Nel 2012, al Centro Ricerche Eni per l’Energia Rinnovabile e l’Ambiente di Novara, nasce il primo processo che permette di trasformare in bio-olio la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Si chiama Waste to Fuel (W2F). E quest’anno a Gela è partito il primo impianto pilota continuo basato proprio su questa tecnologia, realizzato da Eni Rewind, la società ambientale di Eni che allora si chiamava Syndial.
Dagli scarti urbani nasce un idrocarburo che si può impiegare direttamente come combustibile oppure inviare a un successivo stadio di raffinazione per ottenere biocarburanti per le nostre automobili.
Eliminare i rifiuti o – meglio ancora – trovare il modo per utilizzarli per trarne fuori l’energia che ancora contengono è un obiettivo che si sta cercando di raggiungere in tutto il mondo. Ma è tutta italiana la prima invenzione e la prima realizzazione industriale completa.
Un’invenzione che ha radici molto antiche, è l’ultima evoluzione altamente tecnologica di un processo vecchio quanto gli esseri umani: quello di bruciare i rifiuti per eliminarli e per recuperare parte dell’energia che vi è ancora intrappolata.
Già nel Paleolitico, infatti, l’uomo aveva capito che invece di bruciare solo la legna – poteva utilizzare gli scarti prodotti dalla propria famiglia per scaldarsi e cuocere il cibo.
Dalle caverne alle metropoli il processo è rimasto sempre lo stesso. Per ottenere energia si deve consumare altra energia: i rifiuti urbani che per loro natura sono ricchi d’acqua (ne contengono fino al 70%), vengono scaldati fino a quando tutta l’umidità viene eliminata e le particelle che li compongono passano allo stato gassoso. In questo modo possono bruciare liberando la loro energia riscaldando grotte, palafitte, case e grattacieli.
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