolifera bruciano miliardi di metri cubi di gas naturale. “Il flaring spreca una considerevole quantità di energia che potrebbe essere utilizzata per sostenere la crescita economica e il progresso. Contribuisce anche al cambiamento climatico rilasciando milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera”, conclude la Banca. Grazie all’aumento della produzione di energie rinnovabili, i produttori di petrolio possono incrementare la loro efficienza recuperando il gas che attualmente bruciano e utilizzandolo in loco o aggiungendolo alla loro produzione.
La Banca Mondiale ha promosso la Global Gas Flaring Reduction Partnership (GGFR), un’iniziativa pubblico-privata che coinvolge compagnie petrolifere nazionali e internazionali, governi centrali e amministrazioni locali, nonché istituzioni internazionali. La GGFR ha l’obiettivo di aumentare l’uso del gas naturale legato alla produzione di petrolio operando al fine di eliminare gli ostacoli di natura tecnica e normativa alla riduzione del flaring, conducendo ricerche, diffondendo le migliori prassi e sviluppando programmi di riduzione del gas flaring specifici per i diversi paesi coinvolti.
Nel 2015, la GGFRP ha lanciato un’iniziativa denominata Zero Routine Flaring by 2030, mediante la quale i firmatari, tra cui i governi di Stati Uniti, Kazakistan e Nigeria e le aziende BP, Eni, ExxonMobil e Total, s’impegnano a limitare la pratica del gas flaring in tutti i nuovi progetti di sviluppo e a identificare un approccio che ponga fine quanto prima e comunque non oltre il 2030 a tale prassi nei siti di produzione petrolifera già esistenti. Al momento questa iniziativa ha trovato l’appoggio di 27 governi, 35 compagnie petrolifere e 15 istituzioni che si occupano di sviluppo.
I nuovi dati satellitari evidenziano che a livello globale nel 2017 il gas flaring nei siti di produzione petrolifera è sceso del 5%, pur a fronte di un aumento dello 0,5% della produzione di petrolio, con il calo più marcato in Russia, Venezuela e Messico.
Oltre a ridurre la propria impronta di carbonio, Eni ha investito in tecnologie che consentono il recupero dei rifiuti urbani e industriali, concentrandosi su produzione bio e circolarità nelle proprie attività relative a raffinazione e chimica.
Nel frattempo, le centrali termiche possono recuperare il calore generato dalla combustione di combustibili fossili o dalla produzione di energia nucleare e impiegare tale energia per migliorare la loro efficienza o per ridurre la domanda di combustibili attraverso infrastrutture come il teleriscaldamento.
Le centrali elettriche sono in grado di utilizzare i rifiuti provenienti da altri settori, come l’agricoltura e l’industria (residui di colture, trucioli di legno e bagassa dal settore della produzione dello zucchero), bruciandoli direttamente o trasformandoli in biocarburanti. È chiaro che il settore energetico ha ancora molto da fare per diventare più efficiente.
“Sarà anche necessario guardare al di là del sistema dell’energia”, aggiunge Descalzi. “Nei paesi ricchi, si consuma troppo di tutto: abbigliamento, cibo, plastiche, elettrodomestici, veicoli. Dobbiamo adottare un nuovo modello di conservazione dell’energia che abbia al centro l’economia circolare e dia vita non solo a una riduzione degli sprechi, ma anche a una minore necessità di materie prime”. Ciò comporta il passaggio dall’attuale modello di produzione e consumo lineare (“prendere, produrre, smaltire”) a uno basato su recupero, riutilizzo o riciclaggio dei materiali.
È possibile individuare alcune soluzioni all’interno del settore energetico stesso, si pensi allo stoccaggio e al riutilizzo dell’energia: un settore in crescita vertiginosa grazie all’aumento della capacità di stoccaggio e a una corrispondente diminuzione dei costi.
Non basta però consumare meno, in termini di energia e di risorse, ma occorre riprogettare radicalmente prodotti e servizi, secondo un approccio “cradle-to-cradle” (dalla culla alla culla), che permetta di recuperare e riutilizzare i materiali quando non sono più necessari.
Numerosi sono gli aspetti che caratterizzano l’economia circolare: il primo è che i prodotti devono essere progettati per essere riutilizzati, rigenerati o riciclati. Renault ha realizzato uno stabilimento che ritira i suoi vecchi motori e li ricostruisce, mentre altre case automobilistiche, come GM, Ford e Toyota hanno trasformato le loro sedi produttive in tutto il mondo, che oggi lavorano a rifiuti zero.
Altre aziende prendono prodotti di scarto e li trasformano in qualcosa di nuovo. Per fare un esempio, i designer londinesi Elvis e Kresse realizzano borse, cinture e portafogli da manichette degli idranti giunte al termine della loro vita utile nel settore antincendio.
Vi è poi anche il passaggio da un’economia di proprietà a una basata sul noleggio o sul leasing di prodotti. Questi modelli “As-a-Service” stanno emergendo in settori che spaziano dall’illuminazione ai motori per aerei per arrivare ai tappeti e perfino ai jeans.
Anche l’ascesa della “sharing economy” è fondamentale per incoraggiare un uso più efficiente delle risorse. Aziende come Uber e AirBnB consentono di ricavare un reddito dalle proprie automobili o abitazioni, garantendo al tempo stesso un uso più efficiente di queste risorse.
“La sfida è enorme, ma altrettanto lo è l’opportunità che ci si presenta di fronte: salvare il pianeta creando al contempo un’economia nuova, più inclusiva, costruendo un’intera gamma di imprese e posti di lavoro che ancora non esistono”, afferma Descalzi. “Serve un sistema diverso, che assicuri benessere a tutti ma preservi il pianeta”.
Giornalista specializzato in ambiente e scrittura imprenditoriale, per clienti corporate, giornali, riviste e think tank.
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